Il pensiero politico di Rousseau attraverso i documenti

Documento 1: sull’uscita dallo stato di natura
(Sull’origine della disuguaglianza)

Finché gli uomini si sono accontentati delle loro rustiche capanne, finché si sono limitati a cucire i loro abiti fatti di pelli con spine o lische, ad adornarsi di piume e di conchiglie, a dipingersi il corpo di diversi colori, a perfezionare o abbellire i loro archi e le loro frecce, a costruire con pietre taglienti qualche canotto da pescatore o qualche rozzo strumento musicale; in breve, finché si sono applicati soltanto a opere che un uomo poteva fare da solo, ad arti che non richiedevano il concorso di molte mani, essi sono vissuti liberi, sani, buoni e felici, nella misura in cui potevano esserlo secondo la loro natura, ed hanno continuato a godere tra loro delle dolcezze di un rapporto indipendente. Ma dal momento in cui un uomo ebbe bisogno dell’aiuto di un altro, non appena ci si accorse che poteva esser utile ad un solo uomo di avere provvigioni per due, l’uguaglianza scomparve, si introdusse la proprietà, il lavoro divenne necessario e le vaste foreste si mutarono in campi ridenti che dovettero essere bagnati dal sudore degli uomini e in cui si vide ben presto la schiavitú e la miseria germogliare e crescere insieme alle messi.
La metallurgia e l’agricoltura furono le due arti la cui scoperta produsse questa grande rivoluzione. Se per il poeta furono l’oro e l’argento, per il filosofo furono il ferro e il grano a render civili gli uomini e a portare cosí alla rovina il genere umano. Entrambi infatti erano ignoti ai selvaggi dell’America che, per questo motivo, sono rimasti tali; sembra persino che gli altri popoli siano rimasti barbari finché hanno praticato una sola di queste arti. E forse una delle ragioni principali per cui l’Europa è stata civilizzata, se non prima, almeno piú durevolmente e meglio delle altre parti del mondo, risiede nel fatto che essa è il paese al tempo stesso piú ricco di ferro e piú fertile in grano.

Documento 2: sulla nascita della proprietà privata
(Sull’origine della disuguaglianza)

Il primo uomo che, avendo recinto un terreno, ebbe l’idea di proclamare questo è mio, e trovò altri cosí ingenui da credergli, costui è stato il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, quante guerre, quanti assassinii, quante miserie, quanti orrori avrebbe risparmiato al genere umano colui che, strappando i pali o colmando il fosso, avrebbe gridato ai suoi simili: “Guardatevi dall’ascoltare questo impostore; se dimenticherete che i frutti sono di tutti e che la terra non è di nessuno, sarete perduti!”. 

Documento 3: volontà generale
(Il contratto sociale)

La volontà generale soltanto può dirigere le forze dello Stato secondo il fine per cui questo è stato istituito, cioè il bene comune; infatti, se l’opposizione degli interessi particolari ha reso necessaria l’istituzione della società, questa a sua volta è stata resa possibile dalla concordanza di quei medesimi interessi. (…)
La volontà generale è sempre retta e tende sempre alla pubblica utilità; ma da ciò non consegue che le deliberazioni del popolo abbiano sempre la stessa rettitudine. Si vuole sempre il proprio bene, ma non sempre lo si vede; non si corrompe mai il popolo ma sovente lo si inganna, ed è solamente in tal caso che esso sembra volere ciò che è male.
Spesso vi è una gran differenza fra la volontà di tutti e la volontà generale: questa ha di mira soltanto l’interesse comune, l’altra ha di mira l’interesse privato e non è che una somma di volontà particolari; ma se da queste stesse volontà si tolgono i piú e i meno che si annullano fra loro, come somma delle differenze rimane la volontà generale.

Documento 4: il contratto sociale
(Il contratto sociale)

Queste clausole si riducono tutte, se correttamente intese, ad una sola, cioè all’alienazione totale di ogni associato, con tutti i suoi diritti, a tutta la comunità. Infatti, in primo luogo, poiché ognuno si dà tutto intiero, la condizione è uguale per tutti, ed essendo la condizione uguale per tutti, nessuno ha interesse a renderla gravosa agli altri.
Inoltre, poiché l’alienazione si fa senza riserve, l’unione è tanto perfetta quanto può esserlo e nessun associato ha piú alcunché da pretendere. Se rimanesse infatti qualche diritto ai singoli, poiché non vi sarebbe alcun superiore comune in grado di pronunciarsi tra di loro e il pubblico, ognuno, essendo sotto qualche aspetto giudice di se stesso, pretenderebbe ben presto di esserlo in tutto; ma allora continuerebbe a sussistere lo stato di natura e l’associazione diverrebbe necessariamente tirannica o vana.
Infine, ognuno, dandosi a tutti, non si dà a nessuno, e poiché non vi è nessun associato sul quale non si acquisti lo stesso diritto che gli si cede su di sé, si guadagna l’equivalente di tutto ciò che si perde e una maggior forza per conservare ciò che si ha.
Se dunque si toglie al patto sociale ciò che non è inerente alla sua essenza, si troverà che esso si riduce ai termini seguenti: “Ognuno di noi mette in comune la propria persona e tutto il proprio potere sotto la direzione suprema della volontà generale; e a nostra volta riceviamo nel corpo collettivo ogni membro come parte indivisibile del tutto”.
Questo atto di associazione dà vita istantaneamente, in luogo della persona particolare di ogni contraente, a un corpo morale e collettivo composto di tanti membri quanti sono i voti dell’assemblea; da questo stesso atto tale corpo riceve la propria unità, il proprio io comune, la propria vita e la propria volontà. Questa persona pubblica, che si forma cosí mediante l’unione di tutte le altre, prendeva un tempo il nome di Città, oggi prende quelli di Repubblica o di corpo politico; viene chiamata dai suoi membri Stato quando è passiva, Sovrano quando è attiva, Potenza quando è posta in relazione con quelle a lei simili. Per quanto riguarda gli associati, essi prendono collettivamente il nome di popolo, e si chiamano in particolare cittadini, in quanto partecipano all’attività sovrana, e sudditi, in quanto soggetti alle leggi dello Stato. 

Documento 5: il potere esecutivo
(Il contratto sociale)

Abbiamo visto come il potere legislativo appartenga al popolo e non possa appartenere che ad esso. Per contro è facile vedere – in base ai princípi sopra stabiliti – che il potere esecutivo non può appartenere al complesso dei cittadini che formano l’organo legislativo o sovrano; infatti tale potere consiste soltanto in atti particolari che non sono di competenza della legge, né pertanto del sovrano, i cui atti non possono essere che leggi.
Alla forza pubblica occorre quindi un agente proprio, che la unisca e la metta in opera secondo le direttive della volontà generale, che serva alla comunicazione fra lo Stato e il sovrano e che svolga in qualche modo nella persona pubblica il compito svolto nell’uomo dall’unione dell’anima e del corpo. È questa nello Stato la ragione d’essere del governo, erroneamente confuso con il sovrano, di cui non è che il ministro.
Che cos’è dunque il governo? Esso è un corpo intermedio stabilito fra i sudditi e il sovrano per la loro mutua comunicazione, incaricato dell’esecuzione delle leggi e del mantenimento della libertà, sia civile che politica.

Documento 6: Democrazia diretta
(Contratto sociale)

La sovranità non può essere rappresentata per la medesima ragione per cui non può essere alienata; essa consiste essenzialmente nella volontà generale, e la volontà non si rappresenta: o è essa stessa o è diversa, non c’é una via di mezzo. I deputati del popolo non sono dunque, né possono essere, i suoi rappresentanti, ma soltanto i suoi commissari: non possono concludere nulla in maniera definitiva. Ogni legge che il popolo in persona non abbia ratificata è nulla, non è una legge. Il popolo inglese ritiene di esser libero: si sbaglia di molto; lo è soltanto durante l’elezione dei membri del parlamento. Appena questi sono eletti, esso è schiavo, non è nulla. Nei brevi momenti della sua libertà, l’uso che ne fa giustifica davvero che esso la perda.

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