Il pensiero politico di Hobbes: giusnaturalismo, contrattualismo, assolutismo

Il pensiero politico classico affonda le sue radici nell’idea che si sviluppa da Socrate ad Aristotele, ovvero che l’uomo è per natura un animale sociale. Questo significa che il vivere in comunità e dotare questa comunità di regole è un fatto connaturato all’uomo.
Il filosofo inglese del Seicento, Thomas Hobbes, ribalta questa idea, affermando che l’uomo sia tutt’altro che un animale sociale: per natura, piuttosto, l’uomo è in conflitto, in concorrenza con gli altri uomini.
Come arriva Hobbes a formulare questo pensiero?

Lo stato di natura: homo homini lupus

Il punto di partenza della riflessione di Hobbes è la domanda: come vivrebbe l’uomo in un ipotetico stato di natura? Ovvero in una situazione in cui non esistono né Stato né leggi?
La risposta che si dà Hobbes è che in una situazione simile gli uomini non agirebbero di comune accordo, ma si troverebbero in permanente conflitto fra di loro.

Questa risposta nasce dal concetto di diritto. Cerchiamo di capire in che senso.
Se non esistono leggi (e quindi nessuno che le fa rispettare), vuol dire che non esistono vincoli ai desideri dell’uomo, non esistono limiti che distinguono ciò che appartiene a qualcuno da ciò che non gli appartiene. Se non ci sono leggi, infatti, vuol dire che ogni singolo uomo può rivendicare il diritto a ogni cosa.
Altrettanto evidente è il problema consequenziale. Ovvero: se tutti hanno diritto a tutto, ognuno è in conflitto con gli altri per il rivendicare il possesso di ciò che si desidera. Non esistono vincoli a questa rivendicazione e non esistono limiti alla lotta, dal momento che non c’è un ordine prestabilito e non c’è nessuno che possa garantire un ordine.
Se la natura umana fosse socievole si troverebbero naturalmente degli accordi di convivenza, ma dal momento che gli uomini sono per natura aggressivi e in competizione fra di loro, vuol dire che il conflitto è inevitabile. Hobbes infatti usa una celebre immagine per descrivere i rapporti fra gli uomini, affermando che l’uomo è lupo fra gli uomini (homo homini lupus).
Dunque, conclude Hobbes, se l’uomo si trovasse a vivere in uno stato di natura la sua vita sarebbe costantemente in pericolo e nessuno potrebbe vivere serenamente, neanche gli uomini più forti.

L’uscita dallo stato di natura

A questo punto occorre chiedersi: perché dunque l’uomo, nonostante la sua natura conflittuale, non vive in questo stato di natura ma in comunità dotate di leggi?
La risposta risiede sempre nella natura umana. Se è vero, afferma Hobbes, che l’uomo è per natura in conflitto con gli altri, è anche vero che l’uomo è dotato di ragione. E la ragione impone all’uomo una serie di leggi, prima delle quali è che occorre cercare la pace. Attraverso la pace è infatti possibile garantirsi quella vita che nello stato di natura è sempre in pericolo.
La seconda regola che la natura impone all’uomo è che la condizione per assicurarsi la pace è che occorre rinunciare al proprio diritto su tutto. Se infatti il conflitto fra gli uomini è determinato dal diritto a possedere ogni cosa, la precondizione per assicurare la pace è proprio la rinuncia a questo diritto.
A questo punto si sono poste le basi per l’uscita dallo stato di natura e per la nascita dello Stato politico. Se infatti si rinuncia al proprio diritto su tutto, occorre qualcuno/qualcosa che custodisca i diritti a cui gli uomini hanno rinunciato e che garantisca che nessuno violi il patto.
Lo Stato nasce quindi, secondo Hobbes, attraverso un contratto con cui allo stesso tempo, gli uomini:
1. Rinunciano al proprio diritto su tutto
2. Trasferiscono questi diritti integralmente a un sovrano

Il sovrano – che rappresenta lo Stato – è esterno al patto nel senso che riceve i diritti degli altri ma non cede nessun diritto a sua volta: questo gli permette di avere il potere sempre assicurato.
Il patto con cui nasce lo Stato è irreversibile = una volta sottoscritto non è più possibile tornare indietro.
Allo stesso tempo il potere con cui nasce lo stato è indivisibile = il suo potere è la somma di tutti i diritti ceduti col patto e non può essere diviso fra più parti perché altrimenti queste sarebbero in conflitto fra di loro e la pace, per la quale il patto viene sottoscritto, non sarebbe più assicurata.
In questo senso dunque il potere dello Stato è assoluto e al di sopra della stessa legge in quanto è lo Stato, in virtù del patto, a fondare la legge.
Per rappresentare l’assolutezza del potere, Hobbes paragona lo Stato al Leviatano, ovvero a un gigantesco mostro biblico: la metafora nasce proprio dal voler mostrare come il potere dello Stato sia enorme.
L’unico limite che ha lo Stato è quello di non poter attentare alla vita dei propri sudditi. L’uomo esce infatti dallo stato di natura e si sottomette alla rinuncia dei propri diritti proprio per garantirsi la vita: se il sovrano gli imponesse di rinunciare alla vita, si cadrebbe nel controsenso.

In conclusione

Analizzate le basi della riflessione politica di Hobbes, andiamo a concludere sottolineando le tematiche di fondo del suo pensiero, attraverso tre parole chiave:

  • Giusnaturalismo = Hobbes è un filosofo giusnaturalista. Giusnaturalismo significa che la legge dello Stato (ovvero la legge positiva) deriva dalla legge di natura. Hobbes non è affatto il primo giusnaturalista della storia, ma nel suo pensiero c’è una grande novità. Se infatti, tradizionalmente, la legge di natura è intesa come un qualcosa che riflette l’ordine naturale del mondo, in Hobbes questa legge trova fondamento nella ragione stessa dell’uomo, che è la facoltà che detta all’uomo le condizioni per uscire dallo stato di natura.
  • Contrattualismo = l’altra grande novità introdotta da Hobbes, e che di fatto è alla base della concezione moderna dello Stato, è che lo Stato non nasca naturalmente ma attraverso un contratto fra gli uomini, i quali sottoscrivono un patto per garantirsi dei diritti, nel caso di Hobbes il diritto alla vita.
  • Assolutismo = Hobbes è il più importante teorico dell’assolutismo, ovvero di un modello politico che è dominante nell’Europa che va dal ‘500 al ‘700. Il potere dello Stato è infatti, nella teoria di Hobbes, assoluto, ovvero indivisibile e al di sopra della legge. Allo stesso tempo, secondo il filosofo, il miglior modo per garantire il successo del patto con cui nasce lo Stato è che il sovrano sia effettivamente un unico monarca. Se il potere fosse infatti gestito da più persone o da un organismo vi sarebbero le condizioni per la contesa del potere e dunque per la disgregazione per lo Stato: concentrare le il potere nelle mani di una sola persona garantirebbe invece l’unità dello Stato.

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