
Esistenzialismo
Sartre è una delle voci più importanti della cultura esistenzialista, una corrente che matura fra le due guerre ma che segna in particolare il secondo dopoguerra a livello europeo. Il cardine dell’esistenzialismo è l’affermazione del nulla su cui si fonda l’esistenza umana. Un nulla che genera una libertà pressoché totale ma che si accompagna a sentimenti come quello dell’angoscia e dell’assurdo.
Nausea
Il nulla è appunto a fondamento dell’esistenza. Questo vuol dire che niente ha di per sé un significato: né le cose del mondo, né l’esistenza umana. Questa concezione rende di per sé la vita assurda, proprio perché mancante di senso. Sartre dedica uno dei suoi romanzi più famosi, La nausea, a questo tema.
Il titolo si riferisce alla sensazione che il protagonista prova nel momento in cui gli si rivela la totale mancanza di significato dell’esistenza. La mancanza di senso del tutto è così densa, da provocare un malessere che è simboleggiato appunto dalla nausea.
Il tutto viene vissuto nel romanzo come rivelazione. L’uomo, per proteggersi, cerca di nascondere l’assurdità dell’esistenza attraverso il meccanismo della rimozione. Di fronte a questa rimozione, il protagonista vive l’esperienza della rivelazione, ovvero realizza come l”andare avanti della vita quotidiana individuale e collettiva, nei suoi rituali che si ripetono in maniera identica giorno dopo giorno, non sia che un modo per nascondere l’assurdità dell’esistenza.
La condanna della libertà
Sartre è per eccellenza il filosofo il cui pensiero si lega al concetto di libertà. Ma, perlomeno in tutta la prima parte della produzione, vi è una concezione negativa della libertà. L’uomo infatti, dice Sartre, è condannato a essere libero. La sua libertà nasce dalla totale assenza di fondamento delle cose, dalla totale assenza di ogni ente metafisico, di una qualunque cosa che giustifichi l’esistenza umana. L’uomo si muove in uno spazio totalmente vuoto: in questo risiede la sua libertà. Una libertà talmente ampia che è impossibile sottrarsi ad essa: per questo la libertà è una condanna, perché non vi è alternativa. L’uomo è libero in termini assoluti, ma non è libero di non essere libero.
L’angoscia
Al tema della libertà si collega un altro tema tipico della cultura esistenzialista. Quello dell’angoscia. L’angoscia è infatti la sensazione che si prova di fronte alle possibilità di scelta che si aprono davanti all’uomo, come cifra della sua libertà. Ma appunto, in chiave negativa, la possibilità si traduce in angoscia, per la mancanza di fondamento delle scelte.
L’esistenza precede l’essenza
“L’esistenza precede l’essenza” è una celebre affermazione che Sartre utilizza (riprendendola sostanzialmente dal pensiero di Heidegger) per descrivere in ulteriori termini la libertà umana. Con questa affermazione Sartre vuole infatti sostenere che non esiste nessuna essenza umana, dunque nessun elemento in qualche modo predeterminato che caratterizza l’essere umano. Questo vuol dire che noi siamo esclusivamente ciò che effettivamente facciamo e che questi nostri atti sono totalmente liberi.
Vi sono tre conseguenze di questa impostazione.
La prima è che l’uomo è ciò che concretamente realizza, la sua esistenza è la somma dei suoi atti.
La seconda è che non esistono atti che possono essere definiti disumani. Non esiste infatti una natura umana e dunque ogni atto concretamente realizzato dall’uomo è da definirsi umano.
La terza è che, come dice Sartre, “siamo soli e senza scuse”. Ovvero che siamo totalmente responsabili delle nostre azioni e siamo sempre liberi di compiere la scelta che riteniamo più opportuna.
La nullificazione
Nella sua opera filosofica principale, L’essere e il nulla, Sartre distingue fra l’essere-in-sé e l’essere-per-sé.
L’essere-in-sé è il tutto che si mostra di fronte alla coscienza individuale, sono le cose del mondo che sono chiuse in sé stesse, ma percepite nella loro esistenza dalla coscienza dell’uomo.
L’essere-per-sé è invece appunto la coscienza, che coglie il mondo intorno a sé.
Fra l’essere-in-sé e l’essere-per-sé vi è un conflitto perché le cose del mondo sono lì, sostanzialmente prive di significato, mentre la coscienza dell’individuo vuole necessariamente attribuire un significato alle cose. In questo senso la coscienza opera una nullificazione, ovvero nullifica l’assenza di senso delle cose.
Il Dio mancato
Sartre riprende il concetto, tipico della cultura esistenzialista, dell’uomo come essere che è costantemente in una situazione progettante. Nei suoi progetti l’uomo entra in contatto con l’essere-per-sé e, appunto lo nullifica. Sartre chiama immaginazione la facoltà dell’uomo di attribuire un significato alle cose del mondo per renderle strumenti dei propri progetti. In tal senso Sartre sottolinea l’assoluta libertà dell’uomo di attuare progetti e nullificare l’essere-per-sé. Ma allo stesso tempo il filosofo sottolinea come questi progetti vadano sempre incontro a un fallimento. Sartre definisce infatti l’uomo un dio mancato. Mentre dio è infatti colui che realizza perfettamente i propri progetti, l’uomo fallisce in questo senso. Le cose del mondo non si piegano totalmente a quello che l’uomo vorrebbe realizzare. In tal senso i progetti dell’uomo sono caratterizzati dalle categorie del rinvio (ovvero del rimandare a tempo indefinito i progetti) e soprattutto dello scacco, ovvero del fallimento, della riuscita mancata o non piena rispetto alle aspettative.
Lo sguardo degli altri
Così come la coscienza dell’io nullifica l’essere-per-sé, la nostra coscienza nullifica le coscienze degli altri. Noi attribuiamo infatti un significato agli altri che è consequenziale ai nostri progetti: in questo senso gli altri diventano oggetti dei nostri scopi. Sartre esemplifica questa condizione con l’espressione l’inferno sono gli altri, proprio a significare che gli altri attuano su di noi la loro totale libertà di immaginazione, di attribuzione di un senso. In questo senso Sartre parla del sentimento della vergogna quando avvertiamo lo sguardo altrui che, operando su di noi, ci trasforma in un oggetto del suo progetto.
La morte
Da quanto è emerso finora Sartre ha una concezione pessimista della condizione umana. In questa prospettiva, mentre Heidegger attribuisce un valore positivo alla morte, in quanto la prospettiva della morte permette di compiere scelte di vita autentica, Sartre rinnega anche questa dimensione. La morte infatti opera una nullificazione dell’uomo: l’uomo è possibilità, mentre la morte è una necessità che elimina le possibilità. Inoltre, la morte rende ancora più assurda l’esistenza umana in quanto annulla la sua esistenza e quindi mostra in maniera ancora più evidente l’assurdità delle scelte compiute.
La scelta: l’etica della responsabilità
A partire dalla seconda guerra mondiale il pensiero di Sartre conosce una parziale svolta. La visione pessimista della libertà umana è rivista nell’ottica dei concetti di scelta e responsabilità. Sul piano letterario questa svolta è sancita da un breve testo pubblicato nel 1946, L’esistenzialismo è un umanismo. In questo intervento Sartre sostiene che la libertà umana si accompagna sempre alla responsabilità della scelta. Da una visione tutta individualista della libertà si passa ad una visione collettiva: l’esistenza dell’uomo si svolge accanto a quella degli altri uomini, per cui ogni scelta del singolo ha sempre una ricaduta collettiva. In questo senso, sostiene Sartre, noi siamo sempre responsabili di fronte al mondo. L’idea di non scegliere, secondo il filosofo, in questo senso è una pura illusione: quella che è apparentemente una non scelta corrisponde invece alla scelta di far scegliere gli altri al posto nostro.
In questa prospettiva Sartre recupera l’assurdità dell’esistenza attraverso il valore etico della scelta: è d’altronde questa impostazione di pensiero a rendere Sartre uno degli intellettuali più impegnati sulla scena politica nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale. Lo scrittore, dice infatti Sartre, è sempre compromesso con la situazione politica: ovvero, non può rifiutare l’impegno etico che ne deriva.