Rifletti ogni giorno sulla possibilità di lasciare in tutta serenità la vita, che molti abbracciano e si tengono stretta come quel tale che, mentre è trascinato da un vorticoso corso d’acqua, si abbarbica ai rovi e alle asperità della riva. La maggior parte degli esseri umani oscilla miserevolmente tra la paura della morte e i crucci della vita: non sa vivere, non vuole morire
SENECA
- INTRODUZIONE
- LA TEORIA DELLA CONOSCENZA
- LA TEORIA FISICA
- LA DOTTRINA ETICA
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INTRODUZIONE
Lo stoicismo è una corrente filosofica che si sviluppa ad Atene a partire dal 300 a.C.
La scuola stoica appartiene al panorama delle scuole filosofiche postaristoteliche che si sviluppano in età ellenistica.
Il nome deriva dalla parola stoà, portico, in quanto è all’interno di un portico che inizia ad insegnare il fondatore della scuola, Zenone di Cizio.
La storia della scuola si sviluppa per alcuni secoli ed è difficile distinguere il pensiero dei singoli autori in quanto la gran parte degli scritti è andata perduta.
Lo stoicismo ha un’importante eco anche perché giunge a Roma e vi aderiscono alcuni fondamentali autori come Seneca.
La filosofia stoica ruota intorno all’idea che il fine della vita umana è la felicità. Per raggiungerla occorre la conoscenza del mondo e la sua corretta applicazione.
Per questi motivi il sistema di pensiero stoico si articola in tre parti:
-la logica= che studia la conoscenza, ovvero la validità dei discorsi
-la fisica = che studia la natura
-l’etica = che studia il comportamento umano
LA TEORIA DELLA CONOSCENZA
La logica stoica si articola intorno a due temi: la teoria dei concetti e quella dei ragionamenti.
Per quanto riguarda il primo problema, gli stoici si chiedono come avviene il processo della conoscenza umana e sostengono che questa si divide in due fasi: una passiva e un’altra attiva.
Nella fase passiva la nostra mente riceve informazioni esterne dai sensi. La seconda fase invece è attiva: ovvero noi diamo un giudizio negativo o positivo sulla prima rappresentazione, cioè stabiliamo se è corretta oppure no. Gli stoici parlano di rappresentazione catalettica per riferirsi al momento in cui il nostro intelletto “afferra” l’impressione esterna, ovvero la fa propria.
Secondo questo schema per cui noi siamo come una lavagna bianca che riceve costantemente informazioni dall’esterno, arriviamo poi a produrre dei concetti.
Con questa parola gli stoici intendono delle nozioni generali, come ad esempio albero, pera, cane, o via dicendo.
Questi concetti, ovvero questi termini generali, secondo gli stoici sono dei segni, ovvero una sorta di etichetta che noi applichiamo ad un insieme di enti per riferirci a questi in maniera universale.
Seguendo questo approccio, gli stoici affermano dunque che i concetti non sono delle verità esistenti, ma hanno soltanto un carattere ideale, mentre l’unica cosa realmente reale sono i singoli enti.
Con questo approccio gli stoici si distanziano notevolmente da Aristotele.
Secondo Aristotele infatti i concetti rappresentano l’essenza delle cose. Ad esempio, secondo Aristotele, quando noi diciamo uomo, stiamo indicando necessariamente un animale razionale, in quanto la caratteristica della razionalità fa necessariamente parte del concetto di uomo.
Viceversa, per gli stoici, il termine uomo è soltanto una parola, un segno per l’appunto, che sta a rappresentare un gruppo di individui, quindi ha soltanto un valore linguistico.
Il secondo problema è invece quello del ragionamento. Anche da questo punto di vista gli stoici si differenziano da Aristotele.
Per il fondatore del Liceo, infatti, il ragionamento per eccellenza è il sillogismo, ovvero un ragionamento deduttivo, in cui si dimostra una verità particolare deducendola da una verità generale.
Gli stoici elaborano invece i ragionamenti anapodittici. Per ragionamento anapodittico intendiamo un ragionamento che parte da premesse ipotetiche non dimostrabili ma evidenti di per sé. Queste premesse vanno poi verificate attraverso un processo empirico per giungere ad una verità.
Gli stoici individuano cinque schemi base di questi ragionamenti,
-Se è X è Y/Ma è X/Dunque è Y
-Se è X è Y/Ma non è Y/Dunque non è X
-Mai X e Y insieme/Ma è X/Dunque non è Y
-O è X o è Y/Ma è X/Dunque non è Y
-O è X o è Y/Ma non è Y/Dunque è X
Se sostituiamo alle X e alle Y delle parole, possiamo comprendere questi schemi con molta facilità.
Prendiamo ad esempio il primo schema e sostituiamo X=giorno e Y=luce. La proposizione diventa: “Se è giorno c’è luce. Ma è giorno. Dunque c’è la luce.
LA TEORIA FISICA
Come abbiamo visto in merito alla logica, la conoscenza nasce dai sensi, ovvero dalla percezione del mondo esterno. Questo porta gli stoici a interrogarsi sulla struttura della natura.
Secondo gli stoici la natura è determinata da due principi: il lògos (=la ragione) e la materia.
Il lògos è un principio attivo che agisce sul secondo che è un principio passivo.
Questo vuol dire che il lògos dà vita alla materia.
Il lògos assume la forma di un soffio vitale, gli stoici usano il termine pneuma, che appunto è in tutte le cose e le vivifica.
Dal momento poi che questa forza è razionale, vuol dire che quello che accade segue un principio di causa ma soprattutto di fine: ovvero il lògos indirizza l’ordine delle cose verso una certa direzione. Quest’ordine delle cose, questo destino del mondo, è di per sé perfetto nel suo complesso, cioè necessario, non può essere diverso da come è.
Secondo gli stoici la storia del cosmo è poi caratterizzata da un ciclo continuo: in maniera ciclica l’intero cosmo va incontro ad una conflagrazione, per poi riformarsi e ripetersi. Ad assicurare la continua rinascita del cosmo è lo stesso lògos che contiene in sé delle ragioni seminali, ovvero dei principi che come un seme garantiscono la continuità della vita.
Dal momento che, come abbiamo detto, l’ordine delle cose è necessario e perfetto, vuol dire anche che ad ogni ciclo le cose si ripetono nella stessa maniera in cui si sono già manifestate, perché se fossero diverse sarebbero imperfette. Quindi la storia della natura è destinata a ripetersi in modo uguale all’infinito.
La visione della natura degli stoici, alla luce di quanto abbiamo visto, può definirsi panteistica e finalistica.
Panteismo vuol dire che vi è una perfetta coincidenza fra Dio e l’universo. Abbiamo infatti detto che il lògos è un principio che vive in ogni cosa, e dal momento che questo è una forza onnipresente e assicura il destino del mondo, è un principio divino.
Finalismo, come già abbiamo detto, vuol dire che l’ordine delle cose è indirizzato verso un certo fine. Questo procedere verso una certa direzione è assicurato dal lògos che agisce nel mondo come provvidenza, ovvero un indirizzo che regge l’intero ordine dell’universo.
LA DOTTRINA ETICA
Il sistema stoico si chiude con la parte più importante che è l’etica, ovvero il ramo che si interroga su come l’uomo deve agire per comportarsi in maniera virtuosa. Questo discorso è fondamentale per il pensiero stoico in quanto, come abbiamo detto, lo scopo dell’esistenza umana è la felicità e, secondo gli stoici, la felicità si raggiunge tramite l’esercizio della virtù.
In cosa consiste dunque la virtù?
Per gli stoici la virtù sta nella capacità di farsi guidare dalla ragione e non dagli istinti, in quanto l’ordine stesso della natura è razionale. Dal momento che, come abbiamo visto nella dottrina fisica, l’ordine naturale è necessario e immutabile, la virtù è la capacità di adattarsi all’ordine delle cose. Dal momento che per seguire l’ordine delle cose occorre avere una conoscenza profonda della struttura della natura, vuol dire che solo i sapienti possono agire in maniera virtuosa.
Secondo gli stoici non esiste una via di mezzo fra virtù e vizio: la virtù non consiste infatti in una singola azione, ma in una disposizione d’animo che va consolidata nel tempo.
La virtù dunque è una sola, dopodiché l’uomo virtuoso applica in maniera coerente atteggiamenti virtuosi nei vari ambiti della vita.
Per comprendere la filosofia etica stoica sono fondamentali due termini: intenzione e dovere.
Con il concetto di intenzione, gli stoici intendono che un’azione virtuosa non è tale in base al risultato, ovvero all’effetto pratico di quella azione, ma l’intenzione con cui la si compie, ovvero la disposizione d’animo che ci muove a fare o meno qualcosa.
Con il concetto di dovere, gli stoici intendono invece il fatto che il saggio si comporta in maniera virtuosa non per un certo scopo, ma perché è un dovere dell’uomo, che possiede la ragione, comportarsi in maniera conforme alla natura. Seguendo questo ragionamento, gli stoici affermano che beni come la ricchezza, la gloria, la salute e via dicendo, non devono mai essere il fine delle nostre azioni, sebbene non siano beni da disprezzare a priori.
Dal momento, poi, che comportarsi virtuosamente è un dovere, gli stoici sviluppano la dottrina del suicidio, ovvero affermano che nel caso un singolo individuo si trovi nell’impossibilità di esercitare il dovere è tenuto piuttosto a togliersi la vita.
Per concludere il discorso etico degli stoici occorre far riferimento poi ai concetti di apatia e indifferenza. Nell’ideale stoico, l’uomo saggio, esercita infatti questi due atteggiamenti. Per apatia si intende la capacità di eliminare le emozioni, in particolare negative, per giungere invece a un equilibrio razionale. Per indifferenza si intende la capacità di non esprimere giudizi sulle cose che accadono.
Alla base di questi due atteggiamenti vi è sempre lo stesso tema: l’uomo saggio è colui che conosce l’ordine naturale delle cose, sa che è immutabile e quindi non si fa affliggere da quello che gli capita intorno.
Questo atteggiamento è riassunto dal motto di un filosofo della tarda età stoica, Epitteto, che recita “abstine et substine”, tradotto “astieniti e sopporta”. In altre parole: l’uomo saggio si deve astenere dal giudicare ciò che non è in suo potere e sopportare quello che accade, perché tutto quello che accade fa parte del destino delle cose.