Il mercantilismo è una teoria di politica economica che si sviluppa nel XVII secolo. Il massimo rappresentante delle pratiche mercantilistiche è il ministro delle finanze francesi, Colbert, da cui anche il termine colbertismo.
L’idea di base del mercantilismo è che la ricchezza sia legata alla quantità di metalli preziosi. Quindi la ricchezza, a livello mondiale, è da considerarsi limitata.
Un secondo presupposto fondamentale delle teorie mercantilistiche è che la potenza di uno stato è legata alla sua ricchezza. Di conseguenza uno stato per essere potente sul piano politico-militare deve poter contare su una riserva cospicua di metalli preziosi.
Data questa premessa, un’economia mercantilistica per essere definita tale deve porsi come obiettivo quello di produrre una bilancia commerciale in attivo, ovvero: la quantità di esportazioni deve essere superiore alla quantità di importazioni.
Per raggiungere questi obiettivi occorre attivare alcune pratiche economico-commerciali:
1. Aumentare i dazi doganali, per ridurre le importazioni dall’estero. In questo senso il mercantilismo è un approccio economico di tipo protezionistico
2. Aumentare la produzione interna per essere meno dipendenti dalle importazioni dall’estero. In tal senso lo Stato deve aumentare il suo intervento in economia, stimolando la crescita della produzione in quei settori ritenuti strategici
3. Aumentare il volume dei commerci e l’accesso a materie prime a basso costo. Da questo punto di vista una strada privilegiata è una politica coloniale, fondata sul rafforzamento della marina e sulla creazione di avamposti commerciali oltremare. Nel corso del Seicento e del Settecento questa politica è affidata principalmente a compagnie commerciali private che agiscono in condizioni di monopolio