Heidegger: Essere e Tempo

Essere e Tempo (Sein und Zeit) è un’opera del 1927, probabilmente la più famosa del filosofo tedesco Martin Heidegger. Divisa in tre sezioni è un’opera incompiuta, in quanto l’ultima sezione non è mai stata realizzata. In Essere e Tempo Heidegger affronta il problema dell’essere interrogandosi su cosa sia l’uomo e descrivendolo come esser-ci. Quando arriva il momento di comprendere però cosa sia l’essere interrompe il suo lavoro, comprendendo la necessità di ulteriori ricerche per rispondere a questa domanda.

L’uomo come Esser-ci

La domanda da cui parte la filosofia di Heidegger è molto complessa e probabilmente è la domanda per eccellenza: che cosa è l’essere?

Prima di rispondere a questa domanda, Heidegger ritiene però che occorra innanzitutto analizzare cosa sia l’ente che si pone questa domanda, ovvero l’uomo.

A questa ricerca Heidegger dedica l’opera Essere e Tempo, partendo da una analitica esistenziale, ovvero: l’analisi delle caratteristiche fondamentali dell’essere uomo.

L’uomo, nei suo tratti fondanti, è descritto da Heidegger:

  1. Innanzitutto come esser-ci (das sein) = caratteristica fondamentale dell’uomo è la sua esistenza, che si realizza dentro a un certo tempo e un certo spazio. L’uomo, dunque, è tale perché esiste
  2. L’esistenza dell’esser-ci è caratterizzata dalla possibilità = l’uomo ha davanti a sé indefinite possibilità da realizzare, che si traducono nella possibilità di progettare
  3. L’esser-ci, sommerso dalle possibilità di progetti che gli si prospettano è dunque anche un essere-nel-mondo = è accerchiato da cose a cui dare un significato utile alla realizzazione dei progetti
  4. In quanto essere-nel-mondo che progetta, l’esser-ci si distingue dalle cose del mondo = queste sono di per sé delle semplici presenze, ovvero occupano il mondo senza una consapevolezza di sé. L’uomo dà però a queste semplici presenze un significato, le trasforma in strumenti utilizzabili.
  5. L’esser-ci posto davanti alle cose del mondo, gli attribuisce un significato dunque. Ma per potergli attribuire questo significato, vuol dire che l’uomo deve avere una comprensione del mondo = solo attraverso la comprensione si può infatti dare un significato alle cose del mondo e renderle strumenti utilizzabili
  6. La comprensione proviene però, secondo Heidegger, da una pre-comprensione originaria = l’uomo possiede già degli strumenti della comprensione delle realtà che gli derivano dalla famiglia, dalla società, dall’epoca storica a cui appartiene. In tal senso ogni comprensione, dice Heidegger, è in realtà una pre-comprensione. Lo strumento di pre-comprensione per eccellenza è il linguaggio
  7. A partire dalla comprensione (o ancora meglio dalla pre-comprensione) si attribuiscono dei significati alle cose, ovvero si attua la conoscenza = posta in tali termini, la conoscenza è dunque, a tutti gli effetti, una interpretazione.
  8. Ogni comprensione poi, è legata, a quella che Heidegger definisce situazione affettiva (gioia, dolore, noia, angoscia, ecc…), ovvero una disposizione emotiva.
  9. La situazione affettiva di base è legata al carattere esistenziale che tutti gli uomini condividono e che Heidegger definisce essere-gettato = l’uomo è come gettato nel mondo, ovvero si trova in una situazione esistenziale che non ha scelto, non ha programmato egli stesso.
  10. La situazione affettiva dell’essere-gettato è quella dell’angoscia, che rappresenta dunque una condizione emotiva che potremmo definire originaria dell’uomo.

La Cura

L’uomo, oltre a essere un essere-nel-mondo, ovvero circondato da cose attraverso cui articolare progetti, è anche un essere-con-gli-altri: è inesorabilmente e necessariamente in rapporti agli altri esser-ci.

Rapportarsi con le cose e con gli altri è definito da Heidegger: avere cura. Avere cura, nel vocabolario di Heidegger, significa appunto l’entrare in relazione con il mondo, “utilizzare” le cose del mondo.

L’avere cura degli altri può svolgersi secondo due modalità:

  1. Una modalità inautentica = è un porsi rispetto all’altro sostituendosi ad esso, limitando la sua capacità di avere una propria cura del mondo, e quindi di fatto diventando una figura dominante (es. la modalità inautentica dell’avere cura non è insegnare al bambino ad allacciarsi le scarpe, ma continuare ad allacciargliele al suo posto)
  2. Una modalità autentica = è un porsi costruttivo rispetto all’altro, un aiutarlo a trovare una propria autonoma collocazione nel mondo, a diventare sé stesso

Dal momento che la cura implica sostanzialmente tutti gli esistenziali finora incontrati (l’essere-nel-mondo, l’essere-gettati, lo sviluppare progetti, la comprensione, ecc…), essa rappresenta la condizione fondamentale dell’uomo.

Vita inautentica e vita autentica

In quanto essere-gettato l’uomo si trova nella complessa situazione di dover vivere in una esistenza che si fonda sul nulla. Di fronte a tale problematica, l’uomo deve trovare strategie di comprensione del mondo. Queste determinano la distinzione fra:

  1. Vita inautentica
  2. Vita autentica

La prima, naturale, forma di comprensione del mondo è inautentica nel senso che il singolo si adegua a comprendere il mondo secondo gli occhi degli altri, in quella rassicurante e anonima dimensione che Heidegger definisce del si. In termini semplici: è vivere secondo quello che comunemente si dice, si fa.

Vivere nella dimensione del si, fa cadere l’uomo in quelle che il filosofo definisce le tre trappole:

  1. della chiacchiera = il parlare fine a se stesso, senza cercare la verità nei nostri discorsi
  2. della curiosità = intesa come morbosità del vedere la vita altrui
  3. dell’equivoco = inteso come idea che la chiacchiera e la curiosità ci dicano tutto, per cui ci culliamo nella falsa illusione di dare un significato pieno alle cose.

L’esistenza inautentica conduce l’uomo a una deiezione = diventa una cosa fra le cose.

L’alternativa all’esistenza inautentica è l’esistenza autentica.

Questa, per concretizzarsi, deve porsi il tema della morte. La morte è, fra tutte le possibilità, l’unica che necessariamente caratterizza l’esser-ci: è la possibilità certa, che nel suo compiersi rende impossibile tutte le altre possibilità.

In quanto la morte è per l’esser-ci quanto di più autentico ci sia (autentico nel senso che appartiene all’uomo), assumendo la morte come orizzonte inevitabile e il nulla come caratteristica dell’esistenza, l’esser-ci assume la dimensione di un essere-per-la-morte.

Essere-per-la-morte vuol dire assumere la morte come decisione anticipatrice = non occorre attendere la morte concreta per fare esperienza della finitudine dell’esistenza, ma averne già una piena consapevolezza.

Tramite questa consapevolezza, la voce della coscienza che è in noi, come la definisce Heidegger, ci spinge a non vivere nella dimensione del si, ma attuare scelte che appartengono a un progetto di vita che avvertiamo come nostro, proprio.

L’esser-ci e il tempo

Da quanto detto finora, risulta come conseguenza che la dimensione che rende possibile l’esser-ci, che ne determina la natura, è il tempo. Potremmo anche dire: l’esser-ci è il tempo.

L’esser-ci infatti vive nella triplice dimensione:

  1. Del passato = per via della sua condizione originaria dell’essere-gettato
  2. Del futuro = in quanto essere progettante
  3. Del presente = che il momento in cui le cose del mondo vengono usate per i progetti (che nella dimensione inautentica è vissuto come deiezione, nella dimensione autentica come decisione anticipatrice)

Per concludere dunque, si può affermare che il se il senso unitario degli esistenziali è rappresentato dalla cura, questa è a sua volta determinata dalla dimensione del tempo.

Essere e Tempo come opera incompiuta

Essere e Tempo è un’opera incompiuta. Analizzato l’esser-ci Heidegger avrebbe dovuto finalmente rispondere alla domanda iniziale: cos’è l’essere? Ma arrivato a questo punto della stesura Heidegger comprende che gli manca qualcosa per rispondere a questa domanda: un linguaggio adeguato. Il linguaggio che possiede gli deriva infatti da una storia della filosofia che ha mancato di rispondere a questa domanda. Quindi, prima di rispondere, occorre innanzitutto riformulare i termini stessi della filosofia per trovare un nuovo linguaggio. Occorre quindi aprire una nuova ricerca, che Heidegger definisce Kehre (svolta), e che lo porterà innanzitutto ad affrontare un ripensamento della metafisica tradizionale.

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