LA VITA DI PITAGORA
Della vita di Pitagora sappiamo molto poco. Sappiamo che nacque intorno al 570 a.C. a Samo, una città dell’Asia Minore che a lungo era stata rivale di Mileto, la patria della prima scuola filosofica. Intorno al 535 a.C., a Samo salì al potere il tiranno Policrate, che Pitagora guardava con ostilità; per questo decise di lasciare la città. Probabilmente si spostò dapprima in Egitto — esperienza che sembra aver influenzato profondamente la sua filosofia — e poi approdò a Crotone, una delle città più importanti della Magna Grecia.
A Crotone Pitagora fondò una comunità religiosa a carattere iniziatico, dove si praticavano riti orfici e si conduceva una vita in comune, compresa la comunione dei beni. Un elemento notevole per l’epoca è che nella sua scuola venivano ammesse anche le donne, sullo stesso piano degli uomini.
La setta pitagorica arrivò presto ad avere un’influenza politica di primo piano a Crotone e in altre città dell’Italia meridionale, favorendo l’instaurarsi di regimi aristocratici. Tuttavia, col tempo, scoppiarono violente rivolte popolari di segno democratico contro i pitagorici. A causa di questi conflitti Pitagora fu costretto a rifugiarsi a Metaponto, dove morì intorno al 490 a.C.
Di lui non ci è rimasto alcuno scritto, e questo rende difficile distinguere ciò che è autenticamente suo da ciò che fu elaborato dai discepoli. Nel corso dei secoli, la sua figura si è inoltre ammantata di un’aura leggendaria: gli furono attribuiti miracoli, poteri magici e capacità sovrumane. Questa stessa leggenda fu alimentata dai suoi seguaci, che vedevano in Pitagora un uomo dotato di una sapienza divina. Per questo motivo, molte dottrine che portano il suo nome sono probabilmente il risultato di un’elaborazione collettiva all’interno della scuola pitagorica.
LA COMUNITà PITAGORICA
Come accennato, Pitagora fondò una vera e propria comunità religiosa, la cui credenza principale era la metempsicosi, cioè la trasmigrazione delle anime da un corpo all’altro. Da questa dottrina deriva anche la distinzione tra anima e corpo, e l’idea che l’anima, attraverso varie reincarnazioni, possa purificarsi fino a liberarsi completamente dal ciclo delle nascite e delle morti. Il fine ultimo dei pitagorici era dunque la liberazione definitiva dell’anima.
Per favorire questa purificazione, i pitagorici praticavano riti e regole di vita che a noi oggi possono sembrare superstiziose: non raccogliere ciò che è caduto a terra, non toccare i galli bianchi, non spezzare il pane… ma in realtà tutte queste prescrizioni avevano lo scopo di preservare la purezza interiore e l’armonia dell’anima con il cosmo.
Accanto a questo aspetto mistico e religioso, però, il contributo più importante dei pitagorici alla storia del pensiero è stato quello di aver individuato nella matematica lo strumento capace di descrivere la struttura stessa del mondo.
A prima vista può sembrare una contraddizione: da un lato magia e riti esoterici, dall’altro calcoli e geometria. Ma per i pitagorici non lo era affatto. Nella loro visione, la matematica non era un sapere freddo e astratto: era la chiave che rivelava un ordine nascosto, una verità profonda che si cela dietro l’apparenza materiale delle cose.
IL MONDO COME NUMERO
La tesi fondamentale dei pitagorici è che la sostanza di tutte le cose è il numero. Allo stesso modo in cui Talete aveva visto nell’acqua il principio di tutte le cose e Anassimene nell’aria, i pitagorici identificarono nel numero il fondamento della realtà.
Attenzione, però: per loro i numeri non erano entità astratte come le intendiamo oggi, ma elementi concreti, costitutivi dello spazio. Se lo spazio è fatto di punti, ogni numero corrisponde a un punto, e la loro combinazione dà origine a linee, superfici e solidi. I numeri potevano quindi essere rappresentati geometricamente: l’1 come punto, il 2 come linea, il 3 come triangolo, il 4 come tetraedro.
Combinando i numeri si ottiene il 10, che i pitagorici consideravano il numero perfetto, rappresentato dalla Tetraktys, una figura triangolare formata dalla somma dei primi quattro numeri (1 + 2 + 3 + 4 = 10). Essa rappresentava la totalità dell’universo, perché conteneva tutte le dimensioni possibili.
Dire che “il mondo è fatto di numeri” significa dunque che il mondo possiede un ordine geometrico e misurabile, un’armonia esprimibile attraverso rapporti numerici. Questo ordine genera la bellezza e la coerenza dell’universo: anche ciò che appare opposto o in conflitto trova equilibrio in una totalità unitaria e armonica.
L’ARMONIA DEGLI OPPOSTI
Per i pitagorici la realtà nasce da due principi opposti: il limitato e l’illimitato. Questi sono rappresentati dai numeri dispari e pari: i dispari simboleggiano ciò che è completo e definito, mentre i pari ciò che è indefinito e aperto.
Da questa coppia fondamentale derivano altre nove coppie di contrari: dispari e pari, uno e molteplice, destra e sinistra, maschio e femmina, quiete e movimento, retta e curva, luce e tenebre, bene e male, quadrato e rettangolo.
In ciascuna coppia, l’elemento positivo è associato al principio del limitato, cioè alla forma e all’ordine, mentre quello negativo al principio dell’indefinito.
Al di sopra di tutto c’è l’uno, un numero unico e speciale, definito “parimpari” perché non è né pari né dispari, ma contiene entrambi i principi. L’uno genera tutti i numeri: aggiungendo unità successive nascono sia i pari sia i dispari. L’unità originaria è quindi il principio da cui scaturisce ogni dualismo, e al tempo stesso la forza che li riconcilia.
I PITAGORICI E LA MUSICA
Un altro campo in cui i pitagorici lasciarono un segno profondo fu la musica.
Essi scoprirono che anche i suoni obbediscono a rapporti numerici precisi. Secondo la tradizione, Pitagora fece un esperimento con il monocordo, uno strumento formato da una sola corda tesa: accorciando la corda a metà otteneva un suono più acuto, che stava al suono originale nel rapporto di 2 a 1, cioè l’ottava. Dividendo la corda in proporzioni di 3 a 2 o di 4 a 3 otteneva invece altri intervalli musicali armoniosi, come la quinta e la quarta.
Da qui la conclusione che l’armonia musicale nasce da rapporti numerici semplici, e che la bellezza del suono è espressione dell’ordine matematico del cosmo.
Per i pitagorici, la musica non era solo un’arte: era una scienza dell’armonia universale, un riflesso dell’equilibrio tra le forze dell’universo.
Questa idea darà origine al celebre concetto di “armonia delle sfere”, secondo cui anche i corpi celesti, muovendosi nel cosmo, producono un’armonia impercettibile all’orecchio umano ma perfettamente regolata dai numeri.
L’EREDITà PITAGORICA
L’eredità dei pitagorici è enorme. Anche se l’idea di una perfetta equivalenza tra aritmetica e geometria è stata superata nel tempo, furono loro i primi a concepire che il mondo possiede una struttura matematica.
Come scrisse uno dei loro discepoli, Filolao:
“Tutte le cose conosciute hanno forma numerica, senza la quale nulla potrebbe essere davvero pensato o conosciuto.”
Molti secoli dopo, Galileo Galilei riprenderà la stessa idea dicendo:
“L’universo è scritto in lingua matematica, e i caratteri sono triangoli, cerchi e altre figure geometriche.”
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