I primi anni del Novecento sono ricordati come gli anni della belle epoque, la “bella epoca”. Questa definizione riflette lo spirito di spensieratezza e fiducia nel progresso tipico dell’Europa di quegli anni. Questo ottimismo è la conseguenza degli effetti della seconda rivoluzione industriale, che ha trasformato la vita quotidiana e ha reso le nazioni europee più ricche sul piano economico e più potenti sul piano industriale e militare.
Le città si riempiono di tram, biciclette, delle prime automobili e di edifici spettacolari, come la Torre Eiffel. Le persone comunicano fra di loro col telefono e con il telegrafo, praticano sport e vanno ad assistere ai sempre più numerosi spettacoli notturni, illuminati, finalmente, dalle lampadine.
Nel frattempo le potenze europee, grazie alla sempre più massiccia produzione di acciaio e grazie ai grandi sviluppi militari, costruiscono grandi imperi coloniali, ma ciononostante la pace sembra regnare sovrana in Europa, perlomeno nella parte centro-occidentale, dove dal 1871 – cessata la guerra francoprussiana – non si conoscono più conflitti.
Eppure, questo clima di entusiasmo e leggerezza, non fa altro che nascondere laceranti tensioni.
La crescita economico-produttiva ha infatti aumentato la competizione fra le nazioni. Le scelte economiche protezionistiche e la corsa coloniale hanno esasperato le rivalità. Il tutto, a sua volta, produce la crescita di un acceso nazionalismo, che si tinge di forti connotazioni xenofobe e razziste. In questo clima, si diffonde, specie presso le giovani generazioni, un culto della guerra, l’idea che attraverso l’impatto bellico si possa produrre un ordine nuovo.
Dentro a questo quadro conflittuale, vi sono una serie di focolai particolarmente incandescenti, che minano la stabilità europea.
Il focolaio balcanico
Il primo focolaio, e più denso di tensioni, è rappresentato dall’intera area balcanica. Questa ampia regione agli inizi dell’Ottocento è dominata dall’impero ottomano. Questo, nel corso del XIX secolo, entra però in una profonda crisi, e non riesce più a gestire l’area balcanica. Questa debolezza avvia un processo di movimenti indipendentisti ma, allo stesso tempo, genera una serie di tensioni legate alle rivendicazioni dei vari gruppi etnici.Nel corso dell’Ottocento si rendono via via indipendenti – spesso grazie all’appoggio di potenze straniere interessate all’indebolimento dell’impero ottomano – la Grecia, la Romania, la Serbia, il Montenegro, la Bulgaria.
Le tensioni si accendono sempre di più all’alba del Novecento.
Nel 1908 infatti, l’Austria si annette, con un colpo di mano, la Bosnia-Erzegovina, suscitando l’ostilità dell’Italia, della Serbia e della Russia. Dell’Italia in quanto gli accordi della Triplice Alleanza prevedono che un’espansione austriaca nei Balcani debba essere compensata da una cessione di territori all’Italia, cosa che non avviene. Della Serbia in quanto essa mira alla creazione di un grande stato slavo nei Balcani e puntava quindi a sua volta all’annessione della Bosnia. Della Russia, infine, in quanto alleata della Serbia e dunque portavoce dei suoi interessi contro l’Austria.
A confermare poi il quadro di profonda instabilità del quadro balcanico all’inizio del secolo abbiamo le due guerre balcaniche del 1912 e del 1913. Nel 1912 la Serbia, il Montenegro, la Grecia e la Bulgaria si alleano contro l’Impero Ottomano, per cacciarlo definitivamente dai territori europei.
Nel 1913 gli stessi stati che si erano alleati contro gli Ottomani, si combattono invece fra di loro, a ulteriore dimostrazione del grave stato di tensione nell’area.
La weltpolitik tedesca
Secondo elemento di tensione nel quadro europeo è determinato dalla Germania. Nel 1888 è infatti divenuto imperatore tedesco Guglielmo II, che lancia la weltpolitik, ovvero una politica di potenza militare. Obiettivo di Guglielmo è quello di scardinare gli equilibri europei e dare al Reich, ormai prima potenza industriale del continente, un analogo primato sul piano politico. Le aspirazioni di Guglielmo vengono a più riprese frustrate dalla Francia e dal Regno Unito che, in quanto maggiori imperi coloniali, impediscono alla Germania di ottenere la sua ambita espansione, aumentando così il risentimento tedesco.
Le ambizioni della Germania, a capo della cosiddetta Triplice Alleanza con Austria e Italia, avevano finito per spingere la Francia, la Russia e l’Inghilterra a un avvicinamento, che aveva preso la forma dell’accordo della cosiddetta “Intesa cordiale”.
Un chiaro esempio di questo scontro fra due blocchi si ha in Marocco, uno degli ultimi territori africani non ancora colonizzati agli inizi del Novecento. Francia e Germania si contendono la regione, giungendo due volte, nel 1905 e nel 1911, a un passo dalla crisi. Alla fine a spuntarla, anche grazie al sostegno inglese, è la Francia, che riesce a imporre il suo protettorato sul Marocco, esasperando dunque la fame tedesca.
Il revanscismo francese
Il conflitto franco-tedesco sul Marocco è a sua volta conseguenza di un terzo elemento di tensione nel continente, ovvero il cosiddetto revanscismo francese. Il termine revanscismo, viene dal francese revenche (“vendetta”), sentimento riferito alla volontà francese di rifarsi contro la Germania, che nel 1870 aveva impartito una dura umiliazione alla Francia nel corso della guerra franco-prussiana. La netta vittoria prussiana aveva infatti provocato: la caduta di Napoleone III, l’occupazione di Parigi e il passaggio di due regioni di frontiera a lungo contese, l’Alsazia e la Lorena, dalla Francia alla Germania. Tutto questo finisce dunque per alimentare nel tempo una volontà francese di pareggiare i conti con la Germania e restituirle l’umiliazione subita.
Il focolaio austro-ungarico
A chiudere il quadro dei focolai continentali, vi è il già citato impero-austroungarico che, a sua volta, contiene in sé una serie di elementi di tensioni. L’impero è infatti un mosaico di varie etnie: cechi, slovacchi, serbi, croati, polacchi, italiani, che nel corso dell’Ottocento e dell’inizio del Novecento accrescono le loro rivendicazioni nazionaliste, minando la stabilità interna dell’impero.
Già nel 1867 l’Austria è costretta a scendere a compromessi con gli ungheresi, concedendo all’Ungheria una sostanziale autonomia: è in questo anno infatti che si inizia a parlare di impero austro-ungarico.
Questa soluzione risolve però solo una parte dei problemi austriaci. Particolarmente tesi rimangono infatti i rapporti da un lato con le popolazioni serbe e croate che, come si è visto, miravano a rendersi indipendenti e magari unirsi con la Serbia, dall’altro con l’Italia. In Italia è infatti presente un movimento definito irredentista, che rivendica una serie di territori sotto controllo austriaco, le terre appunto dette irredente: in particolare il Venezia-Giulia (che comprende Trieste e Gorizia), l’Alto Adige il Trentino e le coste dalmate.
Alla luce di tutti questi focolai, l’Europa del 1914 appare dunque un continente sul punto di esplodere, all’accensione della prima miccia. Questa miccia, come è risaputo, sarebbe arrivata il 28 giugno 1914, con l’attentato a Francesco Ferdinando a Sarajevo.