1. Vita e opere
Spinoza nasce in una modesta famiglia ebraica ad Amsterdam, nel 1632. La sua è una delle tante famiglie che nel Cinquecento è stata costretta ad abbandonare prima la Spagna e poi il Portogallo sotto le persecuzioni religiose dei governanti spagnoli.
Sin da giovane Spinoza mostra evidenti interessi intellettuali e probabilmente nel 1654 inizia a studiare nel circolo di Franciscus Van den Enden, un pensatore originale che sembra aver avuto una influenza importante nell’evoluzione del pensiero religioso-filosofico di Spinoza.
Proprio queste posizioni portano Spinoza già nel 1656 ad una rottura netta con la sua comunità ebraica: in quell’anno viene infatti scomunicato con una durissima condanna delle sue idee.
Espulso dalla comunità originaria Spinoza comincia a viaggiare per le Province Unite che in questi anni stanno conoscendo un grande fermento economico ed intellettuale dopo la piena indipendenza dalla Spagna.
Spinoza prima a Rijinsburg (1660) e poi all’Aia (1665) si dedica alle sue speculazioni filosofiche e al mestiere di ottico, campo che gli dà una certa fama.
In questi anni Spinoza lavora alle sue opere fondamentali: il Trattato sull’emendazione dell’intelletto (1661), il Trattato teologico-politico (1670) scritto in anonimato, e soprattutto il suo capolavoro, l’Etica dimostrata secondo l’ordine geometrico che viene completata nel 1674 dopo anni di rielaborazione, ma che uscirà postuma come altre opere di Spinoza, a causa dei contenuti controversi per l’epoca che lo spingono a non divulgare in maniera eccessiva le sue idee.
Infine Spinoza, segnato a lungo da una salute fragile, muore a soli 45 anni, nel 1677, all’Aia.
Spinoza è filosoficamente inquadrabile nel razionalismo cartesiano, secondo cui il mondo può essere compreso attraverso un linguaggio strettamente geometrico-matematico.
Spinoza spinge questo approccio a un limite ancora più estremo di quello cartesiano giungendo a quello che si definisce un panteismo razionalista ovvero, come vedremo, alla concezione di una divinità totalmente razionale che coincide perfettamente con la natura e col suo funzionamento.
Partendo da questa concezione, Spinoza costruisce un intero sistema filosofico che si articola su quattro parti: metafisica, etica, gnoseologia, discorso politico-religioso.
2. La metafisica
Spinoza è un pensatore metafisico, ovvero presuppone l’esistenza di una realtà oltre la natura che è causa della natura di cui facciamo esperienza.
Il suo sistema metafisico può essere pensato come un sistema di matrioske: il primo livello è quello della sostanza, che contiene al suo interno il livello degli attributi della sostanza, che a sua volta contiene i modi degli attributi.
Seguiamo questo schema partendo dal punto centrale che è il concetto di sostanza.
Spinoza definisce la sostanza “ciò che è in sé e per sé si concepisce”. Il che, detto in termini più semplici, vuol dire che è sostanza ciò che è causato da sé stesso e non da altro.
Spinoza riprende questo concetto da Cartesio che sostiene l’esistenza di due sostanze (per cui parliamo di dualismo cartesiano): la materia (res extensa) e il pensiero (res cogitans). Queste due sostanze, secondo Cartesio sono alla base di ogni ente materiale e di ogni mente del mondo e non derivano da altro se non da una ulteriore sostanza che è alla loro base: Dio.
Spinoza rileva però una evidente contraddizione di questo approccio, in quanto Cartesio prima sostiene che è sostanza ciò che deriva esclusivamente da sé, poi presuppone la presenza di due sostanze che derivano da una sostanza superiore.
Spinoza supera questa contraddizione affermando che esiste una sola sostanza.
A partire da questa premessa, Spinoza deriva le logiche conclusioni: se la sostanza è unica, vuol dire necessariamente che è infinita, ingenerata ed eterna. In altri termini, la sostanza è Dio.
Ma attenzione. Il Dio a cui Spinoza si riferisce è molto diverso da quello descritto dalle religioni tradizionali.
Se la sostanza è unica e infinita, vuol dire che Dio coincide con la natura stessa. Quindi il primo tassello del pensiero spinoziano è una visione panteista della natura, perché Dio è in tutte le cose.
Capito cosa intendiamo per sostanza, passiamo ad analizzare il secondo livello di questa matrioska: il concetto di attributi della sostanza.
Per capire cosa intende Spinoza possiamo pensare con una similitudine a una qualunque persona.
Questa persona nel suo complesso è unica ma possiede una serie di caratteristiche e ognuna di queste rappresenta un qualcosa attraverso cui possiamo conoscere la persona. Le caratteristiche sono dunque molteplici, ma rimandano sempre alla stessa persona.
Allo stesso modo, la sostanza possiede degli attributi, ovvero delle qualità, delle caratteristiche. Queste sono molteplici ma rimandano sempre alla stessa sostanza.
Possiamo pensare anche all’immagine del prisma, ovvero un oggetto con molteplici facce: ognuna di queste facce rappresenta una finestra sul prisma, ma ogni faccia sempre allo stesso prisma rimanda.
A differenza però di un prisma di cui possiamo fare esperienza, o di una persona, se la sostanza divina è infinita, vuol dire anche che questi attributi sono infiniti.
Dunque Spinoza sostiene che Dio (ovvero la natura) possiede infiniti attributi.
Di tutti questi infiniti attributi, l’uomo è in grado però di coglierne solo due: pensiero e materia.
Pensiero e materia non sono quindi sostanze, come sosteneva Cartesio, ma due attributi della sostanza. Spinoza supera dunque il dualismo cartesiano, affermando che pensiero e materia non sono due realtà differenti, ma due espressioni diverse della stessa realtà.
Arriviamo infine al terzo livello, quello dei modi degli attributi, che Spinoza definisce con una terminologia più complessa: affezioni della sostanza.
Questi modi, o affezioni, non sono altro che le manifestazioni concrete degli attributi della sostanza. In pratica, rappresentano la natura che si concretizza.
Dal momento che l’uomo può cogliere solo gli attributi del pensiero e della materia, questo vuol dire che nella natura noi possiamo fare esperienza solo dei modi del pensiero e della materia.
Questi modi si suddividono in due categorie:
–modi infiniti = che rappresentano le proprietà degli attributi (es. un modo infinito, ovvero una proprietà, della materia è il movimento, mentre un modo infinito dell’attributo del pensiero è l’intelletto)
–modi finiti = che rappresentano le manifestazioni concrete e particolari (es. i modi finiti della materia sono le cose del mondo dotate di una qualunque estensione, dai granelli di sabbia alle montagne, in pratica tutto quello che vi è in natura; i modi finiti del pensiero sono le singole menti dei singoli individui)
Sostanza, attributi e modi rappresentano dunque nel loro complesso la natura. Questa ha come abbiamo detto una essenza panteista, quindi dio è in tutte le cose. Conseguenza di ciò è che la natura è allo stesso tempo causa ed effetto di sé.
In pratica la natura ha due volti:
-da un lato è natura naturante = è la natura che è causa del suo stesso generarsi, è causa della sua essenza. Questo volto della natura è rappresentato dai livelli della sostanza e degli attributi, che non sono un qualcosa di concreto e tangibile, ma sono la causa dei modi
-dall’altro lato abbiamo la natura naturata = ovvero la natura che ha assunto una sua concretezza. Quindi la natura naturata sono i modi, che sono l’effetto della sostanza e dei suoi attributi.
Descritta dunque la visione metafisica della natura, occorre chiedersi come essa agisce. Qui entra in gioco il rigoroso razionalismo di Spinoza, per cui capiamo perché si parla di panteismo razionalista.
La natura agisce in maniera necessaria seguendo le regole che essa stessa si è data, allo stesso modo in cui da una legge matematica consegue in maniera necessaria la sua applicazione logica.
Detto in altri termini: la natura ha un ordine eterno immutabile, così come la matematica. Dunque, la natura ha un ordine geometrico, necessario e razionale, che può essere conosciuto attraverso il metodo deduttivo.
Le conseguenze, inevitabili, di questo discorso sono che:
1. Non esiste nessun finalismo in natura. La natura agisce secondo regole strettamente meccaniche e determinate: su di essa non agisce nessuna forza che condiziona gli eventi o il funzionamento del tutto verso un determinato fine o scopo. Da questo punto di vista Spinoza si pone pienamente dentro alla cultura della rivoluzione scientifica del Seicento, una cultura che rigetta il finalismo proprio della filosofia precedente, contro cui afferma una visione strettamente meccanicistica della natura.
2. La visione teologica tradizionale, fondata sul Dio biblico che agisce liberamente sugli eventi, che giudica perdonando e condannando, che dunque esprime una volontà, è da rigettare totalmente. Quello descritto da Spinoza è un Dio che ha una natura strettamente razionale, un’entità filosofica che non ha alcuna passione: è un dio che coincide con l’ordine immutabile, eterno e geometrico del tutto.
3. L’etica
L’intero discorso metafisico di Spinoza ha un fine molto pratico: riflettere sulla morale. La metafisica è descrizione della struttura della natura: ne consegue che le regole morali devono seguire l’ordine metafisico.
L’uomo, sostiene Spinoza, non è un essere dotato di una qualche eccezionalità dentro alla natura, così come la tradizione ebraico-cristiana ha affermato: è un essere al pari di qualunque altra manifestazione della sostanza metafisica, di conseguenza è sottoposto alle stesse leggi universali e necessarie che regolano la natura.
Dal momento che l’ordine naturale, come abbiamo detto, è un ordine geometrico, allo stesso modo la morale ha un ordine geometrico, razionalmente dato.
Questo significa che:
1. l’uomo non fonda le leggi morali, ma esse sono già date. L’uomo si deve limitare a comprenderle. In tal senso si parla di geometria morale
2. che le passioni umane agiscono in modo strettamente necessario: l’uomo non esprime le sue emozioni in maniera libera, ma seguendo un rigido meccanicismo. In questo senso si parla di geometria delle emozioni
Spinoza usa il termine affetti per indicare l’insieme delle nostre emozioni e dei nostri comportamenti e si dà il compito di studiare questi affetti in maniera strettamente geometrica.
In primo luogo il filosofo distingue fra:
–azioni = ovvero gli affetti di cui l’uomo stesso è la causa, ovvero quell’insieme di azioni che l’uomo può determinare e che è in grado di controllare
–passioni = ovvero gli affetti che l’uomo subisce e di cui dunque non ha una chiara percezione
Parlando delle passioni, Spinoza sostiene che alla loro base vi è il conatus, ovvero un istinto di autoconservazione che appartiene a tutti gli uomini, al pari di ogni cosa nella natura.
Il conatus determina i due affetti primari, ovvero le due emozioni basilari da cui derivano tutte le altre:
-la letizia = che è l’emozione che proviamo quando passiamo da una perfezione minore ad una maggiore, ovvero un’emozione che è determinata dal soddisfacimento del nostro conatus.
-la tristezza = che è l’emozione opposta alla letizia, ovvero il passaggio da una maggiore a una minore perfezione
A partire da questi due affetti primari derivano
1. tutti gli affetti secondari, ovvero tutte le possibili passioni umane, che sono ricavate con un ordine geometrico
2. i concetti di bene e di male, dove il bene corrisponde alla letizia e il male alla tristezza.
Facciamo degli esempi degli affetti secondari per comprendere meglio:
-l’amore è un affetto che nasce da una causa esterna e che è legato alla letizia
-l’odio è un affetto che nasce da una causa esterna e che è legato alla tristezza
A partire da amore e odio nascono poi ulteriori affetti.
Ad esempio:
-la stima che è tenere in conto qualcuno più del giusto per amore
-il disprezzo che è tenere in conto qualcuno meno del giusto per odio
La concezione morale di Spinoza, che procede attraverso una rigorosa deduzione geometrica, si pone poi per molti versi fuori dalla morale comune.
Facciamo alcuni esempi per chiarirci meglio: Spinoza giudica negativamente alcune passioni come l’umiltà e il pentimento che a suo avviso sono determinati dall’affetto primario della tristezza, in quanto l’umiltà nasce dal considerarsi impotente, il pentimento nasce dall’errata convinzione di compiere le nostre azioni liberamente (su questo tema torneremo).
Allo stesso tempo Spinoza esalta passioni come la superbia, che nasce dall’amore di sé.
L’intero discorso etico di Spinoza porta a una riflessione sul tema della libertà umana. Dal momento che l’uomo, con tutte le sue passioni, non è mosso da altro che dal conatus, ovvero dall’istinto di sopravvivenza (che in altri termini è ciò che ci spinge a cercare il nostro utile), un istinto che peraltro appartiene a tutti gli esseri viventi, questo vuol dire che non esiste il libero arbitrio.
In pratica, così come l’intera natura agisce in maniera assolutamente deterministica – un determinismo che si può ricostruire attraverso il suo ordine geometrico – anche l’uomo, che è parte della natura, agisce secondo un modello deterministico.
Ciò nonostante vi è uno spazio di libertà, secondo Spinoza. La libertà sta nel prendere consapevolezza di questa situazione. L’uomo libero, è dunque virtuoso, è colui che sa di dover vivere secondo questa legge di natura. Questo vuol dire anche che l’uomo virtuoso è colui che controlla razionalmente le proprie passioni in quanto ha una conoscenza adeguata della realtà.
La massima virtù, quella che Spinoza definisce anche il bene supremo, è la conoscenza intellettuale di Dio (Dio sempre inteso come ordine naturale). Questa conoscenza produce il bene supremo in quanto è amore al massimo grado: è amore in quanto è una letizia che nasce dalla comprensione della realtà.
In pratica, Spinoza crea una connessione fra la sfera della ragione e quella dell’emozione: il massimo sviluppo della ragione, che porta alla conoscenza di Dio, porta anche all’emozione massima, ovvero al più esteso grado di sviluppo dell’amore.
Allo stesso tempo, Spinoza propone una visione sociale della virtù: il massimo utile individuale, secondo il filosofo, si raggiunge attraverso l’utile collettivo. In tal senso, Spinoza ripropone l’idea che l’uomo è un animale sociale, la cui ricerca di di perfezionamento non può svilupparsi individualmente ma sempre nella collettività.
4. La gnoseologia
Il discorso etico si intreccia strettamente con quello gnoseologico, ovvero legato alla struttura della conoscenza. Come abbiamo appena visto infatti, il bene supremo si raggiunge attraverso il grado supremo di conoscenza, che è la conoscenza dell’ordine naturale.
Spinoza individua in particolare tre gradi della conoscenza:
- Il primo grado risiede nella percezione sensibile e nell’immaginazione: a questo grado di sviluppo l’uomo conosce il mondo in maniera confusa, non ha una vera comprensione delle cause, si limita a una conoscenza pre-scientifica e dunque è allo stesso tempo schiavo delle passioni
- Il secondo grado è quello che nasce dalla ragione e che porta alla conoscenza di quelle che Spinoza chiama idee comuni e che in altri termini sono i concetti scientifici, quei concetti che permettono appunto una visione razionale del mondo. Attraverso la ragione l’uomo è così in grado di risalire alla catena di cause ed effetti della natura e riesce a vivere una vita virtuosa
- Il terzo grado è l’intuizione, che è dunque la conoscenza metafisica della natura, è il comprendere come tutto deriva da Dio, ovvero dall’ordine naturale. Si parla di intuizione perché è un salto al di là delle cose di cui facciamo esperienza per risalire alla causa prima della natura. Attraverso l’intuizione l’uomo è in grado di cogliere l’ordine eterno e necessario delle cose, andando al di là della mutevolezza che apparentemente caratterizza la natura. Come abbiamo già visto, attraverso questo grado di conoscenza si giunge poi al bene supremo, e dunque alla virtù suprema, che Spinoza identifica con uno stato di beatitudine.
5. Politica, religione e libertà di pensiero
La concezione panteistica e razionalista della divinità porta Spinoza a formulare un’idea di Dio completamente diversa da quella classica della tradizione giudaico-cristiana.
Riformulando tanto l’idea della divinità che giudica l’uomo, quanto la concezione di un Dio che interviene nelle vicende umane per indirizzarle verso un certo fine, Spinoza arriva a offrire una visione rinnovata della religione.
La religione tradizionale, intrisa di cerimonie, riti e preghiere, ha come unico scopo quello di alimentare la superstizione e rafforzare il potere dell’autorità ecclesiastica.
Contro questo approccio, Spinoza rilegge in maniera critica la Bibbia e afferma che le Sacre Scritture, una volta liberate dei racconti dei miracoli e dei falsi interventi dei profeti, in realtà si limitano a insegnare una sola grande verità morale, ovvero che occorre amare il prossimo.
Questo, all’atto pratico, significa che la Chiesa si può limitare a chiedere l’obbedienza alla fede, ma non può imporre di credere ai propri dogmi perché non hanno un fondamento razionale. Questo significa che in materia religiosa è necessaria la tolleranza fra le fedi, perché fra tutte le chiese vi è un fondamento comune.
Questa libertà di pensiero ci ricollega al discorso politico di Spinoza, in quanto lo Stato deve garantire anch’esso la libertà di pensiero.
Spinoza parte dalla concezione hobbesiana dello stato di natura e concorda che il contratto stipulato per creare uno stato civile sia necessario per assicurare agli uomini la sicurezza, in quanto è il conatus, ovvero l’istinto di sopravvivenza, a spingere gli uomini verso questa necessaria pacificazione.
A differenza di Hobbes, teorico dell’assolutismo, Spinoza sostiene però:
1. che gli uomini quando entrano in uno stato politico non rinunciano a tutto il loro diritto naturale, ma semplicemente che lo conservano rinunciando a ciò che li può mettere in grado di nuocere agli altri
2. che dal momento che tutti sono uguali nello stato di natura, allora gli uomini devono essere uguali nello stato politico. Questo significa che il governo migliore è quello democratico
Così come nessuna Chiesa può imporre ai fedeli di credere ai suoi dogmi, allo stesso modo lo Stato non può imporre all’uomo di non pensare liberamente e seguire liberamente la propria fede. La libertà di espressione è quindi un diritto che uno Stato non può ledere.
A differenza di quanto dirà poi Locke, che completerà questo filone di pensiero giungendo a realizzare in maniera compiuta la dottrina politica liberale, Spinoza non teorizza la possibilità per gli individui di resistere di fronte ad un governo che non assicuri questo diritto, dal momento che ribellarsi al potere vorrebbe dire minare la sicurezza dello Stato. Quindi, pur ergendosi a teorico della libertà di pensiero, Spinoza ancora non riesce a superare del tutto la concezione hobbesiana dello stato.