14–21 minuti


INDICE DEI CONTENUTI

  1. 1. IL TITOLO E IL TRIBUNALE DELLA RAGIONE
  2. 2. RAZIONALISMO ED EMPIRISMO
  3. 3. I GIUDIZI ANALITICI A PRIORI
  4. 4. I GIUDIZI SINTETICI A POSTERIORI
  5. 5. I GIUDIZI SINTETICI A PRIORI
  6. 6. LA “RIVOLUZIONE COPERNICANA”: FENOMENO, NOUMENO, TRASCENDENTALI
  7. 7. IL PROCESSO CONOSCITIVO DELL’UOMO
  8. 8. LE FORME A PRIORI DELLO SPAZIO E DEL TEMPO
  9. 9. L’INTELLETTO E LE CATEGORIE DELL’IO PENSO
  10. 10. I PRINCIPI DELL’INTELLETTO PURO
  11. 11. L’IO LEGISLATORE DI NATURA
  12. 12. LE IDEE DELLA RAGIONE
  13. 13. L’IDEA DELL’ANIMA
  14. 14. L’IDEA COSMOLOGICA E LE ANTINOMIE
  15. 15. L’IDEA DI DIO E LA PROVA ONTOLOGICA
  16. 16. CONCLUSIONI SULLA METAFISICA
  17. APPROFONDIMENTI: VIDEO DIDATTICI
  18. CONTINUA A NAVIGARE

1. IL TITOLO E IL TRIBUNALE DELLA RAGIONE

Il presupposto di Kant nella Critica della Ragion Pura è quello di individuare le fondamenta della conoscenza.
Per capire come intende muoversi il filosofo si può partire dall’analisi del titolo dell’opera:
Critica = analisi
Della ragione = vuol dire che l’analisi deve essere prodotta dalla ragione, ma deve a sua volta essere rivolta alla ragione stessa
Pura = vuol dire che ci si sofferma sulle cosiddette conoscenze pure, ovvero di ambito teoretico: matematica, fisica, metafisica

Lo scopo dell’opera è dunque quello di determinare la capacità della ragione umana di esprimere una conoscenza valida in questi tre campi del sapere.
La ragione infatti è per Kant – nel suo approccio illuminista – il fondamento stesso della conoscenza umana. La ragione non è però illimitata, come sosteneva Cartesio: essa è in grado di fondare la conoscenza, ma entro certi limiti.
Occorre dunque individuare questi limiti: è questo il cuore del criticismo kantiano. Ovvero analizzare i limiti della ragione umana.

Per svolgere questa critica, ovvero questa analisi, Kant usa un’immagine: quella del tribunale. Con una metafora, infatti, il filosofo tedesco sostiene che occorre sottoporre a giudizio la ragione per poter comprendere i limiti della sua estensione. Ma, attenzione, questa indagine deve essere prodotta dalla ragione stessa, in quanto essa è l’unica autorità a cui l’uomo può rifarsi. È dunque la ragione che possiede gli strumenti per analizzare sé stessa.


2. RAZIONALISMO ED EMPIRISMO

Stabilito dunque che la ragione è il perno della conoscenza umana e che essa ha una portata conoscitiva limitata, possiamo andare al passaggio successivo e capire in quale contesto filosofico si muove Kant e qual è la novità che egli propone.

Da un lato Kant si deve confrontare con il razionalismo, corrente che sostiene la portata illimitata della ragione. Dall’altro con l’empirismo, secondo cui il fondamento della conoscenza è l’esperienza.

Kant individua i limiti di questi approcci:

-critica il razionalismo in quanto questo approccio produce una conoscenza valida e universale, ma negando il valore dell’esperienza non produce mai un tipo di conoscenza nuova

-critica l’empirismo che, tramite l’esperienza, è in grado di raggiungere un tipo di conoscenza nuova, ma che non può mai produrre una conoscenza universalmente valida, in quanto ogni forma di conoscenza è sempre subordinata all’esperienza.

La domanda che si pone a questo punto Kant è: è possibile arrivare a una conoscenza universalmente valida e che si avvalga del contributo dell’esperienza?

In termini filosofici, Kant si chiede se è possibile arrivare a produrre giudizi sintetici a priori.

Per giudizio intendiamo il predicare qualcosa a proposito di un soggetto. Ovvero: affermare qualcosa a proposito di qualcosa/qualcuno.

Per capire cosa si intenda poi per “sintetici a priori” dobbiamo fare un passo indietro e comprendere che tipo di giudizi sono in grado di produrre la filosofia razionalista e quella empirista.


3. I GIUDIZI ANALITICI A PRIORI

Il razionalismo, secondo Kant, produce giudizi analitici a priori.

“Analitici” vuol dire che il predicato del giudizio non aggiunge nulla di nuovo, nulla che non sia già implicito nella natura stessa del soggetto.

“A priori” vuol dire invece che la validità di quanto affermato nel predicato è tale prima dell’esperienza stessa, a prescindere da essa.

Facendo un esempio concreto analizziamo il giudizio: “ogni corpo è esteso”.

Questo giudizio è analitico perché l’essere esteso è una qualità intrinseca al corpo, è già implicita in questo concetto dunque, in quanto un corpo è tale proprio perché è esteso.

Questo giudizio è poi a priori perché appunto non occorre fare esperienza di questa verità.

Questo modo di produrre i giudizi è proprio del razionalismo in quanto nasce dall’utilizzo della sola ragione.

L’elemento positivo di questa modalità è che si arriva a produrre una conoscenza valida e universale.

Il limite è che non si produce mai una conoscenza feconda, in grado di generare quindi qualcosa di nuovo, perché ci si limita a certificare verità già evidenti.


4. I GIUDIZI SINTETICI A POSTERIORI

Rispetto al razionalismo, l’empirismo produce invece giudizi sintetici a posteriori.

Sono “sintetici” in quanto il predicato aggiunge qualcosa di nuovo rispetto al soggetto.

Sono “a posteriori” in quanto la validità di quanto affermato giunge dopo l’esperienza.

Per fare un esempio prendiamo il giudizio: “le rose del giardino sono rosse”.

Qui abbiamo un giudizio sintetico perché l’essere rosse delle rose è qualcosa che non è implicito nel concetto di rosa.

Il giudizio è poi a posteriori perché per arrivare a dire che le rose di un certo giardino sono rosse occorre necessariamente farne esperienza.

Questo modo di produrre i giudizi è dunque proprio dell’empirismo, in quanto si fondano sulla priorità dell’esperienza.

L’elemento positivo di questa modalità è che si produce una conoscenza feconda, l’elemento negativo è che non si arriva mai a produrre una conoscenza valida universalmente.


5. I GIUDIZI SINTETICI A PRIORI

Per Kant dunque occorre andare oltre questi due approcci e arrivare a produrre giudizi sintetici a priori. Sintetici in quanto in grado di dire qualcosa di nuovo rispetto a quanto implicito nel soggetto, ma individuando una base a priori, ovvero senza doverne fare esperienza.

Un esempio di questo approccio è il giudizio: “il calore dilata i metalli”.

La dilatazione dei metalli non è infatti qualcosa di implicito nel concetto di calore, ma una conoscenza che si produce dall’esperienza.

La validità di questo meccanismo è però a priori, in quanto non occorre fare una nuova esperienza per confermare la validità di questo giudizio.

La sua validità a priori sta nel fatto che esiste un rapporto di causa-effetto fra il calore e la dilatazione del metallo. E tale principio di causa-effetto è universalmente valido a priori.

Il problema che si pone a questo punto Kant è: cosa garantisce che un principio come ad esempio quello di causa-effetto sia valido a priori?

È questo sostanzialmente il tema che Kant affronta nell’opera.


6. LA “RIVOLUZIONE COPERNICANA”: FENOMENO, NOUMENO, TRASCENDENTALI

Per giungere a sciogliere questo nodo, Kant sostiene la necessità di compiere una “rivoluzione copernicana” della filosofia.

Il limite di empiristi e razionalisti è, secondo Kant, che essi guardano all’oggetto, ovvero alla struttura della natura, e non al soggetto conoscente, ovvero l’uomo.

L’idea di base di questo approccio è che la realtà sia conoscibile nella sua interezza. Kant nega però la validità di questo assunto, sostenendo piuttosto che la realtà è filtrata dal soggetto conoscente.

Quindi ciò che occorre analizzare è il soggetto, spostare così l’attenzione dalla realtà esterna alla struttura delle categorie con cui l’uomo conosce la natura.

Arriviamo così ai pilastri del ragionamento kantiano, ovvero la distinzione fra fenomeno e noumeno e l’esistenza dei trascendentali.

Andiamo con ordine.

Per quanto riguarda il primo tema, per fenomeno Kant intende la realtà esterna che si mostra all’io. In altri termini il fenomeno è la rappresentazione che l’io produce della realtà esterna.

Viceversa, il noumeno è la realtà esterna all’io e che non si mostra ad esso. Kant usa infatti anche il termine cosa in sé. Ma dobbiamo fare attenzione: il noumeno va preso come ipotesi, la sua esistenza va assunta dall’io esclusivamente come possibilità. Quindi è evidente che sulla realtà della cosa in sé l’io non può esprimere nessuna conoscenza che sia valida.

Giunti a questo punto possiamo trarre una prima conclusione: l’analisi critica della ragione deve essere quella di individuare i limiti del fenomeno e dunque i limiti della sfera dentro cui è possibile esprimere giudizi sintetici a priori.

Per quanto riguarda il secondo tema, quello dei trascendentali, siamo sempre in un ambito strettamente connesso alla “rivoluzione copernicana” di Kant.

Per trascendentali Kant intende infatti quelle forme della conoscenza che appartengono al soggetto, non all’oggetto. Queste forme trascendentali sono tre:

-le forme a priori

-le categorie dell’io penso

-le idee della ragione


7. IL PROCESSO CONOSCITIVO DELL’UOMO

Per comprendere il funzionamento dei trascendentali dobbiamo passare a comprendere un’altra questione, ovvero il meccanismo del processo conoscitivo dell’uomo.

Secondo Kant, nell’atto conoscitivo il soggetto opera secondo tre passaggi:

-la sensazione = momento in cui la realtà esterna viene percepita attraverso i sensi

-l’intelletto = momento in cui gli oggetti della realtà esterna vengono definiti

-la ragione = in questo caso Kant usa il termine in maniera ristretta. Non intende infatti qui parlare della facoltà della razionalità umana, ma individuare quel momento conoscitivo in cui l’uomo ragiona sulla realtà andando al di là degli elementi che l’esperienza gli può fornire.

Rispetto a questi tre momenti:

-le forme a priori sono i trascendentali della sensazione

-le categorie dell’io penso sono i trascendentali dell’intelletto

-le idee sono i trascendentali della ragione

Occorre quindi adesso analizzare questi tre passaggi.


8. LE FORME A PRIORI DELLO SPAZIO E DEL TEMPO

Il primo momento è quello sensibile, ovvero quando intuiamo l’esistenza della realtà esterna.

Kant sostiene che organizziamo la percezione della realtà esterna attraverso due trascendentali, ovvero le forme a priori dell’esperienza sensibile. Queste forme a priori sono:

-il tempo (anche detto senso interiore): con cui individuiamo la successione temporale dei fenomeni intorno a noi

-lo spazio (anche detto senso esteriore): con cui individuiamo la posizione dei fenomeni rispetto a noi

Tramite questi due sensi percepiamo ad esempio il qui ed ora degli oggetti intorno a noi.

Queste forme a priori rendono possibile, secondo Kant, esprimere GIUDIZI SINTETICI A PRIORI di natura matematica.

Cerchiamo di capire il motivo.

Per matematica innanzitutto si intendono aritmetica e geometria.

Per quanto riguarda l’aritmetica, essa si fonda sul concetto di successione. Ad esempio, quando sommiamo 2+2, per raggiungere il risultato dobbiamo aggiungere 1 e poi ancora 1 al primo 2. Dunque, dobbiamo aggiungere numeri in successione.

Quando affermiamo che 2+2 produce come risultato il 4, stiamo producendo un giudizio sintetico a priori. Il 4 non è infatti implicito nel concetto di 2+2, quindi il predicato aggiunge qualcosa di nuovo rispetto al soggetto. La sua validità è da considerarsi però a priori perché si fonda sul concetto di successione che noi possiamo ritenere universale in quanto caratterizza la forma a priori del tempo.

Discorso simile si può fare con la geometria, in quanto essa si basa sull’organizzazione spaziale, al pari della forma dello spazio. Anche in questo caso, dunque, la validità dei teoremi è sempre valida, mentre i risultati specifici sono fecondi in quanto cambiano da caso a caso in base all’esercizio che si vuole risolvere. Abbiamo dunque una conoscenza allo stesso tempo universale e feconda.


9. L’INTELLETTO E LE CATEGORIE DELL’IO PENSO

Fondata la validità della matematica, Kant passa ad analizzare il secondo momento conoscitivo, quello dell’intelletto.

Questa facoltà è quella che ci permette di produrre giudizi, ovvero di unificare i dati dell’intuizione dello spazio-tempo e affermare qualcosa rispetto alla realtà esterna.

Kant distingue due tipi di giudizio prodotti dall’intelletto:

-i giudizi a posteriori

-i giudizio a priori

Proviamo a capire la differenza attraverso un esempio.

Poniamo che ci troviamo di fronte ad una pietra: in questo caso produciamo un giudizio sulla base di un’esperienza, dunque a posteriori. Dire “l’oggetto di fronte a me è una pietra” equivale dunque a produrre un giudizio a posteriori.

Allo stesso tempo però possiamo produrre giudizi basati sull’individuazione di principi che precedono l’esperienza. Ad esempio, possiamo dire: “ogni volta che il sole illumina la pietra la riscalda”. In questo caso stiamo formulando un giudizio basato sul nesso di causa-effetto, il quale è un rapporto sempre valido, tanto che si può formulare il giudizio appena espresso anche se non se ne sta facendo direttamente esperienza.

Cosa ci permette di produrre questi giudizi? Kant risponde teorizzando le categorie trascendentali dell’intelletto. Ovvero categorie che ci guidano nella rappresentazione della natura.

Kant individua quattro gruppi di tre categorie ciascuno.

-Il gruppo della quantità: categorie della totalità, della pluralità, dell’unità

-Il gruppo della qualità: categorie della realtà, della negazione, della limitazione

-Il gruppo della relazione: categorie di sostanza/accidente, di causa-effetto, di azione reciproca

-Il gruppo della modalità: categorie dell’esistenza, della possibilità, della necessità

Perché queste categorie sono schemi generali di rappresentazione della realtà? Facciamo un esempio per capire prendendo il gruppo della quantità.

Le categorie della quantità sono tali perché quando parliamo ci riferiamo necessariamente o alla totalità di un gruppo X, o a una parte (pluralità), o prendendo in considerazione una sola unità.

Ad esempio possiamo parlare di tutte le mele del mondo (categoria della totalità), di una parte delle mele (categoria della pluralità), di una sola mela (categoria dell’unità).

Kant aggiunge poi che queste categorie trovano una loro unità in quello che viene definito Io Penso. L’Io penso è dunque il nostro intelletto, inteso come centro unificatore delle categorie.


10. I PRINCIPI DELL’INTELLETTO PURO

A partire dall’Io penso Kant avvia un ragionamento che lo porta a individuare i “principi dell’intelletto puro”, ovvero le regole di fondo con cui applichiamo le categorie alla realtà esterna.

I principi sono quattro:

-dalle categorie della quantità deriva il principio degli “assiomi dell’intuizione”. Questo principio sostiene che tutti i fenomeni sono delle quantità estensive (ovvero composte da più parti). Da questo principio deriva che è possibile applicare la matematica allo studio dei fenomeni della realtà.

-dalle categorie della qualità deriva il principio della “anticipazione della percezione”. Questo principio afferma che tutti i fenomeni hanno una quantità intensiva. Dunque hanno un’intensità che può essere misurata

-dalle categorie della relazione deriva il principio delle “analogie dell’esperienza”. Questo principio afferma che 1) la sostanza permane nel tempo; 2) che tutti i fenomeni sono in relazione di causa-effetto; 3) che tutti i fenomeni sono in relazione gli uni con gli altri

-dalle categorie della modalità deriva il principio dei “postulati del pensiero empirico”. Questo principio sostiene che ciò che accade nell’esperienza è possibile, reale e necessario.


11. L’IO LEGISLATORE DI NATURA

Mettendo insieme tutti questi principi si va a produrre il concetto fondamentale dell’opera, ovvero che l’Io si pone come legislatore della natura. Qui abbiamo il cuore della rivoluzione copernicana di Kant, in quanto sostenere che l’Io sia legislatore di natura vuol dire sostenere che è l’uomo a possedere i principi generali che i fenomeni della natura seguono. L’ordine regolare dei fenomeni non è nella natura, ma nei principi dell’Io legislatore.

È per questo motivo che l’uomo può produrre leggi fisiche particolari, in quanto possedendo i principi generali può poi, tramite l’esperienza, studiare la natura e trovare quelle regolarità che permettono la formulazione di giudizi sintetici a priori.

Così facendo, Kant giunge a fondare la validità scientifica della fisica.


12. LE IDEE DELLA RAGIONE

A questo punto manca solo un aspetto da analizzare. Ovvero la terza facoltà della conoscenza, la ragione.

Essa, come già abbiamo detto, è quella facoltà che porta l’uomo a produrre idee che vanno oltre i dati che l’esperienza ci mette a disposizione. Questa deriva dal fatto che l’uomo non si accontenta di quello che l’esperienza gli mostra e si pone domande che indagano il noumeno, ovvero la realtà che non si mostra all’uomo. In altri termini, possiamo dire che l’uomo inesorabilmente si pone domande metafisiche.

Kant individua in particolare tre “idee della ragione”, ovvero tre idee che la ragione produce a livello trasversale fra gli uomini.

La prima è l’idea di anima, ovvero l’idea che tutti i fenomeni psichici possano essere ricondotti ad una unità. Kant definisce questa “l’idea della totalità assoluta dei fenomeni interni”.

La seconda è l’idea cosmologica, ovvero l’idea che tutti i fenomeni del mondo possano essere ricondotti ad un ordine generale. Kant definisce questa “l’idea della totalità assoluta dei fenomeni esistenti”.

La terza è l’idea di dio, ovvero l’idea che esista un ente perfetto e assoluto la cui esistenza è dimostrabile. Kant definisce questa “l’idea della totalità assoluta, a fondamento di tutto ciò che esiste”.

Quello che a questo punto si chiede Kant è se queste idee metafisiche possano avere una validità scientifica al pari della fisica. Dunque se esse possano produrre giudizi sintetici a priori.

La risposta che Kant produce è negativa.

Andiamo a vedere perché.


13. L’IDEA DELL’ANIMA

Innanzitutto, per quanto riguarda l’idea di anima Kant sostiene che essa nasca da un errore di fondo, ovvero il voler attribuire sostanzialità all’Io penso, quando invece esso è solo un centro unificatore delle categorie.


14. L’IDEA COSMOLOGICA E LE ANTINOMIE

Per quanto riguarda l’idea cosmologica Kant sostiene che essa nasce da un’idea di fondo errata, ovvero che si possa dare una lettura unitaria di tutti i fenomeni, quando in realtà della gran parte di essi non ne facciamo esperienza. A partire da questa constatazione Kant analizza come nel corso della storia filosofia l’idea cosmologica ha prodotto una serie di riflessioni sull’ordine del mondo in contrapposizione fra di loro.

Kant individua in particolare quattro antinomie, ovvero quattro coppie di affermazioni in contraddizione fra di loro. In pratica, quello che sostiene Kant è che sono state prodotte idee del mondo che vanno o in una direzione o in un’altra completamente opposta, senza che vi siano elementi per determinare quale delle due letture sia effettivamente corretta.

La prima antinomia è la contrapposizione fra chi sostiene che l’universo è finito e chi lo descrive come infinito.

La seconda antinomia consiste nella contrapposizione fra chi sostiene che la materia sia infinitamente divisibile e chi afferma che esista un punto oltre cui è impossibile dividere gli elementi.

La terza antinomia è la divisione fra chi sostiene che l’uomo è dotato di libero arbitrio e chi invece afferma che quello agisce secondo una logica deterministica.

La quarta antinomia è l’opposizione fra chi sostiene che ogni cosa accade per una causa, secondo un principio di causalità, e chi sostiene che ogni cosa accade in maniera casuale, secondo un principio di casualità.


15. L’IDEA DI DIO E LA PROVA ONTOLOGICA

Per quanto riguarda l’idea di dio, Kant passa in rassegna tutte le prove razionali che sono state date nel corso della storia filosofica dell’esistenza di dio, arrivando a dimostrare la loro insostenibilità logica. In particolare Kant smonta la cosiddetta prova ontologica, ovvero quella tesi prodotta da Sant’Anselmo e poi ripresa da Cartesio, secondo cui Dio in quanto essere perfetto non può non esistere. Se non esistesse, infatti, dio mancherebbe dell’attributo dell’esistenza e dunque non sarebbe perfetto.

Kant risponde che questa prova si fonda su un ingiustificato salto dal piano logico alla realtà, in quanto ciò che è perfetto sul piano logico non deve necessariamente esistere. Infatti, dice Kant, logica e realtà sono due sfere diverse e non è necessario il passaggio dall’una all’altra.


16. CONCLUSIONI SULLA METAFISICA

La conclusione di Kant, analizzate le tre idee della ragione, è che la metafisica non può essere oggetto di scienza, in quanto non può produrre giudizi sintetici a priori. Qui vi è dunque il limite che la critica della ragione può individuare, ovvero l’impossibilità per la ragione di dimostrare ciò che è oltre il fenomeno.

Kant vuole così mostrare il proprio rifiuto per quelle che definisce le spiegazioni dogmatiche del mondo, ovvero il voler spiegare il mondo a partire da spiegazioni che discendono da realtà di cui si sostiene l’esistenza, ma la cui esistenza è da collocarsi in una sfera inaccessibile alla ragione pura.


APPROFONDIMENTI: VIDEO DIDATTICI



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