Il pensare implica l’esistere
PARMENIDE
Parmenide è un filosofo della Magna Grecia. Vive fra il VI e V secolo a.C. e fonda la scuola di Elea, sua città originaria. Parmenide imprime una svolta sostanziale alla storia della filosofia delle origini, introducendo una radicale distinzione fra essere e nulla e fondando così l’ontologia. Celebre la sua affermazione secondo cui l’essere è e non può non essere.
L’ESSERE E IL NULLA
La storia della filosofia greca delle origini vede emergere un tema centrale, quello della contrapposizione fra opposti. Tale questione è presente nel pensiero di Anassimandro, in cui il passaggio dal caos originario alla natura è determinato dalla separazione fra gli opposti; ritorna nella scuola pitagorica, dove uno dei temi-chiave è che il numero simboleggia l’opposizione fra ciò che è limitato e ciò che non lo è; infine diventa sostanziale nel pensiero di Eraclito, in cui il conflitto fra opposti genera il divenire che è il lògos del mondo, essenza stessa della realtà.
Questa tematica viene rielaborata e portata ad un livello successivo da Parmenide, il quale non si interroga sulla contrapposizione fra i singoli elementi, ma sulla contrapposizione più radicale che ci sia: quella fra l’essere e il nulla.
ESSERE E LINGUAGGIO
La conseguenza netta, radicale, di questa contrapposizione è che l’essere e il nulla rappresentano due realtà inconciliabili. Questo porta Parmenide ad una affermazione filosofica radicale: se l’essere e il niente sono totalmente separati, questo vuol dire che l’essere è e non può non essere, mentre il non essere non è e non può essere.
Questa affermazione appare a prima vista un gioco di parole, ma le sue conseguenze sono molto profonde. Vediamo perché.
ALETHEIA E DOXA
Il mondo come ci appare sembra mischiare l’essere con il non essere. Facciamo un esempio banale: la mela non è una pera. Questo vuol dire che le verità che noi ricaviamo con i sensi sono prive di un reale fondamento.
Questa osservazione porta Parmenide a individuare due strade della conoscenza profondamente separate.
Da un lato abbiamo la doxa, ovvero l’opinione che nasce dai sensi. Questa strada, come detto, appare inconsistente.
Dall’altro lato abbiamo l’aletheia. Questo termine indica la verità e in senso etimologico significa ciò che non è velato. In altri termini, Parmenide indica la verità come ciò che si è liberato dall’inganno, in questo caso i sensi. La via per l’aletheia è la ragione. E quindi la strada per l’essere è la strada della ragione. Cerchiamo di capire meglio.
L’ESSERE E LA RAGIONE
Perché la ragione ci conduce all’essere? Per due motivi essenziali.
1. I sensi ci portano a ragionare sui singoli enti, cioè sulle singole cose che sono, perché i sensi hanno una validità empirica, sono limitati dall’esperienza. La ragione invece può astrarre e pensare in termini generali, assoluti. E quindi può produrre una riflessione sull’essere in quanto tale. Con questo punto della sua riflessione, Parmenide fonda così l’ontologia, ovvero quel ramo della filosofia che si interroga su cosa è l’essere (per approfondire clicca qui per il dizionario filosofico).
2. La separazione fra essere e nulla è una separazione di tipo logico (e quindi razionale) in quanto si fonda sul principio di non-contraddizione. Questo principio verrà sviluppato in termini compiuti da Aristotele, ma di fatto è già presente in Parmenide. Tale principio afferma infatti che una cosa non può essere sé stessa e al contempo un’altra. L’essere dunque, per essere tale, non può essere il niente, ovvero il non essere. Tutto questo porta Parmenide anche ad un’altra importante conclusione, ovvero rintracciare la profonda connessione fra essere, ragione (ovvero pensiero) e linguaggio. Perché l’essere è razionale, quindi può essere pensato e può essere detto.
Ma non è finita qui: a partire da questo ragionamento, Parmenide giunge a una conclusione radicale. Vediamo quale.
LE CARATTERISTICHE DELL’ESSERE
Dato quello che abbiamo visto, ovvero la separazione netta fra essere e nulla, Parmenide individua quelle che sono le caratteristiche dell’essere applicando un procedimento logico-linguistico. Vediamo quali sono:
1. L’unicità = se A non può essere qualunque altra cosa che non sia A, vuol dire che l’essere deve essere unico. Da qui l’impossibilità della molteplicità.
2. L’eternità = l’essere è sempre esistito e sempre esisterà, perché se si fosse determinato a partire da un qualche momento vorrebbe dire che prima non era, dunque era nulla; l’eventuale fine, allo stesso modo, implicherebbe il passaggio dall’essere al niente. E, come abbiamo detto, tutto questo non è logicamente pensabile.
3. La finitezza = l’essere è limitato, perché se fosse infinito vorrebbe dire che ancora non è compiuto, quindi ancora non è. Dunque si ricadrebbe nella confusione fra essere e niente.
IL PROBLEMA DELLA FILOSOFIA PARMENIDEA
Il ragionamento di Parmenide porta a un punto apparentemente paradossale. Le caratteristiche dell’essere sono infatti completamente impensabili di fronte alla natura, che ci appare invece dominata dal molteplice e dal divenire delle cose.
Il problema si amplia ulteriormente nel momento in cui quello che Parmenide scrive sulla strada della doxa, e quindi sulla validità di quello che possiamo conoscere tramite i sensi, è andato sostanzialmente perduto, quindi bisogna agire per ipotesi più o meno plausibili.
Una prima possibile soluzione è che Parmenide sostanzialmente stia dicendo che la natura è pura apparenza, ma questa conclusione sembra troppo radicale e irrealistica.
Una seconda possibilità è che Parmenide voglia piuttosto tracciare due verità distinte fra di loro: una verità che nasce dall’osservazione della natura, che è una verità plausibile ma limitata; ed una verità invece profonda, che riflette sulla struttura stessa della realtà. In tal senso si può ampliare lo sguardo: quello che direbbe Parmenide, in questo caso, sarebbe che le cose sì cambiano e sono molteplici, ma la realtà (ovvero l’essere) è unica ed eterna (e dunque immutabile) nel suo complesso.
Una terza possibilità è che Parmenide in realtà stia facendo un discorso molto più assimilabile a quello di Eraclito di quanto potrebbe apparire a prima vista, ovvero sostenendo, un po’ linea con la seconda soluzione che abbiamo indicato, che la realtà è composta da contrari in contrapposizione fra di loro, ma questi sono sempre inclusi nell‘unità del tutto.
Una quarta possibilità è che il discorso di Parmenide abbia in realtà una valenza principalmente linguistica. Come abbiamo visto vi è una profonda connessione fra ciò che esiste e il linguaggio, perché si può dire solo ciò che è. Le cose sono sì soggette al mutare del tempo, ma nel momento in cui possono essere pensate e dette possono essere pensate e dette eternamente.