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GLI USA NEGLI ANNI VENTI: IL BOOM ECONOMICO

li Stati Uniti nel dopoguerra si trovano in una posizione economica senza precedenti.

Mentre l’Europa è devastata dalla guerra e molti stati sono indebitati, gli Stati Uniti emergono come la grande potenza economica mondiale. Ci sono tre elementi fondamentali che spiegano questo predominio:

-Crediti verso l’Europa: Gli stati europei hanno contratto enormi debiti con gli Stati Uniti per finanziare lo sforzo bellico e ora si trovano a doverli restituire, rafforzando così il ruolo dell’economia americana nel mondo.

-Riserva aurea: Gli Stati Uniti possiedono il 50% dell’oro mondiale, una garanzia di stabilità e solidità per la loro moneta e per il loro sistema finanziario.

-Industria moderna e sviluppata: Il modello produttivo americano si basa sul sistema taylorista e fordista. Taylor introduce il concetto di organizzazione scientifica del lavoro, massimizzando la produttività, mentre Ford rivoluziona la produzione con la catena di montaggio, rendendo i prodotti accessibili a fasce più ampie della popolazione.

Grazie a questi presupposti, negli anni Venti gli Stati Uniti vivono un periodo di straordinaria crescita economica, tanto da essere ricordati come i “ruggenti anni Venti”. Questo boom si basa su diversi fattori:

-Espansione del mercato interno: La domanda di beni cresce enormemente, favorita dall’aumento dei salari e dall’introduzione delle vendite a rate, che permettono a sempre più persone di acquistare beni durevoli come automobili ed elettrodomestici.

-Sviluppo industriale e terziario: Non è solo l’industria manifatturiera a prosperare, ma anche il settore dei servizi, come le banche, le assicurazioni, la pubblicità e l’intrattenimento.

-Clima di fiducia e benessere: La società americana è caratterizzata da un ottimismo diffuso. Il consumo di massa diventa il motore dell’economia e si afferma un nuovo stile di vita, l’”American Way of Life”.

Questo modello si fonda su: benessere diffuso, accesso a beni tecnologici, innovazione e svago. Tra i simboli di questo periodo troviamo:

-L’automobile: Grazie alla produzione in serie, le automobili diventano accessibili anche ai ceti medi. Ford introduce il modello T, che può essere acquistato con pagamenti rateali.

-I grattacieli: Le grandi metropoli, come New York e Chicago, vedono la costruzione di edifici sempre più alti, simbolo della crescita economica e della modernità.

-L’industria dell’intrattenimento: Jazz, cinema e spettacoli diventano fenomeni di massa. Hollywood diventa il centro mondiale della produzione cinematografica.

gli usa negli anni venti: il quadro politico

Dal punto di vista politico, il Partito Repubblicano domina la scena. Dopo la presidenza democratica di Wilson, si susseguono tre presidenti repubblicani, tutti fautori di politiche su meno tasse per le classi più agiate e meno regolamentazioni per le imprese

Sul piano internazionale, gli Usa adottano una politica isolazionista, ovvero restano al di fuori dagli affari europei. Questo atteggiamento si riflette nel rifiuto di entrare nella SdN e nella promulgazione di leggi che vietano interventi in conflitti stranieri. 

Tuttavia, qualche eccezione c’è. Gli Usa promuovono il Piano Dawes, che aiuta la Germania a ripagare e i debiti di guerra, e il patto Briand-Kellog, che impegna 60 nazioni a non usare la guerra come strumento di risoluzione delle controversie.

gli usa negli anni venti: il quadro sociale

ul piano sociale, questi anni sono caratterizzati non solo da dinamismo e modernità, ma anche da crescenti tensioni che spingono ad atteggiamenti di chiusura e intolleranza.

Nel dopo guerra si diffonde la Paura Rossa ovvero la paura che si diffondano idee comuniste. Questa ondata ha una matrice xenofoba, perché si teme che le idee comuniste vengano diffuse dagli immigrati.

Il tutto porta all’approvazione di leggi restrittive sull’immigrazione, spesso basate su criteri etnici.

Allo stesso tempo crescono organizzazioni chiaramente razziste e segregazioniste come il Ku Kux Clan.

Sempre in questo contesto si afferma il proibizionismo, ovvero il divieto di vendere e consumare alcolici. L’idea è contrastare l’alcolismo e proteggere i valori morali della società, ma il risultato è l’opposto: nascono il mercato nero degli alcolici che permette la crescita di potenti organizzazioni criminali.

la crisi del 1929

Nonostante questo clima di euforia, l’economia americana nasconde delle fragilità. Alcuni segnali preoccupanti si intravedono prima del crollo del 1929.

1) La crisi agraria: molti agricoltori, fiduciosi nel futuro, si erano indebitati per aumentare la produzione, ma l’eccesso di offerta ha fatto crollare i prezzi, riducendo i guadagni.

2) La sovrapproduzione industriale: le aziende producevano sempre di più, ma la domanda ad un certo punto smette di crescere di pari passo

3) L’eccessiva esposizione bancaria, determinata dal fatto che le banche concedevano prestiti con troppa facilità, aumentando il rischio di insolvenza

4) La speculazione finanziaria, perché molte persone investivano in borsa con l’idea che i prezzi delle azioni sarebbero saliti all’infinito.

Questa situazione esplode il 24 ottobre 1929, il famoso Giovedì nero, quando scoppia la bolla finanziaria. Gli investitori iniziano a vendere in massa le loro azioni, causando un crollo vertiginoso dei prezzi. Nel panico, tutti cercano di sbarazzarsi dei titoli, ma nessun vuole comprarli. In pochi giorni vanno in fumo enormi investimenti.

Le conseguenze sono devastanti, perché la crisi finanziaria diventa crisi economica, innescando un circolo vizioso: le banche falliscono perché i clienti non riescono a ripagare i debiti, le imprese senza credito riducono i salari e licenziano i lavoratori, la disoccupazione sale alle stelle e i consumi crollano e molte attività chiudono.

La crisi si diffonde rapidamente all’estero, colpendo innanzitutto la Germania che dipende dai capitali americani. L’unico paese a rimanere immune è l’Urss che, essendo isolata economicamente, non viene contagiata, anzi proprio in questi anni avvia una massiccia industrializzazione.

I numeri della crisi americani sono molto gravi. Rispetto al 1929, nel 1932 l’economia americana segna: un tasso di disoccupazione al 25%, il fallimento di 5000 banche, un crollo del 50% della produzione industriale e del 30% del Pil. 

-La risposta del presidente Hoover appare inadeguata ad affrontare il collasso. Convinto che lo Stato debba mantenere i conti in pareggio e non interviene 

 Gli investimenti statali sono poco incisivi perché l’amministrazione Hoover rimane fedele al principio dell’economia classica, secondo il quale lo stato deve mantenere quanto più possibili i conti in pareggio. Il risultato è che gli Usa entrano in una fase recessiva così drastica da essere chiamata “Grande depressione”

IL NEW DEAL DI ROOSEVELT

Nel 1932 il democratico Roosevelt vince le elezioni, proponendo un “New Deal”, ovvero un nuovo corso fondato sul sostegno statale alle popolazione per rilanciare l’economia e creare una rete di sicurezza sociale

Gli interventi di Roosevelt non seguono un disegno unitario e coerente, ma sono molto vasti e riguardano in particolare tre settori:

1) Il settore bancario: vengono introdotte leggi per regolamentare le banche e la Federal Reserve Bank diventa la banca centrale, con lo scopo di porre sotto ulteriore controllo il settore delle banche private

2) misure per il rilancio economico come: l’Agricoltural Adjustement Act per indennizzare i produttori che vedono le loro merci invendute; la Public Work Administration per avviare lavori pubblici; la Tennessee Autorithy Valley che rappresenta l’intervento pubblico più incisivo, ovvero una serie di opere pubbliche per rilanciare una delle aree più depresse del paese; il Work Progress Administration, per dare lavoro non solo tramite le infrastrutture ma attraverso una serie di programmi anche culturali

3) misure per la sicurezza sociale come: il rifinanziamento delle ipoteche; la National Recovery Administration per creare un sistema di previdenza sociale; la Wealth Tax Act per tassare in maniera progressiva i ceti più abbienti

Con questo insieme di misure Roosevelt non riesce a riportare l’economia statunitense fuori dalla crisi, tanto che i tassi di crescita supereranno quelli pre-1929 solo con la seconda guerra mondiale e gli investimenti bellici, ma riusciranno comunque ad attenuare la crisi e a portare gli Usa fuori dalla parte più critica. Questo gli varrà il consenso della popolazione americana, tanto che Roosevelt sarà rieletto altre tre volte, morendo da presidente nel 1945

IL MODELLO ECONOMICO DI KEYNES

A partire dalla crisi del 1929, analizzando le sue cause e studiando gli interventi di recupero come quello attuato da Roosevelt negli Stati Uniti (ma anche da altre parti del mondo in cui si fa ampio ricorso all’intervento pubblico), l’economista inglese John Mayard Keynes elabora una nuova teoria economica, che si contrappone al modello liberista classico che ha in Adam Smith il suo fondatore

Le sue teorie sono esposte in particolare in un libro pubblicato nel 1936: “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”.

Keynes critica i tre presupposti principali del modello classico liberista, ovvero: 1) che il mercato è in grado di regolarsi in maniera autonoma; 2) che in maniera consequenziale lo Stato deve lasciare il mercato libero di agire secondo il principio del “laisser faire”; 3) lo Stato quindi non deve intervenire attivamente sull’economia, ma limitarsi a mantenere i conti pubblici in regola

Keynes ribalta questi presupposti affermando che lo Stato deve intervenire attivamente nell’economia con misure anticicliche, ovvero che servano a contrastare i cicli economici negativi.  Le misure principali sono: l’avvio di lavori pubblici; il sostegno ai salari; l’erogazione di sussidi; l’attivazione di servizi sociali. Lo stato non deve dunque solo essere un attore protagonista dell’economia, ma anche creare un sistema di servizi in grado di sostenere chi non si trova nelle condizioni di lavorare in maniera attiva.

L’idea di fondo di questo modello è che si deve innescare un circolo virtuoso: attraverso la spesa pubblica si deve infatti sostenere l’occupazione e garantire così il mantenimento di un alto tasso dei consumi e permettere una crescita costante dell’economia


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