Nel ‘600 a livello filosofico si afferma il razionalismo cartesiano, fondato sul presupposto che la conoscenza procede a partire da idee innate, ovvero presenti nell’uomo sin dalla nascita. Al razionalismo finisce per contrapporsi l’empirismo, che sostiene che ogni conoscenza procede dall’esperienza. Per gli empiristi, dunque, l’uomo è come una lavagna bianca e solo attraverso l’esperienza accumula conoscenze. Il più radicale degli empiristi è David Hume, scozzese, nato nel 1711.
LA TEORIA DELLA CONOSCENZA
Hume opera innanzitutto una distinzione fondamentale fra impressioni e idee. Per impressione si intende tutto ciò che si coglie con i sensi in un dato momento, la cui percezione è dunque talmente forte e viva che non può essere messa in discussione. Le idee sono il ricordo di queste impressioni, dunque rispetto a queste si presentano a noi in maniera meno immediata. La conoscenza si fonda quindi sulle impressioni, ovvero sull’esperienza.
A partire da questo presupposto Hume distingue le idee semplici da quelle complesse. Le prime sono la singola sensazione, ad esempio avvertire il suono di un campanello. Le seconde sono una combinazione o una associazione di idee semplici.
Hume indaga in particolare le associazioni fra idee, che secondo lui avvengono in tre modi:
-per somiglianza (ad esempio il dipinto di un luogo ci fa pensare al luogo effettivo)
-per vicinanza nello spazio e nel tempo (ad esempio se pensiamo al salone di casa nostra pensiamo alla cucina che è lì vicino)
-per causalità (ad esempio se clicchiamo l’interruttore della luce pensiamo alla lampadina che si accenderà).
Questo modo di associare le idee ci porta a produrre idee complesse che formano la base della nostra conoscenza, ma Hume finisce per muovere ad esse una critica radicale, in particolare per quanto riguarda le idee di spazio e tempo, di causa-effetto, di sostanza e dell’io. Ma andiamo con ordine.
Innanzitutto Hume afferma che lo spazio e il tempo non esistono di per sé, ma sono solo idee complesse, ovvero derivate dalle nostre impressioni. Per capirci: dalla percezione che noi abbiamo delle singole cose intorno a noi deriviamo un’idea di spazio. Dalla successione degli eventi deriviamo l’idea di tempo. Dunque, non esistono lo spazio e il tempo come realtà oggettive, come si riteneva all’epoca, ma soltanto lo spazio e il tempo come idee derivate dalle nostre impressioni.
Altrettanto radicale è quello che Hume sostiene a proposito dell’idea di causa-effetto. Noi siamo abituati a ragionare in termini di causalità, infatti, ad esempio, lanciando una palla di biliardo addosso ad un’altra sappiamo che questa a sua volta si muoverà. Ma Hume sostiene che noi non facciamo esperienza di quella forza che dovrebbe collegare due eventi in maniera causale, ma soltanto di due eventi che si collocano uno prima dell’altro. Sono solo il nostro ragionare e la nostra abitudine a vedere che determinati fenomeni seguono ad altri che ci spinge a pensare in termini di causa-effetto. Ma Hume, dunque, sostiene che l’idea di causa-effetto non esiste a priori, in quanto non si fonda sull’esperienza, ma solo sull’abitudine. Da questo punto di vista Hume si rifà alla distinzione fra relazioni fra idee e materia di fatto. Per relazione tra idee Hume si riferisce alle idee matematiche che si fondano sul principio di non contraddizione: queste per Hume hanno una validità universale che non dipende dall’esperienza, perché i concetti matematici sono validi a priori. Quindi non abbiamo bisogno di verificare, tramite esperienza, che 2+2=4. Viceversa le materie di fatto sono l’insieme di quelle idee che deriviamo dal mondi reale e che per abitudine riteniamo vere ma non sono vere sul piano strettamente logico. Ad esempio, noi possiamo sostenere che domani il sole sorgerà, ma possiamo anche dire che non sorgerà. Infatti nulla ci dà una certezza a priori di quello che accadrà, quindi questo tipo di verità non sono valide necessariamente. In questo caso, infatti, il principio di non contraddizione non vale.
Hume smonta in terzo luogo l’idea di sostanza, ovvero della validità del mondo esterno. Facciamo un esempio per capirci meglio: noi abbiamo davanti una mela con certo colore, odore, forma, e via dicendo, ma riconduciamo tutte queste singole impressioni alla sostanza mela, ovvero alla mela in sé che contiene tutte queste qualità. Ma davanti alla pretesa di conoscere la mela, ovvero il mondo esterno, Hume dice che: 1) noi facciamo esperienza delle impressioni, non di questa presunta sostanza che le determina 2) che queste impressioni sono soggettive, mutevoli, quindi non solide. Detta in altri termini: non possiamo determinare l’oggettività del mondo intorno a noi. Anche in questo caso, è solo l’abitudine a far sì che possiamo ragionare in questi termini.
La critica all’idea di sostanza si estende all’idea dell’io, ovvero di una sostanza individuale che sarebbe alla base della nostra esistenza e che produrrebbe tutte le sensazioni che avvertiamo e le idee che produciamo. Ma anche in questo caso Hume dice noi facciamo esperienza delle singole sensazioni, non dell’io che le produce. L’io ci appare dunque non come una sostanza dotata di continuità, come sostiene Cartesio, ma come un fascio di percezioni privo di consistenza.
A questo punto Hume sembra giunto ad un esito scettico, ovvero ad affermare l’impossibilità di una conoscenza valida e certa. Infatti quello che Hume vuole infatti smontare è la pretesa di individuare il fondamento della nostra conoscenza in qualcosa di altro che vada al di là della stretta esperienza, togliendo la certezza di una validità definitiva anche ai ragionamenti scientifici. Ma il suo approccio è moderato, infatti si parla di scetticismo moderato: non nega a priori la conoscenza, parla piuttosto di conoscenze probabili in cui tramite l’abitudine possiamo orientarci e tramite cui possiamo dunque vivere affidandoci ai meccanismi di causa-effetto come probabili.
LA FILOSOFIA MORALE
La riflessione morale di Hume parte da un principio: la morale non deriva dalla ragione, come sostiene solitamente la tradizione filosofica, ma dai sentimenti.
- La ragione ci aiuta a conoscere i fatti, ma non ci spinge all’azione.
- I giudizi morali nascono dai sentimenti di approvazione o disapprovazione che proviamo e che per Hume sono universali anche se possono variare nelle diverse culture
Esempio: se vediamo qualcuno aiutare un bambino in difficoltà, proviamo simpatia e approviamo quell’azione. Se vediamo qualcuno tradire un amico, proviamo disapprovazione.
La chiave è dunque la simpatia, ovvero quel meccanismo che ci permette di partecipare alle emozioni degli altri.
- Non agiamo solo per interesse egoistico: grazie alla simpatia, sentiamo come nostre le gioie e le sofferenze altrui.
- La simpatia è ciò che rende possibile un senso morale condiviso.
A partire da questo sentimento, Hume distingue tra:
- Virtù naturali, come la benevolenza e l’onestà, che ci piacciono spontaneamente perché suscitano sentimenti positivi.
- Virtù artificiali, come il rispetto delle leggi o la giustizia, che nascono da convenzioni sociali e ci piacciono indirettamente hanno valore perché utili al vivere civile.
Un criterio importante in Hume è proprio l’utilità:
- Il bene è ciò che produce un utile collettivo, perché l’utile collettivo è anche individuale
- Il male è ciò che produce un danno alla collettività e dunque all’individuo stesso
Per Hume, dunque, la morale non è un insieme di leggi universali, ma un fenomeno umano, condiviso e pragmatico, radicato nella nostra capacità di provare emozioni e di immedesimarci negli altri.
LA RELIGIONE
Anche la religione è affrontata con spirito critico.
Nei Dialoghi sulla religione naturale, Hume mette in discussione le prove razionali dell’esistenza di Dio.
- L’argomento dal disegno, ad esempio, sostiene che la complessità dell’universo richiede un Creatore intelligente, come un orologio richiede un orologiaio.
- Ma Hume obietta che l’analogia è debole: il mondo potrebbe essere il risultato di processi naturali, oppure opera di più divinità imperfette. Non possiamo saperlo dall’esperienza.
Anche i miracoli sono problematici: per definizione violano le leggi naturali, ma la nostra unica guida alla conoscenza è l’esperienza regolare e ripetuta. Perciò, credere a un miracolo significa rinunciare al metodo più affidabile che abbiamo per orientarci nel mondo.
Tuttavia, Hume non elimina del tutto la religione: osserva che essa è un fenomeno naturale, nato da emozioni, paure e desideri, e che ha una funzione sociale importante, favorendo coesione e stabilità.
IN CONCLUSIONE
Hume ci consegna un messaggio potente: la conoscenza, la morale e persino la religione devono essere comprese a partire dall’esperienza umana, non da principi astratti o da certezze metafisiche.
La sua filosofia ha avuto un impatto enorme:
- Ha messo in crisi la fiducia cieca nella ragione, tipica del razionalismo.
- Ha mostrato i limiti della scienza, fondandola non su certezze assolute ma su regolarità probabili.
- Ha anticipato molte idee moderne sulla psicologia, perché descrive la mente come un insieme di impressioni, abitudini, emozioni.
In definitiva, Hume ci invita a essere umili e realisti: riconoscere i limiti della ragione, affidarci all’esperienza, e capire che vivere significa muoversi non nel regno della certezza, ma in quello della probabilità.