Col primo documento entriamo nell’universo di Schopenhauer: l’esistenza è irrazionale, l’uomo è preda dei suoi desideri e dei suoi bisogni, ma i sentimenti che è in grado di provare sono solo i sentimenti negativi. Schopenhauer rigetta dunque qualunque prospettiva ottimista della storia, a vantaggio di un’analisi pessimista
Documento 1: l’irrazionalità dell’ottimismo
Noi sentiamo il dolore, ma non la mancanza del dolore; sentiamo la paura, ma non la tranquillità. Sentiamo il desiderio, come sentiamo la fame e la sete; ma appena esso è soddisfatto, non abbiamo piú niente da fare con esso, come avviene col boccone goduto, il quale nel momento in cui viene ingoiato, cessa di esistere per la nostra sensibilità. Soltanto il dolore e la privazione si possono percepire positivamente e si annunciano quindi da sé: il benessere invece è soltanto negativo. Non ci accorgiamo perciò dei tre grandi beni della vita, la salute, la giovinezza, la libertà come tali, finché li possediamo, ma solo dopo che li abbiamo perduti: poiché anch’essi sono negazioni. […] A misura che i godimenti crescono, diminuisce la sensibilità per essi: ciò che è abituale non viene piú sentito come godimento. Appunto per ciò cresce la sensibilità per il dolore, perché la privazione di ciò che è abituale viene sentita dolorosamente. Cosí nel possesso cresce la misura de] necessario e quindi la capacità di provare dolori. Le ore passano tanto piú veloci quanto piú sono piacevoli, tanto piú lente quanto piú sono penose, poiché ciò che e positivo non e il godimento, ma il dolore, la cui presenza si rende sensibile. La nostra esistenza è piú felice allorché meno ce ne accorgiamo: ne consegue che sarebbe meglio non averla. […] Se si conducesse il piú ostinato ottimista attraverso gli ospedali, i lazzaretti, le sale chirurgiche, le prigioni, le stanze di tortura, i recinti degli schiavi, nei campi di battaglia e nei tribunali, aprendogli tutti i sinistri covi della miseria, e facendogli vedere alla fine la torre della fame di Ugolino, certamente anch’egli potrebbe capire di qual specie sia questo meilleur des mondes possibles. Perciò non posso trattenermi dal dichiarare che l’ottimismo mi sembra non solo una dottrina assurda, ma anche iniqua, un amaro scherno dei mali innominabili sofferti dall’umanità.
(Il mondo come volontà e rappresentazione)
Schopenhauer, rispetto ad Hegel, recupera la centralità del corpo: è attraverso il corpo che l’uomo si rappresenta il mondo, è attraverso il corpo che l’uomo esprime la volontà, i desideri:
Documento 2: dal fenomeno alla cosa in sé
al soggetto del conoscere, che appare come individuo, è data la parola dell’enigma: e questa parola è volontà. Questa, e questa sola, gli dà la chiave per comprendere il suo proprio fenomeno, gli manifesta il significato, gli mostra l’intimo meccanismo del suo essere, del suo agire, dei suoi movimenti. Al soggetto della conoscenza, il quale per la sua identità col corpo si presenta come individuo, questo corpo è dato in due modi del tutto diversi: è dato come rappresentazione nella intuizione dell’intelletto, come oggetto fra oggetti, e sottomesso alle leggi di questi; ma è dato contemporaneamente anche in un modo tutto diverso, ossia come quel qualcosa direttamente conosciuto da ciascuno, che la parola volontà esprime. Ogni vero atto della sua volontà è immediatamente e immancabilmente anche un moto del suo corpo: egli non può volere realmente l’atto, senza accorgersi insieme che esso appare come moto del corpo. L’atto volitivo e l’azione del corpo non sono due diversi stati oggettivamente conosciuti e collegati dal legame di causalità, non stanno tra di loro nella relazione di causa ed effetto: sono invece un tutto unico, ma si danno in due modi affatto diversi: nell’uno direttamente, e nell’altro mediante l’intuizione per l’intelletto. L’azione del corpo non è altro se non l’atto del volere oggettivato, ossia penetrato nell’intuizione
(Il mondo come volontà e rappresentazione)
La Volontà non è un elemento soggettivo: è una forza universale che vive attraverso ogni forma di vita. Il paradosso della volontà è che è una forza che per alimentarsi ha bisogno di distruggere altre forme di vita: l’uomo, ad esempio, per sviluppare la sua specie distrugge la natura intorno a sé ed è mosso da egoismi nei confronti degli altri uomini.
Documento 3: La Volontà di vivere
ogni animale può conservare la propria esistenza soltanto col distruggere costantemente un’altra. E così la volontà di vivere divora perennemente se stessa, ed è sotto diverse forme, il nutrimento di se stessa, finché, alla fine, la specie umana, avendo sopraffatto tutte le altre, considera la natura come uno strumento dei propri fini, e tuttavia anch’essa rivela con terribile evidenza in se stessa quel conflitto, quel dissidio della volontà, e diventa homo homini lupus
(Il mondo come volontà e rappresentazione)
L’uomo, sottoposto alla Volontà, vive nel dolore. Esistono però delle forme di liberazione dal dolore. La prima è l’arte: la contemplazione artistica ci eleva infatti al di sopra delle singole cose, dalla catena dei desideri, portandoci in una dimensione atemporale.
Documento 4: l’arte come via di liberazione
Questo è appunto lo stato, da me piú sopra descritto come necessario per la conoscenza dell’idea in quanto pura contemplazione, assorbimento nell’intuizione, smarrimento di sé nell’oggetto, oblio di ogni individualità, abolizione della conoscenza legata al principio di ragione, che afferra soltanto relazioni; è lo stato, in cui immediatamente e inseparabilmente il singolo oggetto intuito si eleva all’idea della sua specie, l’individuo conoscente si eleva a puro soggetto del conoscere libero dalla volontà, ed entrambi, in quanto tali, non si trovano piú nella corrente del tempo e di tutte le altre relazioni. È indifferente, allora, se il sole che tramonta si veda da un carcere o da un palazzo.
(Il mondo come volontà e rappresentazione)
La forma dell’arte che meglio permette la liberazione dal dolore è la musica, grazie al suo linguaggio universale e alla sua immaterialità
Documento 5: la musica
La musica oltrepassa le idee, è del tutto indipendente anche dal mondo fenomenico, semplicemente
lo ignora, e in un certo modo potrebbe continuare ad esistere anche se il mondo non esistesse più:
cosa che non si può dire delle altre arti
La seconda forma di liberazione dal dolore è la compassione: la compassione interrompe infatti la catena degli egoismi, portando l’uomo a comprendere il dolore altrui, dolore che nasce dalla schiavitù della Volontà:
Documento 6: la compassione
“Quel che adunque bontà, amore e nobiltà posson fare per altri, è sempre nient’altro che lenimento dei
loro mali; e quel che per conseguenza può muoverle alle buone azioni e opere dell’amore, è sempre
soltanto la conoscenza dell’altrui dolore, fatto comprensibile attraverso il dolore proprio, e messo a pari
di questo. Ma da ciò risulta che il puro amore (agape, caritas) è, per sua natura, compassione.
La terza, e più adeguata, forma di liberazione dal dolore è la nouluntas. Ovvero uno stato di liberazione dalla volontà, di interruzione definitiva dei desideri, uno stato simile al nirvana buddhista
Documento 7: la nouluntas
E noi volgiamo lo sguardo con profonda e dolorosa nostalgia a quello stato, vicino al quale si mostra in piena luce, per contrasto, la miserevolezza e perdizione del nostro. Eppure questa considerazione è la sola che ci possa consolare durevolmente quando da un lato abbiamo riconosciuto che il dolore insanabile l’affanno senza fine sono essenziali al fenomeno della volontà, al mondo, è dall’altro vediamo che con la soppressione della volontà si dissolve il mondo, e che dinanzi a noi non rimane che il vuoto nulla. In tal modo, dunque, considerando la vita e la condotta dei santi, che invero raramente ci è dato di incontrare nella nostra esperienza, ma che ci vengono posti sotto gli occhi dalle loro storie e, col suggello dell’intima verità, dall’arte, dobbiamo discacciare la tetra impressione di quel nulla, che ondeggia come ultimo termine in fondo ad ogni virtú e santità e che noi temiamo, come i bambini le tenebre, e non già, come fanno gli indiani, eluderlo con miti e parole prive di senso, come il riassorbimento in Brahma o il Nirvana dei buddisti. Noi vogliamo piuttosto dichiararlo liberamente: ciò che rimane dopo la totale soppressione della volontà è certo, per tutti coloro che della volontà sono ancora pieni, il nulla. Ma al contrario per coloro nei quali la volontà si è spontaneamente rovesciata e rinnegata, questo nostro universo tanto reale, con tutti i suoi soli e le sue vie lattee, è il nulla.
(Il mondo come volontà e rappresentazione)