Il Risorgimento: il dibattito storiografico

Il Risorgimento è il processo che porta all’unificazione politica della penisola italiana e alla nascita del Regno d’Italia. Intorno al processo risorgimentale è stato ampio il dibattito politico e storiografico. Questo dibattito si è svolto principalmente intorno a due poli:
1) da un lato sul giudizio di valore da dare al Risorgimento;
2) dall’altro sul tema della presenza di una coscienza nazionale nel processo risorgimentale

Il Risorgimento: processo negativo o positivo?

Per quanto riguarda il primo tema, le interpretazioni si sono divise sostanzialmente in due.

Da un lato troviamo chi ha dato un giudizio principalmente negativo del Risorgimento. In particolare:
1) Alfredo Oriani: ha valorizzato l’impulso nazionale del Risorgimento, ma ha rilevato come esso si sia tradotto in una conquista sabauda che ha fatto venire meno gli ideali più nobili
2) Piero Gobetti: di cultura democratica: giudica il Risorgimento come una rivoluzione fallita, incapace di attivare le masse. Scrive: “Il Risorgimento italiano è la lotta di un uomo e di pochi isolati contro la cattiva letteratura di un popolo dominato dalla miseria.”
3) Antonio Gramsci, intellettuale marxista: descrive il Risorgimento come “rivoluzione passiva”, nella quale le classi dirigenti non hanno fatto nulla per suscitare una volontà collettiva, popolare. Afferma che nel Risorgimento l’egemonia politico-culturale è stata quella dei liberali, che hanno imposto la soluzione monarchico-annessionista

Dall’altro lato troviamo chi ha dato un giudizio invece positivo dei risultati risorgimentali. In particolare:
1) Benedetto Croce, esponente della cultura liberale: afferma che il Risorgimento si inserisce in un contesto europeo in cui si sviluppa un movimento che ha come obiettivo quello della libertà, e il Risorgimento italiano rappresenta in tal senso un tassello fondamentale. Scrive: “Se per la storia politica si potesse parlare di capolavori come per le opere dell’arte, il processo della indipendenza, libertà e unità d’Italia meriterebbe di essere detto il capolavoro dei movimenti liberal-nazionali”.
2) Gioacchino Volpe, storico che aderisce al fascismo: secondo Volpe il Risorgimento è il processo finale di un lungo percorso storico che ha prodotto la coscienza di un popolo nazionale italiano. Sebbene anche Volpe veda nel Risorgimento l’azione di una minoranza, egli dà all’accezione di minoranza un significato positivo, intendendola come “vera aristocrazia morale della nazione”

Gli studi socio-culturali

Anche in questo filone di studi troviamo una contrapposizione, fra:
-coloro che evidenziano la mancanza di un sentimento nazionale alla base del Risorgimento
-coloro che invece valorizzano la presenza di una coscienza nazionale.

Dal primo lato troviamo in particolare:
Marco Meriggi: sostiene che il Risorgimento nasce principalmente dalle insoddisfazioni dell’aristocrazia e dei ceti borghesi del Lombardo-Veneto. Sotto questo punto di vista il discorso nazionale risulta soltanto funzionale a questi interessi, e non affonderebbe invece le sue radici in qualcosa di più profondo. Detto in altri termini: il tema del sentimento della nazione è strumentale, è un tema sfruttato dai ceti sociali della Lombardia e del Veneto per raggiungere i propri scopi, ovvero l’indipendenza dall’Austria.

Dall’altro lato troviamo in particolare:
Alberto Mario Banti: i suoi studi hanno valorizzato la centralità dell’idea di nazione come motore del processo risorgimentale. Secondo Banti, il Risorgimento non è il processo prodotto da una ristretta minoranza, ma nasce da un sentimento diffuso che ha coinvolto le masse italiane, il sentimento della coscienza nazionale. Da questo punto di vista Banti ha sottolineato come nella produzione culturale dell’Ottocento siano riscorsi immagini e simboli che hanno portato a considerare l’Italia come una comunità famigliare, creando dunque il sentimento dell’Italia come patria.

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