Una delle tematiche più avvertite da Agostino è quella del Male. D’altronde Agostino aveva in gioventù aderito al manicheismo, una soluzione religiosa che sostiene l’esistenza di due principi divini contrapposti e in lotta fra loro, il Bene e il Male.
Aderendo al cristianesimo Agostino si allontana dal manicheismo e si pone il problema di smentire l’esistenza del male sul piano metafisico, ovvero come sostanza divina.
Per risolvere la questione, Agostino ricorre alla riflessione neoplatonica sul Male come assenza di Bene. Nello schema neoplatonico, la divinità rappresenta il Bene, la perfezione assoluta: tanto più, con la materia, ci si allontana dalla divinità, tanto più diminuisce la presenza di Bene.
Questa diminuzione del Bene è d’altronde necessaria all’armonia del cosmo, per distinguere la divinità – e la sua perfezione – da ciò che è inferiore a dio.
Riprendendo le teorie neoplatoniche Agostino può dunque affermare, a differenza di quanto sostenuto dai manichei, che il male, come essenza metafisica, non esiste.
Solo dentro a quest’ottica di non esistenza del male sul piano metafisico, ma di diminuzione del grado di bene, che si può parlare di due forme di male d’altronde necessarie sul piano dell’armonia della totalità: il male fisico e il male morale.
Per male fisico si intendono la sofferenza e la corruzione del corpo: questo male è, secondo Agostino, necessario come espiazione del peccato originale.
Per male morale si intende invece il peccato, dunque il male che è nell’anima, che rientra nella natura dell’uomo, non è attribuibile a Dio. Scrive ad esempio Agostino: il male non è l’oro, ma l’avidità dell’uomo che ama l’oro.