1. Vita e opere
Bergson nasce a Parigi nel 1859, in una famiglia dell’alta società francese. Trascorre una parte dell’infanzia a Londra, poi si dedica agli studi in Francia e nel 1889 pubblica la tesi di dottorato intitolata: Saggio sui dati immediati della coscienza.
Bergson si dà dunque alla vita accademica affermandosi presto come nome rilevante della corrente filosofica dello spiritualismo.
Nel 1896 pubblica Materia e memoria, nel 1900 ottiene la cattedra per insegnare al Collège de France, nel 1907 dà alle stampe L’evoluzione creatrice.
La sua fama crescente lo porta a ottenere nel 1928 il premio Nobel per la letteratura, ma ancora nel 1932 pubblica un’ulteriore importante opera: Le due fonti della morale e della religione.
La sua vita si conclude in un momento tragico per la Francia, ovvero nel 1941 mentre Parigi è in mano ai tedeschi.
2. Lo spiritualismo
Bergson è fra i massimi esponenti dello spiritualismo. Per spiritualismo intendiamo una corrente filosofica francese che si presenta come risposta al positivismo. L’idea di base dello spiritualismo è affermare che l’uomo e la natura non possono essere letti solo in chiave materialistica e deterministica come sostiene il positivismo. Questi hanno infatti una dimensione spirituale che non può essere ricondotta ad una lettura oggettivamente scientifica. L’uomo, come vedremo, è coscienza spirituale, ma anche la natura ha in sé un principio di vitalità, che Bergson chiama slancio vitale, che la rende libera dai vincoli strettamente meccanici di un’impostazione deterministica.
3. Il tempo come durata
Il perno fondamentale dell’opera di Bergson è la sua riflessione sul tempo. Con questa riflessione emerge subito anche il suo rapporto col positivismo, che non è un rapporto di contrasto, ma un tentativo di estendere i suoi limiti concettuali.
Bergson infatti distingue fra due modi di pensare il tempo.
Da un lato vi è il tempo della scienza. Questo è il tempo oggettivo, che possiamo misurare, quantificare. Bergson afferma che su di esso si può operare una spazializzazione, nel senso che possiamo estrapolare i singoli istanti e quantificarli.
Questa concezione del tempo, che ovviamente rientra in una logica positivista, è utile e necessaria, ma è allo stesso tempo un’astrazione perché non descrive il modo in cui il tempo è vissuto interiormente.
Al tempo della scienza Bergson contrappone così la concezione del tempo come durata. Quello che il filosofo intende dire è che il tempo scorre dentro di noi come un flusso, in cui è impossibile separare i singoli istanti e in cui i diversi stati d’animo che viviamo si fondono gli uni agli altri. Di questo flusso la percezione che abbiamo non è quantitativa, ma qualitativa, nel senso che noi avvertiamo lo scorrere del tempo a seconda della qualità dei momenti che viviamo.
4. Memoria e coscienza
Dal discorso sul tempo come durata, Bergson ricava l’idea che il nostro io interiore non sia un’entità statica e fissa, ma un divenire costante. La nostra coscienza non è una sostanza data una volta per tutte, perché vive in rapporto alla durata del tempo. Inoltre, se il tempo è durata, vuol dire che nel nostro presente vive costantemente il passato, perché appunto in questo flusso della coscienza l’istante del presente non è mai separato dal passato.
Nella coscienza diventa così centrale la dimensione della memoria. Anche qui Bergson opera una distinzione con l’approccio positivista, separando memoria e ricordo.
Per ricordo si intende la capacità di recuperare dalla materia celebrale episodi del passato. In tal senso è dunque centrale la dimensione materiale e fenomenica del corpo.
Ma i ricordi sono solo una parte della più vasta memoria, ovvero tutto l’insieme di ciò che abbiamo vissuto e che anche inconsapevolmente vive nel nostro presente, forgia il continuo divenire della coscienza nella sua dimensione spirituale.
5. Slancio vitale ed evoluzione creatrice
Questi discorsi che ruotano intorno alla riflessione sulla durata, vengono estesi da Bergson ad una concezione spirituale dell’intera natura.
Nell’epoca in cui vive Bergson si sono ormai affermate le idee darwiniane dell’evoluzione delle specie. Bergson accoglie l’idea dell’evoluzione delle specie naturali, ma va al di là del rigido meccanicismo deterministico dell’impianto di Darwin e dei suoi successori come Spencer.
Bergson descrive la spinta evolutiva della natura come evoluzione creatrice, nel senso che dentro la natura opera una spinta a creare tutto ciò che è possibile, a percorrere tutte le strade. Se la vita del singolo individuo e le sue possibilità sono limitate, la natura percorre ogni possibilità di creazione, perché è spinta da una forza che Bergson descrive come slancio vitale.
Da questo punto di vista, lo slancio vitale esprime una volontà di libertà interna alla natura.
Bergson infatti da un lato supera il determinismo della visione positivista del divenire della natura, tutto legato ad un rigido meccanismo di causa-effetto. Dall’altro supera però anche l’approccio tradizionale finalistico di una parte importante della storia della filosofia. La natura infatti non evolve rigidamente verso un certo fine in maniera consapevole, ma evolve in maniera libera.
In questa sua opera creatrice, la natura opera generando biforcazioni e divisioni, alla ricerca costante di ogni possibilità vitale. Dentro a queste biforcazioni, la più importante è quella che porta a separare le piante, che sono fisse, dagli animali, che sono dinamici. Ma a loro volta il movimento che caratterizza gli animali, che è di tipo istintivo, produce una nuova biforcazione che è quella dell’evoluzione umana che genera la nascita della coscienza. La coscienza non è solo istinto, ovvero una risposta rigida alle condizioni esterne, ma è un ragionare sui motivi della propria esistenza. Sotto questa prospettiva, gli uomini non sono dotati solo di intelligenza dimostrativa, ma anche intuitiva: l’intuizione è quella spinta che porta l’uomo a pensare alla natura nella sua totalità e a porsi domande sul senso di questa totalità.
6. La religione
Lo sbocco ultimo del pensiero di Bergson è un avvicinamento ai temi religiosi. In materia religiosa Bergson distingue però due approcci.
Il primo approccio è definito statico. Le forme religiose statiche sono quelle che portano alla creazione di istituzioni religiose fondate su apparati e rituali. Questo modo di pensare la religione nasce secondo Bergson dall’angoscia: l’uomo infatti si pone il problema della paura di cosa vi è dopo la morte e cerca di costruire in maniera razionale un apparato solido di risposte.
A questo approccio Bergson contrappone quello dinamico. Per religione dinamica, il filosofo intende un avvicinamento mistico alla natura. Qui non entra in gioco la razionalità, ma appunto la spinta intuitiva a lasciarsi andare alla concezione della natura come un organismo vitale, dotato di un proprio slancio spirituale.