Aristotele: vita, opere e pensiero

1. La vita

Aristotele nasce intorno al 384 a.C. a Stagira, in Macedonia e cresce a Pella, capitale del regno.
Circa nel 367 a.C. si trasferisce ad Atene dove entra nell’Accademia platonica, diventando così uno stretto allievo di Platone.
Dopo la morte di Platone, in rottura con il nuovo scolarca dell’Accademia, Speusippo, nel 347 a.C. lascia Atene e inizia a girare fra le comunità platoniche in Asia Minore.
Nel 343 a.C. si reca alla corte di Filippo II di Macedonia per occuparsi dell’educazione del figlio, Alessandro.
Nel 335 a.C. torno ad Atene, dove fonda una sua scuola, il Liceo. Dopo la morte di Alessandro, ad Atene diventa egemone il partito antimacedonico che prende di mira Aristotele per i suoi precedenti legami con l’imperatore.
Messo sotto accusa, nel 323 a.C. si rifugia a Calcide, dove muore l’anno successivo.

2. Il sistema delle opere

L’idea di base del pensiero aristotelico è che, a partire dall’osservazione e dallo studio della natura, l’intera realtà possa essere compresa nella sua razionalità.
Le sue opere sono così suddivise in una serie di temi e nel loro complesso danno vita ad un rigoroso sistema che raccoglie i vari saperi.
Il suo intero sistema filosofico può essere distinto in due parti:
-le scienze che hanno per oggetto il necessario (=ciò che non può essere diverso da come è). Di questo gruppo fanno parte le scienze teoretiche ovvero: filosofia prima (che possiamo chiamare anche metafisica o ontologia), fisica (in cui distinguiamo fra fisica della natura e antropologia, ovvero studio dell’uomo) e matematica (che è un tema poco approfondito da Aristotele)
-le scienze che hanno per oggetto il possibile (=ciò che può essere diverso da come è). In questo gruppo rientrano: le scienze pratiche, ovvero che riguardano l’agire individuale e collettivo dell’uomo (ovvero etica e politica) e le scienze poietiche, che riguardano la produzione, ovvero la creazione di qualcosa di esterno all’uomo (su questo tema Aristotele sviluppa in particolare opere che studiano la retorica, ovvero la produzione di discorsi, e l’estetica, ovvero la produzione artistica).
Fuori da questa distinzione di base vi è la logica. La logica è quel campo che indaga il linguaggio, ovvero la validità dei discorsi. Nel nostro schema partiremo proprio dalla logica, in quanto essa è la base di ogni scienza, dal momento che ogni scienza ha come fine quello di produrre discorsi.

3. La logica

La logica è lo studio della verità delle proposizioni. In pratica, la logica studia se le connessioni che stabiliamo fra una serie di termini sono corrette.
A partire da questa premessa andiamo a vedere in particolare quattro questioni:
1. Le tipologie di proposizioni
2. Il sillogismo
3. I concetti di genere e specie
4. Il principio di non-contraddizione

LE TIPOLOGIE DI PROPOSIZIONI

Le proposizioni possono essere:
1. Universali (= tutti gli uomini sono mortali)
2. Particolari (=qualche uomo è nato in Italia)
3. Singolari (=Socrate è un uomo)
Queste ultime però non sono oggetto della scienza, in quanto non hanno validità solo individuale, non generale.
Al di là delle distinzioni fra universali e particolari, tutte le proposizioni poi possono essere:
– affermative o negative (es. “qualche uomo è nato in Italia”, oppure “qualche uomo non è nato in Italia”)
-possibili, necessarie o impossibili

IL SILLOGISMO

A partire da queste possibili distinzioni, Aristotele studia le connessioni che sono valide o che non lo sono.
Fra le varie connessioni la principale è quella che Aristotele chiama sillogismo.
Un sillogismo è anche detto ragionamento concatenato ed è costituito da tre proposizioni: due premesse e una conclusione.
In un sillogismo se le premesse sono vere, la conclusione è necessariamente valida.
Facciamo un esempio per capirci meglio:
-I premessa: “tutti gli animali sono mortali”
-II premessa: tutti gli uomini sono animali”
-conclusione: “tutti gli uomini sono mortali”
Un sillogismo per essere corretto non deve solo avere premesse valide, ma deve avere anche uno schema nei termini presenti. In particolari nelle premesse vi deve essere:
1. un termine medio, ovvero che ricorre in entrambe le premesse (in questo caso animali)
2. due termini estremi, che ricorrono uno in una premessa e uno nella seconda premessa (in questo caso mortali e uomini)
3.nella conclusione sono infine connessi i due termini estremi e viene eliminato il termine medio
Questo schema basilare può avere una serie di variabili che Aristotele chiama figure, ma che qui non andiamo a vedere.
Altro elemento che può ulteriormente complicare lo schema è la presenza di proposizioni negative e/o particolari.
Qui ci concentriamo solo su questa prima figura perché essa è quella che Aristotele definisce scientifica, in quanto è quella che da certe premesse produce delle conclusioni valide. Questo ragionamento è di tipo dimostrativo (o deduttivo) ed è alla base della scienza, in quanto produce un sapere universale e necessario.
Un ultimo problema da indagare è quello delle premesse, in quanto il sillogismo è valido se le premesse sono valide.
Se infatti a partire da una certa verità che riconosciamo come tale possiamo derivare un’altra verità in modo deduttivo, il problema è come risalire alla verità generale universale da cui far derivare le altre.
Qui occorre applicare un metodo contrario a quello deduttivo, ovvero quello induttivo. Il ragionamento induttivo è partire da una serie di casi particolari per trarre una proprietà universale. Facciamo un esempio che fa anche Aristotele: da un lato nota come l’uomo, il cavallo e il mulo sono animali senza bile; dall’altro nota che questi tre animali sono longevi. Questo gli permette di indurre una verità generale: gli animali senza bile sono longevi.

GENERE E SPECIE

Questo discorso ci porta a un altro tema che è centrale nel sistema logico aristotelico: quello relativo ai concetti di genere e specie.
Per genere si intende un livello più generale a cui un gruppo meno universale (detto specie) appartiene. Facciamo un esempio: l’uomo è una specie che appartiene al genere degli animali.
Questa distinzione porta alla possibilità di produrre definizioni, ovvero a trovare un’essenza che contraddistingue un certo universale (gli uomini, i cavalli, i gatti, e via dicendo). Tutti questi gruppi appartengono al genere animale e dunque hanno nella loro essenza l’essere mortali. Allo stesso tempo però è possibile costruire una specifica definizione di ognuno di essi a partire dalle differenze. Stando nell’esempio possiamo dire che l’uomo è quella specie che appartiene al genere animale e che a differenze delle altre è razionale. Quindi, ad esempio, possiamo arrivare alla conclusione che la definizione universale di uomo è che esso è un animale mortale e razionale.

IL PRINCIPIO DI NON CONTRADDIZIONE

Un ultimo aspetto da analizzare rispetto alla logica è quello relativo al principio di non contraddizione. Ogni scienza ha dei principi propri, in quanto la fisica ad esempio è una cosa diversa dalla geometria, ma esistono anche dei principi comuni. Questi principi comuni sono gli assiomi, ovvero verità autoevidenti. Ad esempio l’assioma: “il tutto è maggiore della parte”. Fondamentale, fra questi assiomi, è il principio di non-contraddizione, che è alla base di tutto il sistema logico aristotelico.
Questo principio afferma che una cosa non può essere e non essere allo stesso tempo. Ovvero: A non può essere anche non-A. Detto in termini ancora più semplici: un gatto non può non essere un gatto.
Il principio di non-contraddizione è la base logica di ogni discorso in quanto negandolo si arriverebbe a verità assurde.

4. La fisica

Le opere di logica, occupandosi del linguaggio, pongono le basi della conoscenza. Dopo queste Aristotele inizia lo studio effettivo della realtà con una serie di trattati dedicati alla fisica, ovvero allo studio di quei corpi che hanno come caratteristica essenziale il cambiamento.
I temi principali toccati da Aristotele nella fisica sono:
1. Le essenze delle specie
2. Le cause del divenire
3. La struttura del cosmo
4. Il primo motore immobile
5. L’anima

LE ESSENZE DELLE SPECIE NATURALI

Prima di iniziare ad addentrarci nella fisica aristotelica occorre una premessa: secondo Aristotele il mondo è composto da una serie di specie naturali ognuna delle quali dotata di una propria essenza. Questo significa che mentre la scienza moderna cerca di individuare delle leggi generali in grado di spiegare il funzionamento dell’universo, in Aristotele ogni specie è dotata di una essenza che ne determina lo specifico funzionamento. In questa prospettiva la natura è un insieme ordinato di specie che sono fisse e dotate di propri meccanismi essenziali.
Le differenze fra queste specie sono poi di natura qualitativa e non quantitativa. Anche qui vi è una grossa differenza con la scienza moderna, che studia le cose del mondo attraverso i suoi dati quantitativi, ovvero oggettivi e misurabili.

LE CAUSE DEL DIVENIRE

Fatta questa prima necessaria premessa, andiamo subito a individuare un altro pilastro della fisica aristotelica. Se la fisica è lo studio delle cose che mutano, il punto di partenza deve essere quello di domandarsi perché esiste il cambiamento.
Aristotele individua quattro cause che concorrono a determinare il mutamento:
1. Causa formale = significa che ogni cosa deve avere assumere necessariamente una certa forma
2. Causa materiale = significa che il cambiamento è possibile perché la materia che compone le cose è destinata a mutare
3. Causa efficiente = significa che un agente esterno interviene sulla materia per modificarla
4. Causa finale = significa che il cambiamento è sempre determinato dal suo fine
Queste quattro cause si possono comprendere con facilità con un esempio. Pensiamo ad esempio ad uno sculture che realizza una statua di marmo del dio Apollo.
Qui noi abbiamo:
1. Una causa formale che è la forma stessa del dio
2. Una causa materiale che è il marmo, il quale può essere modificato nella forma che assume
3. Una causa efficiente che è lo sculture che interviene sul blocco di marmo iniziale per dargli una forma diversa
4. Una causa finale che è il motivo per cui lo sculture si mette all’opera, che nel caso specifico può essere venerare il dio
Fra le varie cause la più importante è quella finale, in quanto è ciò che determina effettivamente l’inizio del cambiamento.
Questo significa che se un pilastro della visione fisica di Aristotele, come abbiamo visto, è l’idea che il mondo è composto da essenze, la seconda è che il mondo ha un’impostazione finalistica, ovvero tutto accade per un motivo.

LA STRUTTURA DEL COSMO E LA TEORIA DEI LUOGHI NATURALI

Il terzo pilastro della fisica aristotelica è la visione del cosmo come unico, finito ed eterno. Questa deriva dall’impostazione finalistica generale. In questo caso infatti l’idea di base è che l’universo è perfetto, e per essere tale deve possedere necessariamente queste tre caratteristiche.
In questo universo la Terra è posta al centro, in una prospettiva geocentrica. Intorno ad essa i corpi celesti ruotano seguendo orbite circolari, in quanto esse sono perfette.
Altro punto fondamentale è che per Aristotele il mondo terrestre e quello celeste extraterrestre sono composti da elementi diversi.
Il mondo celeste è composto da etere, una materia incorruttibile, priva di peso e trasparente.
Il mondo terrestre è invece composto dai quattro elementi tradizionali: acqua, aria, terra, fuoco.
In questa composizione non esiste il vuoto, come sosteneva Democrito, per cui il movimento si spiega secondo la teoria dei luoghi naturali.
Secondo questa:
1. I corpi celesti si muovono in maniera circolare perché si muovono nell’etere
2. I corpi terrestri si muovono invece verso l’alto o il basso in base al luogo che naturalmente gli appartiene. I vari elementi hanno infatti una pesantezza diversa (dal fuoco che è il più leggero e quindi compone l’atmosfera, alla terra che è la più pesante e che dunque è più in basso): i vari enti vanno secondo Aristotele a ricongiungersi col luogo che gli appartiene. I corpi stessi infatti sono composti da questi elementi e si ricongiungono allo strato che naturalmente gli appartiene. Per fare un esempio semplice: se abbiamo un sasso in mano e apriamo la mano, il sasso cade a terra non per la legge di gravità, ma perché appartiene naturalmente alla terra che, essendo lo strato più in basso nella disposizione dei quattro elementi, attrae il sasso in giù.

IL PRIMO MOTORE IMMOBILE

La visione cosmologica di Aristotele si conclude con la dimostrazione che l’universo richiede un primo motore immobile.
L’idea di base è che ogni cosa che si muove e cambia non si muove e cambia da sé, ma è attivata da qualcos’altro. Questo vuol dire che vi è una catena di cause che si può ripercorrere all’indietro. Questa catena però, per logica, non può essere infinita. Se non può essere infinita vuol dire che vi deve essere un punto di inizio: dunque vi deve essere una sostanza che non è mossa da altro, ovvero una sostanza che è causa incausata. In altri termini una prima sostanza che è causa del movimento di altro, ma che a sua volta non è causata, non è messa in moto da altro.
Questa sostanza è detta da Aristotele: primo motore immobile. Il termine chiarisce cosa Aristotele intende: questa sostanza è il primo motore, dunque il primo artefice del movimento, ma è immobile, ovvero non è in movimento.
Qui abbiamo però un problema: ogni cosa dotata di materia deve necessariamente cambiare (come abbiamo visto con le quattro cause del divenire). Questo motore invece è immobile. Questo vuol dire che questo motore non ha materia. A questo punto Aristotele è arrivato ad individuare una sostanza immateriale e che non cambia: questo vuol dire che il motore immobile non può essere studiato dalla fisica, e andrà invece studiato dalla metafisica. Quindi Aristotele vi tornerà nei trattati successivi.

L’ANIMA

Prima di passare allo studio della filosofia, Aristotele conclude le sue opere di fisica studiando gli esseri viventi. Questo vuol dire che Aristotele nella fisica si occupa anche di biologia.
Tutti gli esseri viventi hanno in comune, secondo Aristotele, il fatto di possedere un’anima. Quindi anche la psicologia, ovvero lo studio dell’anima, fa parte della fisica.
Secondo Aristotele l’anima è inseparabile dal corpo, a differenza di quanto sostenuto da Platone. Anzi, Aristotele la definisce la forma del corpo, ovvero ciò che organizza il corpo stesso.
Se l’anima organizza il corpo, significa che ne determina le funzioni vitali.
Queste funzioni principalmente sono tre:
1. La funzione nutritiva
2. La funzione sensitiva e locomotoria
3. La funzione intellettiva
L’anima delle piante possiede solo la prima funzione, quella degli animali le prime due, solo l’anima umana possiede tutte e tre le funzioni. La conoscenza intellettiva è dunque quella che contraddistingue l’uomo ed è quella che rende possibile il passaggio da una conoscenza sensibile (ovvero la percezione di un qualunque ente) ad una conoscenza della sua essenza (ovvero la comprensione della natura di quell’ente, ad esempio il suo essere un uomo) che ci permette di arrivare a produrre concetti universali (che abbiamo visto nella parte della logica).

CONCLUSIONE

La visione fisica di Aristotele condiziona il modo di pensare l’universo perlomeno fino alla rivoluzione scientifica del XVII secolo, che stravolge gli assiomi di Aristotele e fonda la scienza moderna.
Le basi su cui poggia la visione aristotelica sono:
1. L’impostazione finalistica secondo il funzionamento della natura è determinato dal suo fine, nulla avviene in maniera casuale
2. Una visione cosmologica fondata sull’idea che l’universo è finito, i movimenti dei corpi celesti circolari, il vuoto non esiste e la Terra è al centro di questa totalità
3. L’idea che l’universo è composto da specie naturali fisse e immutabili, ognuna dotata di una propria essenza che ne fissa il funzionamento e che è determinata dai suoi aspetti qualitativi e non quantativi

5. La filosofia

In una serie di trattati che nel terzo secolo d.C. verranno raccolti sotto il titolo di Metafisica, Aristotele studia la filosofia, che lui definisce scienza prima in quanto essa studia le “cause e i principi primi”, ovvero le cause più generali dell’intera realtà.
Oltre che scienza prima, la filosofia di Aristotele la possiamo definire anche:
-metafisica = in quanto studia ciò che è oltre la natura in quanto materia
-ontologia = in quanto studia l’essere

I principali temi della metafisica aristotelica sono:
1. Il concetto di categorie in quanto accidenti
2. Il concetto di sostanza in quanto sinolo
3. I concetti di potenza e atto
4. Il primo motore immobile

LE CATEGORIE IN QUANTO ACCIDENTI

Il punto di partenza della riflessione ontologica di Aristotele è che l’essere non ha una sola forma immutabile, ma si esprime in maniere diverse. Questo aspetto lo possiamo riscontrare innanzitutto nel linguaggio, se pensiamo a quanti modi diversi possiamo utilizzare il verbo essere.
Questi diversi modi sono innanzitutto le categorie, ovvero le differenti possibilità di espressione dell’essere.
Per fare un esempio, una delle categorie è quella di luogo. Noi possiamo infatti dire: Tizio è a Parigi, è a Roma, è al mare, e via dicendo.
Un’altra categoria è quella dell’agire, ovvero il compiere una certa azione. Si può infatti dire che Caio è in piedi, oppure che è seduto.
La caratteristica comune di queste categorie è che queste sono accidentali. Questo vuol dire che non sono necessarie per definire qualcuno o qualcosa. Se noi diciamo Tizio è Parigi, l’essere a Parigi infatti, questa frase non definisce l’essenza di Tizio, il quale si trova sicuramente da qualche parte nella sua esistenza, e solo accidentalmente, ovvero momentaneamente, si trova a Parigi.

Questo discorso ci porta al secondo tema, il concetto di sostanza, che è una seconda e più essenziale manifestazione dell’essere.

LA SOSTANZA IN QUANTO SINOLO

Per sostanza intendiamo l’essenza – dunque ciò che è necessario – di un ente, intendendo per ente ciò che è dotato di esistenza. Viceversa, le categorie di cui parlavamo prima sono gli accidenti della sostanza.
Rifacendoci all’esempio precedente: Tizio è la sostanza, mentre l’essere a Parigi è l’accidente di questa sostanza.
Dunque possiamo definire la sostanza come ciò che è, mentre gli accidenti ciò che sono in relazione alla sostanza. In altri termini: la sostanza è la categoria necessaria, la cui essenza non cambia con il mutare degli accidenti.
Non casualmente Aristotele usa il termine ousia per parlare di sostanza, che letteralmente significa ciò che è sotto, in quanto la sostanza è alla base dei possibili accidenti.

La sostanza, in altri termini, è l’individuo concreto in quanto tale. Per descrivere l’essenza della sostanza, Aristotele usa il termine sinolo.
Sinolo significa unione di materia e forma.
L’essenza di una sostanza è che essa è dunque determinata inevitabilmente dall’avere una certa materia e dal possedere una certa forma (che a sua volta è legata alla specie = una persona ha la forma di un essere umano perché appartiene alla specie umana).
Forma e materia sono inseparabili fra di loro, ma Aristotele sostiene che fra le due la più importante sia la forma. Lo capiamo attraverso un esempio banale: la materia argilla può assumere la forma di un vaso o di un piatto: è la forma dunque a dare un’identità alla materia.

Per chiudere questo discorso è importante una precisazione. Per parlare della forma, Aristotele ricorre spesso al termine eidos, che è lo stesso che Platone usa abitualmente per parlare delle idee. La stessa parola ha però una valenza diversa legata alla differente concezione filosofica: in Platone le idee sono separate dai corpi e hanno un’esistenza autonoma, mentre in Aristotele la forma esiste soltanto nella misura in cui è legata ad un corpo, quindi non esiste un piano ideale indipendente.

I CONCETTI DI POTENZA E ATTO

Stabilito che la sostanza è un sinolo di materia e forma, Aristotele si chiede come sia possibile che la sostanza, di per sé necessaria e non accidentale, possa cambiare. Come faccia ad esempio un neonato a diventare un ragazzo e poi un adulto e via dicendo.
Per spiegare il mutamento, Aristotele ricorre ai concetti di potenza e atto.
Per atto intendiamo ciò che un sinolo è attualmente, in un determinato momento.
Per potenza intendiamo invece la potenzialità che il sinolo ha di mutare.
Riprendendo l’esempio di prima: l’argilla è la materia, dunque è la possibilità che essa ha di essere plasmata in una certa forma. Dunque l’argilla è la potenza. Quando l’argilla assume la forma del piatto è in atto un piatto.
Il passaggio dalla potenza all’atto è un tema fondamentale perché riguarda il divenire dell’essere. Il divenire infatti è descritto da Aristotele non come passaggio dal non essere all’essere (che come Parmenide aveva già stabilito è impossibile), ma come passaggio da potenza ad atto. In questo senso il cambiamento è qualcosa che è insito nella natura stessa della sostanza, dunque dell’essere.
Fra atto e potenza Aristotele attribuisce poi una priorità logica all’atto. Questo perché è ciò che una cosa è attualmente che determina le sue potenzialità (ad esempio: un adulto in atto non può in potenza diventare un bambino)

IL PRIMO MOTORE IMMOBILE

Il discorso sulle possibili forme dell’essere si conclude con la descrizione del primo motore immobile. La sua esistenza è già stata individuata da Aristotele nella parte dedicata alla fisica, ma la sua descrizione avviene nei trattati della Metafisica, dato il carattere immutabile del motore.
Come è infatti possibile che il motore sia immobile? La spiegazione che Aristotele si dà è che esso è privo di materia e dunque sia pura forma. In altri termini è puro atto, senza potenza.
In quanto pura forma, questo motore è totalmente astratto. Quindi è descrivibile come pensiero.
Se portiamo queste premesse alla loro conclusione possiamo definire il motore come eterno e perfetto. In altri termini, lo possiamo definire un dio.
Ma attenzione. Questo motore immobile non ha nulla a che vedere con il successivo dio cristiano. Mentre il dio cristiano crea il mondo, quindi usando una terminologia aristotelica è la causa efficiente della natura, il dio aristotelico è puro pensiero che pensa esclusivamente a sé stesso, in quanto perfetto. Non è il motore immobile a creare il movimento degli altri cieli, ma sono i vari cieli che, attratti dall’amore per la sua perfezione, attivano il loro movimento. Dunque, il motore immobile non è causa efficiente, ma causa finale dell’universo.

CONCLUSIONE

All’inizio dei suoi trattati sulla Metafisica, Aristotele spiega che la filosofia prima si occupa di studiare:
-L’essere in quanto essere
-La sostanza
-Dio
-I principi primi delle cose

Giunti a questo punto possiamo vedere le conclusioni metafisiche a cui giunge Aristotele.
-Per essere in quanto essere  Aristotele si riferisce alla realtà nel suo complesso, le cui manifestazioni sono: le categorie, la sostanza, la potenza e l’atto
-Per sostanza Aristotele si riferisce al sinolo
-Per dio Aristotele si riferisce al primo motore immobile
-Per i principi primi delle cose Aristotele si riferisce ai principi che regolano l’essere e che sono:

  • Il principio di non contraddizione come già stabilito dalla logica
  • Il principio di causa che è alla base del passaggio da potenza ad atto, per cui ogni cosa è causata da altro
  • Il principio di fine che è alla base del cambiamento, in quanto ogni cosa tende a raggiungere la sua forma perfetta

6. Le scienze pratiche

Dopo le opere di filosofia, Aristotele passa a dedicarsi a quelle che definisce scienze pratiche, ovvero che riguardano l’agire dell’uomo. Con il termine scienze pratiche Aristotele include quelli che per noi sono due aspetti distinti:
-l’etica = che studia l’agire individuale del singolo
-la politica = che studia l’agire della collettività
I due discorsi sono strettamente connessi perché per Aristotele il fine ultimo delle azioni dell’uomo è la felicità, ma la giusta felicità non si realizza individualmente ma nella vita in associazione con gli altri. Aristotele definisce infatti l’uomo un animale politico.

L’ETICA

Per quanto riguarda il discorso etico, Aristotele parte dalla considerazione che l’uomo agisce sempre in vista di un qualche fine. Ma ogni singolo fine agisce a sua volta verso un fine ultimo che è definito da Aristotele bene sommo. Questo bene supremo è la felicità che concretamente si può realizzare nella vita.
Fatta questa premessa dobbiamo chiederci: in cosa consiste la felicità dell’uomo in quanto tale?
La risposta è che la felicità consiste nell’esercizio della ragione, in quanto la ragione è il tratto distintivo dell’uomo.
L’esercizio della ragione rende l’uomo virtuoso e dunque felice.
La virtù non è però unica.

Dal momento che l’uomo ha sia una parte appetitiva (=che segue gli istinti) che una razionale, Aristotele divide le virtù in due grandi categorie:

le virtù etiche = quelle in cui la ragione riesce a dominare la propria parte appetitiva
le virtù dianoetiche = quelle che consistono nell’esercizio stesso della ragione in sé

ETICA: LE VIRTU’ ETICHE

Aristotele individua una serie di possibili virtù etiche e sostiene che per determinare l’atteggiamento virtuoso occorre applicare il principio del giusto mezzo fra gli estremi. Ad esempio il coraggio è una virtù in quanto è il giusto mezzo fra l’essere temerario e l’essere pauroso.
Aristotele elenca una serie di virtù ma stabilisce che la più importante è la giustizia, in quanto essa vuol dire agire in modo giusto. Per questo la giustizia è sia una virtù particolare che una sintesi di tutte le virtù.
Aristotele individua due forme di giustizia:

-La giustizia distributiva = è quella che riguarda la distribuzione di beni. In tal senso la piena giustizia distributiva è quella che ricompensa in maniera proporzionale le persone per i loro meriti (ad esempio è giusto un docente che attribuisce i voti in base al merito degli studenti)
-La giustizia commutativa = è invece di natura correttiva. Ad esempio di fronte a un reato (come il furto, l’aggressione e via dicendo) occorre “correggere” l’azione attraverso una pena proporzionale. La giustizia quindi sta nel sancire la giusta pena rispetto al reato commesso.

Su queste due forme di giustizia occorre fondare il diritto, garantendo così che il rispetto della legge produca un comportamento virtuoso.

ETICA: LE VIRTU’ DIANOETICHE

Per quanto riguarda le virtù dianoetiche, ovvero che riguardano lo sviluppo della ragione, Aristotele fa una classifica che ha al suo vertice la sapienza.
Per sapienza Aristotele intende la capacità di coniugare la capacità intuitiva di cogliere i principi primi e quella dimostrativa di compiere deduzioni.

Dal momento che la sapienza è la virtù dianoetica per eccellenza, e dal momento che le virtù dianoetiche sono quelle che più caratterizzano l’uomo in quanto riguardano l’esercizio puro della ragione, la sapienza è la virtù più elevata dell’uomo e quella che dunque permette il bene sommo, ovvero la felicità.

Da questo punto di vista la vita contemplativa, ovvero legata allo sviluppo dell’intelligenza, è il modello ideale a cui l’uomo deve aspirare.

POLITICA

Questo discorso è da collegarsi però strettamente al discorso politico. La vita contemplativa è infatti permessa solo se l’individuo è inserito in una comunità che funziona in maniera adeguata e assicura ai suoi cittadini i beni materiali necessari.
A questo punto occorre chiedersi quale sia la forma politica più adeguata.
Aristotele rifiuta il discorso platonico dello stato ideale, in quanto non realizzabile. Per questo Aristotele studia le diverse forme di governo possibili alla ricerca della soluzione realisticamente più adeguata.

Aristotele individua tre possibili regimi:

-il governo di uno

-il governo di pochi

-il governo di molti

Ognuno di questi possibili regimi ha una forma positiva e una negativa, in base al .fatto se il governo agisce in vista del bene comune oppure no.

Per quanto riguarda il governo di uno solo:
-La tirannide è la degenerazione della monarchia, in quanto questo governo è instaurato a puro vantaggio del singolo despota

Per quanto riguarda il governo dei pochi:
-L’oligarchia è la degenerazione della aristocrazia in quanto l’aristocrazia è il governo dei migliori, mentre l’oligarchia il governo dei ricchi

Per quanto riguarda il governo dei molti Aristotele distingue fra:
-una repubblica moderata (per cui Aristotele utilizza il termine di politeia) = in cui si realizza il bene comune, il che è possibile quando le cariche di governo sono aperte ai migliori (gli aristocratici) ma in cui le decisioni sono prese dai cittadini. Questo modello è ben funzionante quando è presente una numerosa classe media che impedisce gli eccessi sia dei ricchi che dei poveri
-una democrazia = una forma degenerata in cui si realizza una tirannia dei poveri, perché il potere è assunto dai demagoghi, ovvero da quelli che Aristotele definisce con disprezzo “adulatori del popolo”.

7. Le scienze poietiche

Il corpo delle opere aristoteliche si chiude con i trattati dedicati alle scienze produttive, intendendo con questo termine:
-la retorica = l’arte di produrre discorsi persuasivi
-la poetica = l’arte di produrre poesia.

LA RETORICA

La retorica è, come detto, l’arte di persuadere il pubblico a proposito di un certo argomento.
La retorica si serve di quegli strumenti già analizzati da Aristotele, come il metodo induttivo e quello deduttivo. Anche la retorica può utilizzare il sillogismo, ma stavolta non si tratta di un sillogismo scientifico, bensì di un sillogismo retorico.
La differenza sostanziale è che il sillogismo scientifico parte da premesse vere, quello retorico da premesse ritenute per lo più vere, ovvero ritenute tali dalla maggioranza della gente.
Aristotele individua tre possibili discorsi retorici:
1. Il genere deliberativo = convincere un’assemblea politica a prendere decisioni che riguardano il futuro
2. Il genere epidittico = per lodare o criticare un personaggio, quindi si colloca nella sfera del presente
3. Il genere giudiziario = per difendere o accusare un imputato, quindi è un genere che riguarda eventi passati
A prescindere dal genere in cui l’oratore è impegnato, questi è chiamato a persuadere i suoi ascoltatori tenendo conto delle loro passioni. Come dice infatti il filosofo: “le cose non sembrano le stesse a chi ama e a chi odia, bensì appaiono del tutto differenti”.

LA POESIA

Con il termine poesia, Aristotele include l’epica, la lirica e il teatro.
La peculiarità della produzione poetica è il fatto che essa imita la realtà. L’imitazione non significa però copiare, bensì mettere in scena una drammatizzazione delle passioni umane.
Per Aristotele la produzione poetica ha dunque un forte valore: lo spettatore o il lettore che si trova di fronte all’imitazione della vita, può apprendere da essa.
Secondo Aristotele un valore particolare è ricoperto dalla tragedia, in quanto con essa lo spettatore può osservare cosa può produrre una passione non controllata e attraverso lo spettacolo teatrale può andare incontro ad una catarsi. Ovvero può immedesimarsi nelle vicende messe in scena e purificarsi attraverso la rappresentazione. Questo processo si conclude con un apprendimento che avviene proprio attraverso questi passaggi, per cui il valore ultimo della tragedia è che essa è fonte di conoscenza.


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