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Nell’Italia centrosettentrionale del Basso Medioevo prende forma una originale organizzazione politica: il Comune. Il movimento comunale rappresenta un’alternativa rispetto alle altre forme di potere politico che si sviluppano nel Medioevo: i poteri universali (papato e impero) e le monarchie feudali


CONTENUTI

IL COMUNE: CARATTERISTICHE DI BASE

Lo sviluppo demografico del Basso Medioevo produce una rinascita delle città. All’interno di questa crescita si assiste alla nascita dei Comuni:
1) Per Comune intendiamo una città che ottiene una serie di privilegi (=di tipo fiscale, commerciale, giuridico e via dicendo) e di strumenti di autogoverno
2) Queste libertà vengono contrattate con un’autorità superiore (un monarca, il papa, l’imperatore, un signore feudale) che ha il potere sul territorio in cui si sviluppa il Comune
3) Le istituzioni comunali e i privilegi di cui il Comune gode sono regolate da uno statuto
4) All’interno del Comune una parte della popolazione gode dei diritti di cittadinanza. Perlopiù si tratta dei maschi maggiorenni e possidenti


IL COMUNE: AREE DI SVILUPPO

Le aree di maggior sviluppo dei Comuni sono: l’Italia centrosettentrionale, la Francia, le Fiandre e la Germania.
Caratteristiche di base delle realtà comunali sono il predominio sociale del ceto dei mercanti e lo sviluppo di una dinamica borghesia. I Comuni diventano infatti luoghi in cui è possibile sviluppare, grazie alle libertà acquisite, importanti giri di affari.
Nel Sud della Francia (in Provenza) e soprattutto in Italia, però, i Comuni conoscono uno sviluppo particolare: diventano vere e proprie città-stato dotate di piena autonomia politica.
Per quanto riguarda l’Italia, questo sviluppo è determinato dal vuoto di una forte autorità centrale. Gli esiti sono:
1) Un’espansione del Comune nel contado, ovvero nella campagna circostante
2) Una forte conflittualità fra i Comuni stessi, i cui rapporti sono regolati da alleanze mutevoli e scontri bellici continui


IL COMUNE: LA NASCITA

La nascita dei Comuni comincia a prodursi a partire dall’XI secolo. Tradizionalmente le città italiane sono governate dai vescovi (vedi la fonte: investitura del vescovo di Parma da parte di Ottone I) ma accanto a questi iniziano a sorgere associazioni di cittadini privati che si pongono lo scopo di governare la città in vista di un interesse comune (communis):
1) Perlopiù queste associazioni prendono la forma di coniurationes = associazione di libere persone per la difesa dei diritti comuni
2) Un po’ alla volta queste associazioni scalzano i vescovi e impongono il proprio potere sulla città
3) In una prima fase vengono posti a capo dei Comuni i consoli = figure in carica per un tempo limitato (solitamente un anno) e che governano insieme (in un numero compreso fra 2 e 20)
4) La scelta dei consoli è affidata ad un’assemblea (spesso detta arengo) a cui partecipano coloro che detengono i diritti di cittadinanza
5) Accanto ai consoli prendono forma dei consigli ristretti in cui siedono i rappresentanti dell’aristocrazia, che specialmente in una prima fase ha un pieno controllo politico dei Comuni, i quali acquistano così un carattere oligarchico


LO SCONTRO CON FEDERICO BARBAROSSA

Dopo la loro nascita i Comuni cominciano a ottenere una crescente autonomia politica ed economica sfruttando la debolezza della figura dell’imperatore, formalmente a capo dell’Italia settentrionale. Questa crescita dell’autonomia si accompagna allo sviluppo di leghe militari guidate da città che attuano progetti di espansione ed egemonia su scala regionale, come ad esempio Milano.
Nel 1155 ottiene la corona imperiale Federico I Barbarossa, il quale sviluppa un progetto di ripristino dell’autorità imperiale.
Nel 1158 Federico convoca una dieta a Roncaglia che rappresenta una svolta nel rapporto fra l’imperatore e i Comuni:
-Federico sostiene che i Comuni si sono appropriati in maniera illecita delle regalie = diritti imperiali come battere moneta, nominare cariche pubbliche, riscuotere imposte, stabilire regolare commerciali, gestire strade e fiumi, ecc…
-Viene stabilito che i Comuni devono pagare delle imposte per continuare a godere di questi privilegi, ma che in ogni caso i funzionari pubblici devono essere nominati dall’imperatore
-Viene inoltre stabilito il divieto per i Comuni di creare alleanze militare e muovere guerra
Nel 1162 Federico fa radere al suolo Milano, che guida la schiera dei Comuni ostili alle nuove misure imperiali.
La caduta di Milano ha però due conseguenze:
1) Compatta fra di loro i Comuni, che non vogliono essere sottoposti alle ingerenze dell’imperatore
2) Produce la reazione del pontefice (Alessandro III) che vuole ridurre l’influenza dell’imperatore nella Penisola


LA PACE DI COSTANZA

L’esito di questa crescente ostilità nei confronti di Federico è la formazione di un’alleanza militare nel 1167, la Lega Lombarda. Scoppia così un conflitto che contrappone i Comuni a Federico per diversi anni.
La svolta arriva nel 1176: i Comuni ottengono una vittoria militare nella battaglia di Legnano, che dimostra la vitalità delle forze comunali. Alla sconfitta si accompagna la crescente difficoltà di Federico di continuare ad impegnarsi in Italia, mentre in Germania aumentano le ribellioni della nobiltà a lui ostile.
Per tutte queste ragioni nel 1183 viene raggiunta la pace di Costanza che pone fine alla guerra e, sostanzialmente, riconosce l’autonomia comunale.


LA FASE PODESTARILE

La pace di Costanza non placa un elemento che contraddistingue la vita comunale sin dalle sue origini: una profonda tensione sociale al suo interno.
All’interno del Comune troviamo infatti due blocchi sociali spesso in contrapposizione fra di loro per il controllo politico della città:
-I magnati = i nobili
-Il Popolo = termine con cui si intendono coloro che hanno un’attività indipendente, dunque i borghesi. Si tende a distinguere poi fra popolo grasso (alta borghesia, come notai, banchieri e mercanti) e popolo minuto (piccoli artigiani e commercianti)
A questa contrapposizione andrebbe poi aggiunto il tema del cosiddetto popolo magro, ovvero l’insieme di coloro che non hanno un’attività indipendente e che non hanno una rappresentanza politica in città.
In una prima fase, come detto, il blocco sociale egemone è l’aristocrazia. Al suo interno vi sono però costanti faide che generano una violenza costante nella vita cittadina.
Per limitare questa violenza si passa dalla fase consolare a quella podestarile: i consoli (spesso legati all’una o all’altra famiglia nobiliare) vengono sostituiti con dei podestà. Per podestà intendiamo un funzionare che viene fuori dal Comune e governa da solo per un tempo limitato.
Spesso però neanche i podestà riescono a imporre la pacificazione in città. Per questo motivo si produce così un conflitto fra la nobiltà e il Popolo, il quale cerca di ottenere il controllo del Comune e scalzare l’aristocrazia.
Ogni Comune vive in questo senso una storia a sé, ma in molte realtà nel Duecento si assiste alla nascita del Comune di Popolo, ovvero un Comune in cui gli esponenti del Popolo riescono a controllare i vertici delle istituzioni.
Stiamo però attenti a questa definizione: il controllo politico nei Comuni di Popolo è nelle mani dell’alta borghesia, mentre la piccola borghesia e soprattutto le fasce popolari sono escluse dalla gestione politica della città.


APPROFONDIMENTI

LA MAPPA DELLO SCONTRO FRA FEDERICO E I COMUNI


LA STORIOGRAFIA: ESTRATTO DA G. MILANI, “I COMUNI ITALIANI”

Con ogni probabilità l’incertezza cronologica nelle prime attestazioni del consolato non si deve solamente alla mancata conservazione dei documenti, ma al fatto che il consolato non costituì subito una istituzione stabile e rinnovata continuamente, ma una magistratura intermittente, convocata in momenti di particolare urgenza, in modo simile alle associazioni giurate1 che in alcune città lo avevano preceduto. Questa intermittenza costituisce il primo elemento utile per comprendere la natura del consolato e dunque del primo comune. Da essa si potrebbe ricavare, ed è stato fatto, una valutazione della prima istituzione comunale quale istituzione ancora poco legittima, che incontra difficoltà ad affermarsi come riferimento politico per l’intera società urbana. Tale valutazione può essere accolta solo se si accetta che il consolato condivide queste caratteristiche con tutte le istituzioni, antiche e moderne, nella prima fase della loro esistenza. Alla base di ogni istituzione vi è il progetto di un gruppo di persone. Questo progetto presenta dei costi, in termini di tempo e risorse, e fornisce dei benefici al gruppo che lo sostiene. Ma costi e benefici spesso non sono uguali per tutti; alcuni dei membri possono ritenere che il progetto a cui stanno prendendo parte sia diventato poco vantaggioso e dunque abbandonare il gruppo. Così, tra le prime difficoltà che il gruppo deve affrontare c’è la possibilità di defezioni da parte di alcuni dei suoi membri. Queste defezioni minacciano la sopravvivenza del gruppo a questo stadio di sviluppo, uno stadio che gli antropologi definiscono «latente». In questa fase l’istituzione può scomparire per riformarsi, eventualmente, nel momento in cui si trovi un nuovo accordo tra i membri che sono rimasti e quelli che se ne sono andati. Una situazione di questo tipo si dovette verificare anche nei primi tempi del comune e spiega le intermittenze che precedettero la stabilizzazione della magistratura consolare. È lecito supporre che, nel momento in cui apparve, il consolato fosse considerato particolarmente importante e appetibile da quanti avevano partecipato in misura minore al sistema di governo espresso dai funzionari cittadini o dal vescovo e dalla sua clientela feudale, mentre fosse ritenuto una possibilità più rischiosa da quelle famiglie che prosperavano all’ombra del signore o della chiesa cittadina. […] Tra le ragioni che consentirono al consolato di affermarsi, fu fondamentale la capacità di amministrare la giustizia. In un momento in cui coesistevano forte sviluppo economico (dunque mobilità di ricchezze e controversie sul possesso) e grande crisi politica (cioè carenza di istituzioni di riferimento per risolvere queste controversie), tutti i soggetti che in città e nel territorio intendevano vedersi riconosciuti in maniera certa beni e diritti contestati espressero il bisogno di una giustizia più efficace e ordinata. È vero che autorità grandi e piccole – i re come i marchesi, i vescovi come i conti – avevano esercitato in forme differenti la giustizia tenendo placiti e assemblee in cui si potevano avanzare pretese e vederle riconosciute, ma dal maturo secolo XI queste assemblee cominciarono a diminuire ovunque. Nel 1132 il cronista milanese Landolfo di San Paolo si recò a Roncaglia, dove l’imperatore Lotario II teneva una dieta, a chiedere ragione delle proprie pretese su una chiesa, ma fu rinviato dall’imperatore al giudizio dei consoli di Milano. Nella carenza e nel disinteresse delle istituzioni legittime, per comporre i conflitti più gravi le città — 2 — economicamente più dinamiche come Pisa e Genova avevano stretto le associazioni giurate, che escludevano dall’accordo di pace i cittadini che non lo rispettavano. Questi sistemi di amministrazione della giustizia potevano bastare finché l’oggetto del contendere riguardava un problema specifico e soprattutto interno alla cittadinanza. Ma non era questo il caso della maggior parte delle dispute riguardanti il possesso di terre e i diritti relativi, che andavano sviluppandosi all’interno di una cittadinanza composta da proprietari economicamente attivi che trovavano nelle campagne circostanti lo sbocco naturale dei propri investimenti. A concorrere e a opporsi alle loro pretese sulla terra i cittadini non trovavano solo altri cittadini, ma anche e soprattutto soggetti politici differenti: signori grandi e piccoli, enti ecclesiastici, comunità rurali. E anche quando le dispute coinvolgevano due parti dotate entrambe dei diritti di cittadinanza, poteva trattarsi di individui che detenevano al tempo stesso diritti signorili di vario genere: le non molte controversie civili conservate per la prima metà del XII secolo (secondo una stima recente il loro numero si aggira intorno al centinaio) coinvolgono tutti gli elementi della società rurale. Questa società appariva particolarmente diversificata al proprio interno nel tipo di diritti a cui i suoi membri ricorrevano per avanzare le proprie pretese. I signori e i proprietari potevano invocare concessioni regie, allodi (terre in regime di libera proprietà, ndr), feudi, consuetudines (concessioni trasmesse in via ereditaria, ndr), formalizzate o meno, leggi feudali e romane e altro ancora. Per sopravvivere ed espandersi economicamente avevano dunque bisogno di procedure certe e condivise. Chi era in grado di fornire queste procedure? Le istituzioni legittime (tribunali regi, curie signorili, tribunali ecclesiastici, tribunali vescovili) erano deboli proprio perché tante e in concorrenza tra loro. I diritti giudiziari, come ogni altro diritto, erano stati patrimonializzati, cioè ceduti, comprati, venduti e suddivisi, e costituivano essi stessi oggetto di controversia. Erano pochi i signori laici ed ecclesiastici che tentavano di invertire questa tendenza alla frammentazione. Nel complesso essi tendevano a presentarsi più come percettori di multe e rendite legate alla giustizia che come giudici veri e propri. Nella maggior parte dei casi erano guidati dalla volontà di accaparrarsi o recuperare rendite da ogni possibile fonte piuttosto che da quella di stabilizzare domini coerenti. L’effetto concreto di questa tendenza era che, per esempio, l’abitante di una data comunità potesse essere sottoposto alla giustizia di un signore perché possedeva beni nel contesto della sua signoria, o perché gli aveva giurato fedeltà, anche se risiedeva altrove. Da questa frammentazione, che faceva sentire i suoi effetti ovunque, emersero le spinte per una ricomposizione. […] Tutti i poteri che dal XII secolo tentarono di affermarsi o riaffermarsi sui propri concorrenti procedendo a ricomposizioni territoriali più o meno vaste fecero largo ricorso al diritto, mutuando suggestioni dai testi giuridici romani, da quelli di cui si era dotata la chiesa, dalle regole che si erano venute stratificando nell’evoluzione delle relazioni feudali, e procedendo sempre a una risistemazione scritta di questi testi, resa urgente da questo bisogno di regole più sganciate dai singoli casi, e quindi più astratte, ma al tempo stesso più condivisibili. Nell’Italia centro-settentrionale questi testi erano particolarmente accessibili: esistevano scuole cittadine in cui si era conservata la memoria di quelle pratiche e procedure che erano servite ad amministrare l’impero romano nella fase della sua massima espansione, quella tardo-antica, e di quelle che in seguito avevano fatto funzionare il regno d’Italia. C’erano inoltre sedi vescovili prestigiose, come quella milanese, quella di Ravenna e – ovviamente – quella di Roma, in cui nel secolo XI si era combattuta ai massimi livelli la lotta per le investiture. E stava sorgendo, a Bologna, lo Studio, il centro in cui il diritto romano veniva studiato in maniera sistematica e divulgato, attraverso l’insegnamento, a studenti provenienti da tutta Europa, destinati a diffonderlo una volta ritornati in patria. In città in cui già in un’epoca così antica si aveva una tale consapevolezza del diritto non stupisce trovare precocemente un numero di tecnici del diritto e della scrittura di atti giuridicamente validi (giudici, causidici, cioè avvocati, notai) comparativamente molto maggiore rispetto al resto d’Europa. Per questo, di fronte alla frammentazione e alla confusione di diritti che regnavano nel territorio, rendendo difficile la scelta del giudice, la classe dirigente urbana del primo XII secolo diede una risposta nuova, che in una prima fase non consistette nell’assoggettamento delle giurisdizioni concorrenti, ma nel loro riconoscimento e nella loro restaurazione mediante il tentativo di chiarire a quale potere fossero sottoposti gli uomini dei vari territori. Come ci mostrano le più antiche cause condotte da giudici comunali, nell’attribuire il potere di giudicare e costringere, i consoli furono guidati da due principi: quello della territorialità (il districtus doveva essere esercitato nei confronti di un territorio e non nei confronti di singole persone) e quello, per così dire, dell’effettività (il potere di districtio poteva essere provato mediante l’uso effettivo e protratto). Si trattava di principi che, per quanto spesso potessero entrare in contraddizione tra loro, risultavano spesso condivisibili dai protagonisti più forti del gioco politico locale: i signori perdevano in questo modo le rendite all’esercizio del districtus (diritto riconosciuto di sottoporre in modo vincolate a una determinata legislazione, ndr) su enclaves territoriali poste in zone esterne alla loro area di riferimento, ma rafforzavano il potere su quell’area; le comunità più potenti, pur dovendo prestare obblighi diversi dal districtus, come imposte e prestazioni d’opera, dai quali avevano cercato di sottrarsi, si vedevano riconoscere la possibilità di amministrarsi la giustizia da sé. La convenienza di questi principi spiega meglio di altri fattori il successo del comune come potere in grado di risolvere le controversie.


LA PACE DI COSTANZA: IL TESTO

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LA FONTE: IL GIURAMENTO DEI CONSOLI A GENOVA NEL 1153 (ESTRATTO)

“In nome di Dio amen. Dalla prossima festa della Purificazione di Maria per un anno, noi consoli eletti per il comune riconosceremo e opereremo secondo l’onore del nostro arcivescovo e della nostra Chiesa e della nostra città in tutte le cose mobili e immobili. Non diminuiremo volontariamente l’onore della nostra città né il vantaggio e l’onore della nostra Chiesa. Non faremo torto a nessuno dei nostri concittadini a vantaggio del comune, né al comune a vantaggio di qualche nostro concittadino; ma procederemo con equità (…). Se qualcuno, uomo o donna, intenzionalmente commetterà un omicidio (…) quell’omicida lo manderemo in esilio e distruggeremo i suoi beni e li devasteremo e assegneremo la proprietà di colui che ha commesso omicidio al padre, alla madre o ai figli o alle figlie, ai fratelli o alle sorelle dell’ucciso se vorranno averli (…). Se da qualche torre sarà gettato qualcosa a motivo di un combattimento cittadino, senza autorizzazione dei consoli, e sapremo che qualcuno per quel lancio sarà ucciso, noi o distruggeremo la torre o imporremo a coloro o a colui che tengono la torre 1000 soldi di multa”


Un pensiero riguardo “L’età comunale

  1. Buongiorno, sono Endrit Vuka. Uno straniero cresciuto in Italia. Ho concluso le superiori a Modena nel luglio del 2005, diplomandomi nella maturità scientifica/sperimentale. Poi verso il 2012/13, non ricordo precisamente, ho risolto un singolare paradosso sulla figura dell’Onnipotente.
    Giungendo a soluzione di tale paradosso poi ho potuto risolvere un altra contraddizioni logica sempre sulla figura di Dio. Ora risiedo momentaneamente a Düsseldorf, ho pubblicato un saggio in filosofia, fisica e matematica a dicembre 2021. E niente.. mi piacerebbe condividere con qualcuno questi miei pensieri
    Vi saluto E. Vuka

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