Allo scoppio della Grande Guerra gli intellettuali europei si dividono. Da un lato – maggioritario – vediamo uomini di cultura schierarsi decisamente a favore dell’intervento. Dall’altro si alza un appello per la pace. Nei primi due documenti vediamo l’intervento di Thomas Mann – raffinato intellettuale tedesco – a favore della guerra e l’appello di Einstein per la pace (appello che avrà scarsissimo seguito)
Documento 1: Thomas Mann a favore dell’intervento bellico
l’anima tedesca è troppo profonda perchè la civilizzazione divenga per essa il concetto più sublime. (…) essa è bellicosa per moralità, non per vanità e sete di gloria, né per l’imperialismo (…). ma questa nazione dovrà venire conosciuta a ogni costo, vita e storia lo esigono e proveranno come non sia fattibile negare con la forza e per rozza ignoranza l’indispensabile missione e caratteristica di questo popolo. ci volevate accerchiare, strangolare, sterminare, ma la germania, ben lo vedrete, difenderà come un leone il suo io odiato e profondo, e quale risultato della vostra congiura vi vedrete con stupore costretti a studiarci
Documento 2: Appello alla pace di Einstein
Un tale comportamento non può essere scusato da alcun orgoglio patriottico; esso è indegno di ciò che finora il mondo ha acquisito nel nome della cultura. Sarebbe un disastro se questi comportamenti prendessero il sopravvento anche fra le persone colte. Non sarebbe solo un disastro per la cultura, ma ancheper quella sopravvivenza nazionale dei singoli stati nel cui nome, in ultima analisi, sono state scatenate tutte queste barbarie.
Dopo lo scoppio del conflitto i tempi di risoluzione dello scontro si prolungano. La guerra di movimento si trasforma in guerra di trincea e si raggiunge un equilibrio fra i due campi. A partire da quel momento gli schieramenti si estendono: ogni alleanza cerca di attirare a sé potenze neutrali per cercare di alterare gli equilibri raggiunti. Questo è il caso dell’Italia, che finisce per accordarsi con la Francia e l’Inghilterra per l’entrata in guerra al loro fianco. In cambio dell’impegno militare, all’Italia vengono avanzate una serie di promesse, stipulate nel patto di Londra:
Documento 3: Patto di Londra
art. 4: (…) l’Italia dovrà ricevere il Trentino, il Tirolo
Cisalpino con il suo confine geografico naturale (la frontiera del Brennero), oltre che
Trieste, le contee di Gorizia e Gradisca, tutta l’Istria fino al Quarnaro (…)
art. 5: All’Italia dovrà anche essere data la provincia della Dalmazia (…)
art. 8: L’Italia dovrà ricevere piena sovranità sulle Isole del Dodecanneso che
attualmente occupa. (…)
art. 9: In generale, la Francia, la Gran Bretagna e la Russia riconoscono che l’Italia è
interessata a mantenere un equilibrio di forze nel Mediterraneo e che, nel caso di
scissione totale o parziale della Turchia in Asia, essa dovrebbe ottenere un’equa parte
della regione del Mediterraneo adiacente alla Provincia di Adalia
art. 13: Qualora la Francia e la Gran Bretagna aumentassero i propri possedimenti
coloniali in Africa a spese della Germania, le due Potenze sono in linea di principio
d’accordo che l’Italia può richiedere equo compenso (…)
art. 16: Questo accordo verrà mantenuto segreto
Il Patto di Londra è firmato il 26 aprile 1915, ma la sua stipula è segreta. Nel frattempo l’Italia si divide in due grandi fronti: interventisti e neutralisti. Fra le voci più importanti dell’interventismo vi è Gabriele d’Annunzio, che il 13 maggio, in un discorso di fronte la folla romana, aizza i sentimenti interventisti calcando la mano sul diffuso antigiolittismo presente nel fronte interventista:
Documento 4: D’Annunzio contro Giolitti
Ascoltatemi: Intendetemi. Il tradimento è oggi manifesto. Non ne respiriamo soltanto l’orribile
odore, ma ne sentiamo già tutto il peso obbrobrioso. Il tradimento si compie in Roma, nella città
dell’anima, nella città di vita! Nella Roma vostra si tenta di strangolare la Patria con un capestro
prussiano maneggiato da quel vecchio boia labbrone le cui calcagna di fuggiasco sanno la via di
Berlino. In Roma si compie l’assassinio. E se io sono il primo a gridarlo, e se io sono il solo, di
questo coraggio voi mi terrete conto domani…
Udite! Noi siamo sul punto d’esser venduti come una greggia infetta. Su la nostra dignità umana, su
la dignità di ognuno, su la fronte di ognuno, su la mia, su la vostra, su quella dei vostri figli, su
quella dei non nati, sta la minaccia d’un marchio servile.
Chiamarsi italiano sarà nome di rossore, nome da nascondere, nome da averne bruciate le labbra…
Questo vuol far di noi il mestatore di Dronero , intruglio
osceno, contro il quale un gentiluomo di chiarissimo sangue romano, Onorato Caetani, or è
molt’anni, scoccò un epigramma crudele… Questo vuol fare di noi quell’altro ansimante leccatore di
sudici piedi prussiani, che abita qui presso; contro il quale la lapidazione e l’arsione, subito
deliberate e attuate, sarebbero assai lieve castigo.
L’Italia infine entra in guerra e nel frattempo i tempi si prolungano sempre di più. E con essi si richiede in maniera sempre più massiccia l’impegno umano ed economico delle popolazioni coinvolte. Per questo motivo i governi si attivano per dare vita a una diffusa propaganda per mobilitare la propria popolazione nel sostegno bellico: vediamo di seguito alcune delle locandine dell’epoca.
Ma qual è l’atteggiamento degli uomini coinvolti nel conflitto? In generale si passa da un diffuso entusiasmo a una profonda disillusione, di fronte al dramma della trincea. Nel documento 5 vediamo un passaggio di Esame di coscienza di un letterato, scritto da Renato Serra prima di partire per la guerra, dove sarebbe morto nello stesso 1915. In opposizione ai sentimenti di Serra vediamo poi i documenti 6 e 7 tratti dal diario di un semplice soldato, Elio Nerucci, arruolato nel 1916, che racconta prima la vita in trincea e, poi, la fuga da Caporetto
Documento 5: la guerra come partecipazione
si ha voglia di camminare, di andare. ritrovo il contatto col mondo e con gli altri uomini che mi stanno dietro, che possono venire con me. sento il loro passo, il loro respiro confuso col mio. e la strada salda, liscia, dura, che suona sotto i passi, che resiste al piede che la calca. (…) dietro di me son tutti fratelli quelli che vengono
Documento 6: la trincea
Arrivati al fronte si raggiunse un paesino che si chiamava Scodavacca. Lì si trovava il reparto Cavalli. In Fureria incontrai il Frangioni di Santomato come magazziniere. Dopo due giorni ci incamminammo per raggiungere la prima linea. Era notte. Durante la marcia si vedevano tanti lampi come saette. Sembrava un gran temporale. Quando si fu più vicini incominciammo a sentire che non erano fulmini, ma colpi di cannone.
Giunti sotto il loro tiro, non posso descrivere come sia impressionante il battesimo del fuoco. Il primo a morire fu un canino che si chiamava Frai. Lo prese una scheggia e lo portò lontano. Ci dispiacque tanto, perché eravamo tutti affezionati.
Intanto ci fecero aggiustare il tiro e incominciammo a sparare cannonate dietro gli ordini del capo pezzo. Così pure io provocai morti e feriti nelle linee del nemico e forse anche fra i nostri compagni, perché il Comando ci ordinava di sparare nelle retrovie, e molti colpi pure nella loro prima linea. Ma, dato che le prime linee erano vicine, poteva darsi che qualche colpo scoppiasse sui nostri. Io però, quando non c’era il capo pezzo, cercavo sempre di dare un piccolo giro al volantino, così che li mandavo a scoppiare più lontano. Avevo sentito parlare dai fanti che qualche colpo non era preciso, forse anche per difetto di fabbricazione.
Dopo pochi giorni rimase ferito il soldato Breschi. Fu molto affortunato: lui poteva lasciare quell’inferno. Piano, piano si fece l’abitudine alla vita di trincea. Dormire per terra quando si aveva un momento di calma. Da mangiare lo portavano la notte, se lungo la strada non venivano colpiti i muli, o i conducenti; altrimenti si saltava il pasto.
Passato un po’ di tempo non si pensava più alla vita, tanto ogni momento si vedevano morti e feriti. Così pure io mi feci coraggio e pensavo: “Se arriva una scheggia, o una pallottola intelligente che non mi ferisce gravemente bene; se mi ammazza è almeno finito questo patire”.
Documento 7: fuga da Caporetto
Il ventisette il nostro comandante credé inopportuno fare resistenza, perché eravamo minacciati di accerchiamento. Alle undici ci giunse ordine di rimetterci in marcia. Ci diedero un po’ di riso cotto nell’acqua e un po’ di Torigiana. Alle dodici si ripartì e ci fecero fare marcia indietro sulla via che avevamo fatto il giorno prima. Camminando fino a sera inoltrata, si passò da tanti paesi. E la folla di borghesi piangeva al nostro passaggio, perché il nemico non avrebbe tardato tanto ad arrivare alle loro case.
I signori erano già scappati quasi tutti. Ma la povera gente, senza mezzi di trasporto, doveva restare lì e aspettare la sorte che gli toccava. Erano fanciulli, donne, vecchi, costernati dal dolore per l’invasione tedesca.
Ci fermammo alle ventuno, a due chilometri circa dalla città di Udine. Durante il viaggio si era visto Cividale avvolta dalle fiamme. Perché i nostri, prima di andar via, incendiavano tutti i magazzini militari. Appena fatto alto in un bel prato, ci diedero mezza scatoletta e una galletta a testa. Nella notte il cielo si fece scuro e poco dopo la mezzanotte cominciò a piovere a dirotto. Per essere riparato dall’acqua, con quattro amici, andai sotto un ponte. Accendemmo un bel fuoco e lì pensavamo di passare la notte.
Ma la nostra triste storia non ci dava sosta. Alle due del mattino venne l’ordine di rimettersi di nuovo in marcia per andare ancora indietro e portarsi aldilà del Tagliamento. Ma soprattutto per non farsi prendere prigionieri. Partimmo sotto una fitta pioggia che in poche ore rese le nostre vesti zuppe d’acqua.
L’orrore della guerra è raccontato anche dalle arti iconografiche. Vediamo Pasto in trincea, opera di Otto Dix che fa parte di una raccolta di 50 acqueforti intitolata La guerra, prodotta nel 1924: racconta una scena di riposo attraverso però una estrema drammatizzazione

Il dramma della guerra non riguarda solo i soldati in trincea, ma anche i civili. Fra le popolazioni più colpite, il triste primato spetta agli armeni, sottoposti a partire dal 1915 ad un piano di sterminio da parte del governo Ottomano.

Nel 1917 la guerra subisce una svolta con l’entrata in guerra degli Usa. Nel gennaio 1918 Wilson presenta i motivi dell’entrata nel discorso dei 14 punti:
Documento 8: 14 punti di Wilson
1. — Pubblici trattati di pace, conchiusi apertamente, dopo i quali non vi saranno più accordi internazionali privati di qualsivoglia natura; ma la diplomazia procederà sempre francamente e pubblicamente.
2. — Libertà assoluta di navigazione sui mari, al di fuori delle acque territoriali, sia in tempo di pace che in tempo di guerra, salvo il caso che i mari siano chiusi totalmente o parzialmente con un’azione internazionale in vista dell’esecuzione di accordi internazionali.
3. — Soppressione, nei limiti del possibile, di tutte le barriere economiche e stabilimento di condizioni commerciali uguali per tutte le nazioni che consentono alla pace e si associano per mantenerla.
4. — Garanzie sufficienti date e prese che gli armamenti nazionali saranno ridotti all’estremo limite compatibile con la sicurezza interna del paese.
5. — Composizione libera, in uno spirito largo ed assolutamente imparziale, di tutte le rivendicazioni coloniali, fondata sul rigoroso rispetto del principio che, nel regolare tutte le questioni di sovranità, gli interessi delle popolazioni interessate dovranno avere ugual peso delle domande eque del Governo il cui titolo si dovrà definire.
6. — Evacuazione di tutti i territori russi e regolamento di tutte le questioni concernenti la Russia, in guisa da assicurare la migliore e la più larga cooperazione delle altre nazioni del mondo per fornire alla Russia l’occasione opportuna di fissare, senza ostacoli né imbarazzi, in piena indipendenza, il suo sviluppo politico e nazionale; per assicurarle una sincera accoglienza nella Società delle nazioni libere sotto un governo che essa stessa avrà scelto; per assicurarle infine il massimo aiuto, qualunque possa essere o quale essa potrebbe desiderare. Il trattamento accordato alla Russia dalle nazioni sue sorelle durante i mesi prossimi sarà la pietra di paragone che rivelerà la buona volontà e la comprensione di queste nazioni per i bisogni della Russia, a prescindere dai loro propri interessi e dalla loro intelligente simpatia.
7. — Il mondo intero sarà d’accordo che il Belgio debba essere evacuato e restaurato, senza alcun tentativo di limitare la sovranità di cui fruisce alla stregua delle altre nazioni libere. Nessun atto meglio di questo servirà a ristabilire la fiducia delle nazioni nelle leggi stabilite e fissate per reggere le loro reciproche relazioni. Senza questo atto di riparazione, la struttura e la validità di tutte le leggi internazionali sarebbero per sempre infirmate.
8. — Tutto il territorio francese dovrà esser liberato, e le parti invase dovranno essere interamente ricostruite. Il torto fatto alla Francia dalla Prussia nel 1871, per quanto concerne l’Alsazia-Lorena, che ha turbato la pace del mondo per quasi cinquant’anni, dovrà esser riparato, affinché la pace possa essere ancora una volta assicurata nell’interesse di tutti.
9. — Una rettifica delle frontiere italiane dovrà esser effettuata secondo le linee di nazionalità chiaramente riconoscibili.
10. — Ai popoli dell’Austria-Ungheria, di cui desideriamo salvaguardare il posto fra le nazioni, dovrà esser data al più presto la possibilità di uno sviluppo autonomo.
11 — La Romania, la Serbia, il Montenegro dovranno essere evacuati; saranno ad essi restituiti quei loro territori che sono stati occupati. Alla Serbia sarà accordato un libero accesso al mare, e le relazioni fra i diversi Stati balcanici dovranno esser fissate radicalmente sulle ispirazioni delle Potenze, secondo linee stabilite storicamente. Garanzie internazionali di indipendenza politica, economica, e d’integrità territoriale saranno fornite a questi Stati.
12. Alle parti turche del presente Impero ottomano saranno assicurate pienamente la sovranità e la sicurezza, ma le altre nazionalità che vivono attualmente sotto il regime di questo Impero devono, d’altra parte, godere una sicurezza certa di esistenza e potersi sviluppare senza ostacoli; l’autonomia dev’esser loro data.
I Dardanelli saranno aperti in permanenza e costituiranno un passaggio libero per le navi e per il commercio di tutte le nazioni sotto garanzie internazionali.
13. — Uno Stato polacco indipendente dovrà esser costituito, comprendente i territori abitati da nazioni incontestabilmente polacche, alle quali si dovrebbe assicurare un libero accesso al mare; l’indipendenza politica, economica e l’integrità territoriale di queste popolazioni saranno garantite da una Convenzione internazionale.
14 — Una Società generale delle nazioni dovrebbe esser formata in virtù di convenzioni formali aventi per oggetto di fornire garanzie reciproche di indipendenza politica e territoriale ai piccoli come ai grandi Stati.
Nel novembre 1918 la guerra finisce. Dal ’19 le potenze vincitrici si riuniscono per discutere gli accordi di pace. Le condizioni più dure sono imposte alla Germania, considerata la prima responsabile del conflitto:
Documento 9: i trattati di Versailles
Art. 231. I Governi alleati e associati dichiarano e la Germania riconosce che la Germania e i suoi
alleati sono responsabili, per averli causati, di tutte le perdite e di tutti i danni subiti dai Governi
alleati e associati e dai loro cittadini a seguito della guerra, che a loro è stata imposta
dall’aggressione della Germania e dei suoi alleati. […]
Art. 233. L’ammontare dei detti danni, per i quali una riparazione è dovuta dalla Germania, sarà
fissato da una Commissione […]. Questa commissione studierà i reclami e darà al Governo tedesco
l’equa facoltà di farsi sentire.
Le conclusioni fissate qui sotto saranno redatte e notificate al Governo tedesco il 1° maggio 1921 al
più tardi, e rappresenteranno la totalità dei suoi obblighi. […