Nel Basso Medioevo si assiste ad un rilancio demografico che spinge una crescita delle città. All’interno di queste città si sviluppano istituzioni e modelli culturali nuovi, che rappresentano un’alternativa al mondo delle campagne. Le città si popolano di una nuova classe sociale – la borghesia -, e producono la nascita delle università e delle corporazioni di mestiere.
CONTENUTI
RINASCITA URBANA
La ripresa demografica a cavallo fra Alto e Basso Medioevo spinge ad una ripresa dell’urbanizzazione, dopo il generale collasso delle città con la crisi dell’Impero Romano d’Occidente. La popolazione medievale rimane una popolazione stanziata principalmente nelle campagne, ma dall’XI secolo si assiste ad una graduale ripresa della demografia cittadina che cresce parallela alla ripresa degli scambi commerciali. Nascono così nuove città e soprattutto riprendono vita quelle di età romana. La popolazione urbana è decisamente inferiore rispetto agli standard attuali: la gran parte delle città conta poche migliaia di abitanti, solo alcune metropoli dell’epoca – come Parigi e Firenze – sembrano raggiungere nel periodo di massimo sviluppo i centomila abitanti.
I SIMBOLI URBANI
Le città di età medievale si caratterizzano per:
-la presenza di mura, che dividono la città dal contado e rappresentano il baluardo difensivo per garantire la protezione degli abitanti
-un fitto reticolato di strade con case ammassate vicine, frutto da un lato di una crescita urbana spontanea – non regolata -, dall’altro della necessità di costruire quanto più possibile all’interno delle mura. Una delle conseguenze di questa urbanizzazione selvaggia è una forte carenza igienica
-la piazza centrale, cuore della vita cittadina, intorno a cui si sviluppano sia gli edifici principali (la cattedrale e i palazzi del potere) che i commerci delle botteghe artigiane e del mercato cittadino
-la presenza di torri edificate dalle famiglie della nobiltà cittadina. Le torri rappresentano da un lato un simbolo di prestigio, dall’altro hanno una funzione militare vista la tendenziale competizione fra i clan nobiliari
GLI ABITANTI
La crescita cittadina è soprattutto una crescita legata all’immigrazione. Protagonisti di questo fenomeno sono le grandi famiglie feudali (che in città possono attingere a prodotti assenti in campagna e svolgere maggiori affari), ma soprattutto una massa di contadini e disoccupati provenienti dalle campagne. I primi di solito sono attirati dalla città per sottrarsi dagli obblighi feudali, i secondi sono in cerca di occasioni di lavoro. Questi immigrati si ammassano inizialmente intorno alle mura cittadine, nei cosiddetti borghi. La crescita dei borghi un po’ alla volta spinge all’abbattimento delle mura e al loro allargamento, per includere nel tessuto urbano queste aree in rapido sviluppo.
Gli abitanti dei borghi vengono definiti borghesi. Questi si dedicano ad attività commerciali ed artigianali e diventano il vero simbolo delle città medievali, con il loro dinamismo economico e sociale.
AGGREGAZIONI SOCIALI
Vivere in città vuol dire in primis sviluppare un’identità sociale. Se da un lato tutti gli abitanti della città condividono la propria identità cittadina, dall’altro si formano una serie di organizzazioni comunitarie più ristrette che inquadrano gli abitanti in gruppi sociali. Fra queste organizzazioni due sono quelle più rilevanti.
Le prime sono le confraternite, ovvero associazioni di tipo religioso (legate alla chiesa del quartiere o alla figura di un certo santo). Le confraternite organizzano opere di carità, riti religiosi, pratiche di beneficenza. Ma soprattutto hanno una funzione di regolazione sociale: impongono codici comportamentali e assicurano reciproco sostegno fra i confratelli.
Le seconde sono le associazioni di mestiere (anche dette arti, corporazioni o gilde). Questi gruppi nascono con l’intento di tutelare gli interessi di coloro che svolgono attività in un singolo settore. Le corporazioni infatti limitano la concorrenza permettendo ai soli affiliati di esercitare quella determinata attività, regolano i prezzi delle merci e i salari degli apprendisti.
Le Arti vengono generalmente divise fra maggiori e minori: le prime sono quelle legate alle attività più redditizie (banchieri, notai, mercanti, ecc…), le seconde includono attività di minor peso economico e politico (fornai, calzolai, sarti, ecc…).
UNIVERSITA’
Con lo sviluppo delle città si assiste alla nascita di una nuova istituzione culturale: l’università. L’istruzione fino a questo momento è affidata esclusivamente alle istituzioni religiose e il suo scopo è principalmente la formazione delle gerarchie religiose. Con lo sviluppo del mondo urbano – e con esso le attività al cui interno si svolgono -, la nobiltà e l’alta borghesia avvertono l’esigenza di fornire ai propri figli un’istruzione più pratica e svincolata dal controllo religioso.
Dalla fine dell’XI secolo iniziano a nascere così sedi universitarie (la prima sembra essere stata Bologna) ancora oggi particolarmente prestigiose (come Oxford o Cambridge).
Le università nascono tecnicamente come corporazioni a cui sono affiliati docenti e studenti. I membri delle università godono di importanti privilegi, come l’esenzione fiscale o l’immunità dalla giustizia ordinaria. Se questi privilegi da un lato producono risentimenti e invidie, dall’altro non bloccano lo sviluppo delle università, in quanto le sedi universitarie garantiscono alle città un accrescimento dei propri affari.
LE FONTI
962: Ottone I investe il vescovo di Parma dell’autorità di condurre la cittò
“Noi concediamo e permettiamo e dal nostro diritto e dominio trasferiamo nel di lui diritto e dominio completamente e gli affidiamo le mura della stessa città ed il distretto (…) ogni pubblica funzione (….). Inoltre concediamo anche che tutti gli uomini abitanti nella città e nel territorio sopraindicato, ovunque abbiano beni ereditari o acquisiti, o dei servi (…) non corrispondano alcuna prestazione ad alcuna persona del nostro regno, né osservino il placito (autorizzazione legale, ndr) di chiunque se non del vescovo di Parma
Estratto da G. Duby, Una società francese nel Medioevo
Il movimento demografico introdusse nella società dell’XI secolo una classe nuova, quella dei borghesi. (…) L’appellativo che designa i membri di tale classe mette l’accento sul suolo di residenza; il burgensis, il civis (i due termini sembrano interscambiabili) si oppone al rusticus: si tratta dell’abitante della città e più precisamente del borgo, il quartiere nuovo. Occorre però notare che non tutta la popolazione della città è borghese. Chierci e gente d’arme che un tempo ne formavano il nerbo non se ne erano allontanati; sicuramente questo elemento antico non aveva fatto progressi (…) ma per tutta l’età feudale (…) perdurerà intimamente mescolato ai mercanti e agli artigiani un gruppo consistente di nobili e di ecclesiastici. (…) Nel 1100 il borghese è dunque quel cristiano che non è né chierico né cavaliere e che, tuttavia, non può essere chiamato contadino. (….) L’artigianato e il commercio erano le attività peculiari della borghesia (…). Tutti, quali che siano, scaricatori, artigiani o osti, agenti signorili o negozianti di professione, erano interessati agli affari perché vivevano in città dove le grandi strade si incontravano. Stabilitisi il porto e l’area del mercato, essi agivano naturalmente da intermediari tra la corrente commerciale che attraversava la regione e l’economia delle campagne.
Estratto da E. Grant, Le origini medievali della scienza moderna
Le città furono una condizione necessaria, ma non sufficiente, per la nascita delle università. Si può certo dire che l’urbanizzazione fornì una matrice essenziale entro la quale le università poterono svilupparsi e fiorire; ma, di per sé, l’urbanizzazione non garantiva che quel processo avrebbe avuto effettivamente luogo. Dall’epoca dell’antico Egitto e della Mesopotamia, molte diverse civiltà urbane sono nate e si sono estinte, ma nessuna di esse ha prodotto qualcosa di paragonabile alle università europee. Le università non sono affatto indispensabili perché una civiltà raggiunga un elevato grado di sviluppo intellettuale. Per raccogliere la documentazione storica, conservare le tradizioni letterarie e accrescere il patrimonio generale delle conoscenze, una civiltà ha bisogno soltanto di garantire che alcuni suoi membri sappiano leggere e scrivere, che un numero sufficiente di essi esegua i compiti necessari, e che la documentazione scritta sia in qualche modo conservata e trasmessa di generazione in generazione. Le società che hanno adempiuto a questi compiti hanno raggiunto elevati livelli intellettuali, come dimostrano ampiamente le civiltà dell’Islam e della Cina. Anche se l’Occidente latino derivò la sua scienza e la sua filosofia naturale dai greci e dagli arabi, l’università fu una sua creazione autonoma, nata dalle particolari condizioni esistenti in Occidente nel secolo XII. In seguito allo sviluppo della vita commerciale nei centri urbani, coloro che praticavano lo stesso commercio o lo stesso mestiere avevano ritenuto opportuno, se non necessario, proteggere i propri interessi organizzandosi in gilde o corporazioni. Gli uomini di legge del Medioevo dettero di frequente a questo tipo di organizzazione il nome di universitas («totalità»), nel senso che la corporazione rappresentava tutti coloro che legittimamente praticavano un determinato commercio o un determinato mestiere. Gli insegnanti e gli studenti costituivano una parte vitale della società del secolo XII. Essi crearono importanti scuole nelle varie cattedrali dell’Europa occidentale, soprattutto a Parigi, Chartres e Orléans. Studenti e insegnanti si muovevano abitualmente da una scuola all’altra: gli studenti andavano in cerca dell’insegnante più adatto, i docenti cercavano di attrarre un numero di studenti sufficiente a garantir loro un’idonea remunerazione. Gli insegnanti e gli studenti erano, di solito, stranieri nelle città in cui insegnavano e studiavano, e non godevano, quindi, di alcun diritto e privilegio. Operando individualmente, si trovavano in condizioni di inferiorità di fronte alle autorità municipali, statali ed ecclesiastiche con le quali dovevano negoziare le condizioni di insegnamento. A Parigi e in altre città, i docenti e gli studenti compresero i vantaggi dell’associazionismo e videro nell’universitas commerciale o di mestiere il modello su cui basare la loro organizzazione. Alla fine del secolo XII esistevano già, di fatto, alcune organizzazioni di insegnanti, di studenti, o di entrambe le categorie, ognuna delle quali era chiamata col nome di universitas (universitas magistrorum, universitas scholarium, universitas magistrorum et scholarium). Alla fine, il termine universitas fu sufficiente di per sé a indicare un istituto di insegnamento superiore. Benché il termine «università» avesse designato le gilde e le corporazioni assai prima che esso fosse adottato dagli istituti di insegnamento superiore, questi ultimi lo conservarono in modo permanente perché ebbero, storicamente, una vita assai più lunga delle corporazioni. […] Ogni insegnante e studente era membro non solo della sua particolare università, o corporazione, ma anche dello studium generale. Là dove una scuola era formata da una sola facoltà o corporazione, o da non più di due facoltà, non le veniva normalmente conferito il nome di studium generale. Il termine era, di solito, attribuito a scuole che godevano di notevole prestigio come le università di Parigi, Oxford e Bologna, o che erano abbastanza grandi da comprendere almeno tre o quattro facoltà tradizionali (arti, teologia, diritto e medicina), o a scuole che presentavano entrambe queste caratteristiche. Il grande vantaggio di cui godeva uno studium generale rispetto alle altre università era un prezioso diritto conferito automaticamente ai suoi laureati: lo ius ubique docenti, cioè «la licenza [o diritto] di insegnare ovunque». In pratica, tuttavia, era il prestigio di uno studium che convalidava il diritto dei suoi laureati a insegnare dappertutto. […] Come enti collettivi, le varie gilde medievali godettero di importanti privilegi monopolistici1. Le università non fecero eccezione alla regola, ottenendo uno speciale trattamento dalle autorità laiche ed ecclesiastiche che cercarono di incoraggiarne lo sviluppo. Ogni facoltà aveva giurisdizione sulle proprie questioni interne, e aveva quindi il diritto di giudicare i meriti degli insegnanti e degli studenti che entravano a farne parte. L’università, con le facoltà e gli studenti che la costituivano, aveva giuridicamente il diritto di negoziare un’ampia serie di questioni con le autorità esterne che controllavano le varie sfere governative e religiose in cui essa era inserita. Esistevano anche dei privilegi attinenti allo status delle persone. Ai membri dell’universitas erano attribuiti alcuni fondamentali diritti, il più importante dei quali era lo status clericale. Benché, per lo più, i maestri e gli studenti non fossero stati ordinati sacerdoti né avessero preso gli ordini religiosi, lo status clericale conferiva loro gli stessi diritti del clero. Aggredire uno studente o un insegnante mentre era in viaggio equivaleva ad aggredire un sacerdote, e il colpevole era punito con pene molto severe. Lo status clericale consentiva inoltre agli studenti arrestati dalle autorità civili di chiedere che il processo venisse celebrato dinanzi ai tribunali ecclesiastici, i quali erano di solito più indulgenti dei tribunali civili. Permetteva anche agli studenti e ai loro maestri di ricevere dalla Chiesa dei benefici ecclesiastici, e di goderne i frutti mentre portavano avanti le loro regolari attività universitarie. Oltre a questi privilegi individuali, un importante diritto collettivo consentiva alle università di sospendere le lezioni, e persino di abbandonare le rispettive città di residenza, qualora avessero ritenuto che i loro diritti erano stati violati. Era questa un’importante arma economica contro le città nelle quali le università avevano la loro sede. Questi privilegi fecero dell’università una potente istituzione, e la misero in grado di esercitare una notevole influenza nell’ambito della società medievale. […] Le finalità perseguite dalle facoltà medievali di teologia, medicina e diritto sono abbastanza ovvie: erano scuole professionali. La facoltà di teologia mirava a produrre teologi, la facoltà di medicina a produrre medici e quella di diritto a produrre uomini di legge. I testi studiati in ognuna di queste facoltà erano scelti per facilitare questi compiti. Ma qual era l’obiettivo della facoltà delle arti? […] Che valore aveva un’educazione basata sulla logica, su alcune scienze esatte e sulla filosofia naturale? L’obiettivo più ovvio del curriculum della facoltà delle arti, e della laurea in quelle discipline, era quello di produrre maestri abilitati ad insegnare nelle facoltà delle arti di tutta Europa. E, naturalmente, un certo numero di maestri delle arti si guadagnavano da vivere come insegnanti: ai maestri freschi di laurea veniva chiesto di insegnare per almeno due anni dopo il conseguimento del titolo. Ma che cosa facevano i maestri che decidevano di non dedicarsi all’insegnamento? […] Queste persone potevano trovare le migliori possibilità di occupazione in una corte regia o ducale, nella Chiesa e, in certi casi, in un governo comunale o municipale. Chi aveva frequentato, anche per breve tempo, l’università sapeva scrivere in latino e aveva una conoscenza almeno rudimentale dei calcoli aritmetici: due attitudini assai vantaggiose per chi intendeva entrare nella burocrazia. In molti casi, tuttavia, gli ex studenti potevano attingere al patrimonio complessivo delle loro conoscenze per farlo fruttare al meglio nel loro futuro lavoro impiegatizio: dopo tutto, avevano assimilato una quantità di idee sulla vita e sul mondo fisico che si sarebbero rivelate molto importanti a quell’epoca. Eppure il curriculum della facoltà delle arti sopra descritto appare, a prima vista, assai remoto dalla società medievale e irrilevante per le sue attività. Perché esso aveva un carattere così pesantemente teorico ed era privo di corsi pratici che sarebbero stati molto più utili per le esigenze della società? Perché nelle università medievali non si insegnavano argomenti pratici tratti dalle arti meccaniche (artes mechanichae) come l’architettura, la scienza militare, la metallurgia e l’agricoltura? […] In realtà, il curriculum della facoltà delle arti medievale non era stato costruito per venire incontro alle esigenze pratiche della società. Esso si era sviluppato dal patrimonio culturale greco-arabo, acquisito attraverso le traduzioni dei secoli XII e XIII. Quel patrimonio era costituito da un corpus di opere teoretiche, studiate per il loro valore intrinseco e non per ragioni pratiche o per motivi di lucro. L’antica tradizione, rappresentata da Aristotele e rafforzata da Boezio e da altri autori, poneva soprattutto l’accento sull’amore per il sapere, sulla conoscenza per la conoscenza. Disprezzava coloro che studiavano per guadagnarsi da vivere o per dei fini pratici. Nella società medievale insegnanti e studenti condivisero pienamente questo punto di vista e modellarono l’università medievale in conformità ad esso. […] Questo stato di cose si protrasse per secoli. Nessun significativo ampliamento del curriculum della facoltà delle arti avvenne nel corso del Medioevo; i primi cambiamenti si verificarono nell’epoca del Rinascimento, ma, anche allora, l’ampliamento consisté nell’inclusione di alcune materie umanistiche come la storia e la poesia, che nel Medioevo erano mancate, e non nell’apertura verso argomenti di carattere pratico. L’ideale culturale dell’antichità e del Medioevo – l’aspirazione alla conoscenza per la conoscenza – rimase sostanzialmente intatto