In questo percorso affrontiamo il tema delle “piccole cose”, del loro rapporto con l’esistenza dell’uomo, attraverso tre spunti filosofici.
Il primo è Schopenhauer, la cui riflessione rimanda al tema della Volontà: l’appropriazione delle cose – cose in senso lato- , in cui l’uomo è immerso, rivela la natura cannibalica della Volontà di Vivere.
Il secondo è Sartre, correlato al tema della nausea: l’osservazione delle cose rivela la loro totale assenza di significato e provoca l’angoscia che nasce dall’assurdità dell’esistenza.
Infine Heidegger: le cose del mondo si mostrano all’uomo – o meglio: all’esserci – come strumenti adatti ai loro progetti.
Schopenhauer: le “cose” e la Volontà
Scrive Schopenhauer, in Il mondo come Volontà e rappresentazione: “ogni animale può conservare la propria esistenza soltanto col distruggere costantemente un’altra. E così la volontà di vivere divora perennemente se stessa, ed è sotto diverse forme, il nutrimento di se stessa, finché, alla fine, la specie umana, avendo sopraffatto tutte le altre, considera la natura come uno strumento dei propri fini, e tuttavia anch’essa rivela con terribile evidenza in se stessa quel conflitto, quel dissidio della volontà, e diventa homo homini lupus.”.
In questa lotta universale, in cui l’uomo si appropria di tutto considerando la natura un qualcosa nelle sue disponibilità, finisce per entrare in un conflitto senza sosta con gli altri uomini. E la formula homo homini lupus rimanda a Hobbes, all’idea dell’uomo che per i suoi egoismo si appropria degli altri uomini, scatena la sua violenza all’interno della sua stessa specie. Ma questa lotta, nella lettura di Schopenhauer, si rivela anche la tragicità dell’esistenza umana: gli impulsi egoistici e distruttivi che lo guidano sono in realtà esterni all’uomo, preda di quella forza irrazionale che è la Volontà, una forza cieca, che in questo passaggio Schopenhauer ci descrive nella sua natura più profonda, anche contraddittoria, cannibalesca: perché la Volontà, che spinge gli enti del mondo a desiderare e a scontrarsi, producendo questa lotta produce anche la distruzione della natura, ovvero di quella materia che è essenziale per proseguire gli impulsi di appropriazione delle cose, quegli stessi impulsi senza i quali neanche la Volontà potrebbe continuare ad esistere.
Sartre: le “cose” e la nausea
Anche in Sartre le cose che ci circondano possono rivelare la natura tragica dell’uomo. In quello che è forse il passaggio più celebre de La nausea, il protagonista fa l’esperienza definitiva dell’assurdità dell’esistenza al confronto con le cose del mondo che, in un momento di tragica lucidità, si rivelano all’uomo nella loro totale mancanza di significato. Ogni cosa è di troppo nel mondo, ogni gesto – avverte il protagonista – perché nessuna cosa ha un senso. Il nulla è il fondamento dell’esistenza, dunque il nulla preclude, per sua stessa natura, qualunque significato.
“Eravamo un mucchio di esistenti impacciati, imbarazzati da noi stessi, non avevamo la minima ragione d’esser lì, né gli uni né gli altri, ciascun esistente, confuso, vagamente inquieto si sentiva di troppo in rapporto agli altri. Di troppo: era il solo rapporto ch’io potessi stabilire tra quegli alberi, quelle cancellate, quei ciottoli. Invano cercavo di contare i castagni, di situarli in rapporto alla Velleda, di confrontare la loro altezza con quella dei platani: ciascuno di essi sfuggiva dalle relazioni nelle quali io cercavo di rinchiuderli, s’isolava, traboccava. Di queste relazioni (che m’ostinavo a mantenere per ritardare il crollo del mondo umano, il mondo delle misure, delle quantità, delle direzioni) sentivo l’arbitrarietà; non avevano più mordente sulle cose. Di troppo, il castagno, lì davanti a me, un po’ a sinistra. Di troppo la Velleda… Ed io – fiacco, illanguidito, osceno, digerente, pieno di cupi pensieri – anch’io ero di troppo. Fortunatamente non lo sentivo, più che altro lo comprendevo, ma ero a disagio perché avevo paura di sentirlo (anche adesso ho paura – ho paura che questo mi prenda dietro la testa e mi sollevi come un’onda). Pensavo vagamente di sopprimermi, per annientare almeno una di queste esistenze superflue. Ma la mia stessa morte sarebbe stata di troppo. Di troppo il mio cadavere, il mio sangue su quei ciottoli, tra quelle piante, in fondo a quel giardino sorridente. E la carne corrosa sarebbe stata di troppo nella terra che l’avrebbe ricevuta, e le mie ossa, infine, ripulite, scorticate, nette e pulite come denti, sarebbero state anch’esse di troppo: io ero di troppo per l’eternità.”
Heidegger: le “cose” e il loro significato
La riflessione di Sartre parte dall’idea che l’uomo, in quanto tale, è un essere che progetta a partire dalle cose del mondo. Questo tema dell’uomo come essere progettante proviene innanzitutto dalla riflessione di Heidegger, che in un passaggio di Essere e tempo scrive: “Scrittorio, penna, inchiostro, carta, cartella, tavola, lampada, mobili, finestre, porte, camera. Queste “cose” non si manifestano innanzitutto isolatamente, per riempire successivamente una stanza come una somma di reali. Ciò che si incontra per primo, anche se non tematicamente conosciuto, è la camera, e questa, di nuovo, non come “ciò che è racchiuso” fra quattro pareti” in senso spaziale e geometrico, ma come mezzo di abitazione. È a partire da essa che si rivela l’arredamento e in questo, a sua volta, il “singolo” mezzo. Prima del singolo mezzo, è già scoperta una totalità di mezzi”.
In queste righe ritroviamo il tema delle cose del mondo come semplici presenze, che acquistano un significato a partire dai progetti dell’uomo. Le semplici presenze sono dunque interpretate dall’uomo in base al loro grado di utilizzabilità, un grado che è il singolo esserci a stabilire in base alle sue esigenze.
In questa nostra interpretazione del significato delle cose, ci muoviamo secondo quella che Heidegger definisce “visione ambientale preveggente”: ovvero dal confronto con le cose, con la complessità delle cose, iniziamo a intessere una catena di significati che si rimandano tra di loro, ma che fanno costantemente capo all’uomo che muove questa catena. Nel passaggio riportato, ad esempio, ogni cosa acquista un primo significato per il fatto di trovarsi dentro una stanza, che dà dunque un significato generale a quanto vi si trova dentro, ma che a sua volta fa capo all’esserci che nella stanza si muove.