1. La vita
Soren Kierkegaard nasce a Copenhagen nel 1813 in una agiata famiglia borghese. Educato ad una rigida etica protestante nel 1830 si iscrive alla facoltà di teologia, dove apprende i dettami della filosofia hegeliana.
Nel 1840 si fidanza con una giovane ragazza, Regina Olsen e subito dopo porta a termine gli studi universitari. Nel giro di pochi mesi rompe però il fidanzamento e si reca a Berlino fra il 1841 e il 1842 per continuare gli studi filosofici e poi vivere grazie alla rendita della eredità paterna, dedicandosi ad un’attività letteraria.
Negli anni che seguono pubblica una serie di opere sotto vari pseudonimi, fra cui le più rilevanti: Aut-aut, Timore e tremore, Briciole di filosofia, Il concetto dell’angoscia, La malattia per la morte.
In questi anni l’Europa è attraversata da grandi fermenti rivoluzionari, come i moti del 1848, ma in una serie di scritti polemici Kierkegaard interviene per esprimere la sua posizione contraria a questi fermenti. Allo stesso tempo molti attacchi sono rivolti alla chiesa luterana danese, che secondo Kierkegaard presenta un modello di fede fondato sull’apparenza esteriore e non sul vissuto interiore.
Muore infine molto giovane, nel 1855 a 42 anni.
La sua vita appare nel complesso dunque povera di episodi particolarmente eclatanti, ma dal suo Diario emergono un lavoro di introspezione e una analisi di una vita sofferta, legata ad un senso molto intenso di concetti come il peccato, il senso del dovere e la necessità di isolamento dal mondo.

2. I tre stadi dell’esistenza
Il tema di fondo della filosofia di Kierkegaard è quello del concetto di possibilità. L’uomo, in quanto tale, nella sua esistenza si trova di fronte a possibilità e dunque scelte da compiere.
A partire da questa premessa, Kierkegaard distingue 3 stadi esistenziali, ovvero modi diversi di vivere la vita, tre modi fra di loro diversi e soprattutto non conciliabili.
1) La vita estetica è il vivere pensando che la vita sia un succedersi di attimi irrepetibili che vanno colti e vissuti nella massima intensità. Lo stadio estetico è dunque la ricerca del piacere costante. Figura simbolica di questa esistenza è quella di Don Giovanni, ovvero l’ideale del seduttore. Don Giovanni realizza una vita incentrata sull’appagamento del desiderio, ma la sua esistenza finisce per essere caratterizzata dalla noia, in quanto conquistata una donna subentra subito l’insoddisfazione e la ricerca di un nuovo piacere, in una routine costante. La noia si traduce così in disperazione, che è l’esito ultimo della vita estetica, ovvero di una vita che si realizza in una dimensione non morale, centrata sul disimpegno e che rende l’esistenza priva di senso.
2) Contrapposta alla vita estetica vi è la vita etica. Con essa emerge una situazione esistenziale fondata sulla stabilità e sulla continuità.
Figura simbolica di questo stadio dell’esistenza è il marito, colui che si sottomette al dovere e compie ogni giorno una scelta di fedeltà innanzitutto a sé stesso, mantenendosi stabile nell’impegno matrimoniale e nel lavoro per provvedere alla famiglia. La vita etica è dunque una vita centrata sull’assunzione di responsabilità. Questa vita non conduce però alla felicità e alla serenità: l’uomo vive in ogni caso nella dimensione del peccato che rende impossibile l’equilibrio fra la serenità della famiglia e una vita pienamente virtuosa. Per questo la cifra esistenziale della vita etica è lo stato del pentimento–
3) La dimensione del pentimento crea però la possibilità di passare dalla vita etica alla vita religiosa, che rappresenta il terzo stadio dell’esistenza. Qui Kierkegaard presenta la scelta religiosa utilizzando la figura simbolica di Abramo. Abramo è colui che per fede in Dio prende la decisione di uccidere il figlio, dunque si pone al di là della morale umana, del buon senso comune, per una totale adesione a Dio. Attraverso Abramo, Kierkegaard ci presenta dunque la vera vita religiosa non come un aspetto esteriore e formale, ovvero come la maggioranza delle persone vive la religione, secondo il filosofo. Per Kierkegaard la vita religiosa è infatti scandalosa, pone il singolo fuori dalla comunità, lo getta nella solitudine, perché la sua scelta deve compiersi in isolamento, fuori dalle regole comuni. Questa solitudine deriva dalla radicalità stessa della fede, che ti pone di fronte a un bivio, quello di credere o non credere, senza darti un appiglio razionale per la tua scelta. Allo stesso tempo però la vita religiosa è quella che secondo Kierkegaard può risolvere il problema umano della scelta: rifugiarsi in Dio vuol dire rifugiarsi nell’Assoluto.
3. I concetti chiave
A partire da questi temi possiamo estendere il discorso e individuare i concetti chiave del pensiero di Kierkegaard.
1) La riflessione sull’individuo come singolo, nell’unicità della sua esistenza, nel suo trovarsi da solo di fronte ai suoi problemi esistenziali. Problemi che secondo Kierkegaard riguardano soprattutto la dimensione del peccato in cui l’uomo inesorabilmente vive, una dimensione con cui ogni individuo deve confrontarsi in maniera solitaria. Per questo al tema del singolo vi è contrapposto quello della moltitudine, della folla: la massa annulla il singolo e la sua unicità e quindi rende impossibile all’individuo confrontarsi con le sue tematiche esistenziali. Lo sfondo storico in cui si svolge la riflessione di Kierkegaard è d’altronde quello dell’avanzata della società industriale, della nascita della società di massa e di temi ad essa correlati, come quello dell’opinione pubblica: un contesto storico che Kierkegaard stigmatizza e critica duramente.
2) La riflessione sull’angoscia come elemento che caratterizza la situazione esistenziale dell’uomo. L’angoscia deriva dal problema delle possibilità, in particolare dal fatto che di fronte all’uomo vi è la possibilità del peccato. Simbolica per Kierkegaard in tal senso è la figura di Adamo, che vive in una possibile situazione di innocenza, ma la sua libertà lo spinge al peccato.
3) Mentre l’angoscia riguarda la sfera dell’individuo in relazione al mondo, vi è la sfera che riguarda l’individuo in rapporto a sé stesso, e che secondo Kierkegaard è dominata dal sentimento della disperazione. L’individuo infatti è di fronte ad un bivio inesorabile: se non riesce ad accettare la condizione di finitezza della sua esistenza si pone sempre alla ricerca d’altro, il che però è un’evasione dal reale, una fuga da sé stessi; se invece accetta la condizione di finitezza, si chiude in sé stesso, rinuncia alle possibilità che l’esistenza gli offre e diventa soltanto un essere che si adegua a copiare la vita della massa. La disperazione è dunque il sentimento che deriva da questa situazione paradossale, e che secondo Kierkegaard costituisce una malattia mortale per l’uomo, nel senso di una vita che è una sorta di morire eternamente a causa del dolore che essa provoca.
4) La fede costituisce la chance di uscita dalla malattia mortale. Riprendendo le riflessioni di Pascal, Kierkegaard sostiene che occorre scommettere sull’esistenza di Dio per arrivare ad una dimensione autentica, in cui l’individuo va al di là della sua finitezza per gettarsi nell’infinito.
4. L’antihegelismo di Kierkegaard
Il pensiero di Kierkegaard si presenta come opposto a quello hegeliano, che nel primo Ottocento rappresenta la corrente filosofica dominante.
L’antihegelismo di Kierkegaard si manifesta nella critica ai pilastri stessi del sistema del filosofo tedesco. In particolare:
1) Kierkegaard critica l’accento che Hegel pone sulle collettività, incentrando invece la sua riflessione sulla centralità del singolo
2) La visione logica della storia di Hegel, secondo cui il razionale è reale, viene smontata alla base da Kierkegaard. La razionalità della storia è infatti centrata sulla necessità degli eventi, esclude l’orizzonte delle possibilità che è invece un elemento portante del pensiero di Kierkegaard
3) Altro elemento oggetto della critica di Kierkegaard è il movimento dialettico della storia teorizzato da Hegel, che conduce a conciliare gli opposti nella sintesi. Questa posizione è rifiutata da Kierkegaard, il quale sostiene piuttosto che l’angoscia e la disperazione dell’uomo nascono proprio dall’inconciliabilità delle diverse possibilità che gli si aprono davanti, dall’impossibilità di ricucire questa scissione.