Dal 1914 al 1918 l’Europa sprofonda nella prima guerra mondiale. Al termine del conflitto, i vecchi imperi collassano e la cartina geo-politica dell’Europa viene completamente ridisegnata. Nascono nuovi stati indipendenti, fondati sul principio di nazionalità. Questi stati si dotano di carte costituzionali che assicurano la nascita di istituzioni democratiche.
L’unica realtà che sembra uscire da questa direzione è quella russa: l’impero zarista si dissolve infatti nel pieno della Grande Guerra e al suo interno si sviluppa un processo rivoluzionario che porta alla nascita di un regime comunista, che dal 1922 prende il nome di Unione Sovietica.
L’Urss si caratterizza come un regime con tratti autoritari, in cui il potere è gestito da un ristretto gruppo dirigente.
Come detto, questa sembra l’unica eccezione in un’Europa post-bellica sostanzialmente democratica.
Ma il quadro cambia rapidamente perché le democrazie non si dimostrano in grado di ottenere il consenso delle masse. Così, fra gli anni compresi fra le due guerre mondiali si diffondono a macchia d’olio regimi autoritari di destra
Ad aprire questa strada è il regime di Horty che si insedia in Ungheria nel 1919. Analoghe esperienze si ripetono in Italia dal 1922 con Mussolini, in Polonia con Pilsudsky dal 1926, in Yugoslavia dal 1929 con un colpo di stato dello stesso re Alessandro I, in Portogallo dal 1932 con Salazar, in Germania dal 1933 con Hitler e in Austria con Dolfuss. Si affermano poi regimi autoritari in Bulgaria dal 1934, in Grecia dal 1936, in Romania dal 1938 e infine Spagna dal 1939 con la vittoria definitiva di Francisco Franco nella guerra civile.
Se questi regimi si connotano per una natura autoritaria e dittatoriale, alcuni di essi presentano tratti peculiari. In questi casi si parla non solo di dittatura, ma di totalitarismo. In particolare questo termine può essere applicato al fascismo italiano, allo stalinismo sovietico, al nazismo tedesco.
In questi regimi certamente ritroviamo appieno i caratteri tipici delle dittature:
1) La messa fuori legge dei partiti d’opposizione
2) L’abolizione della libertà di stampa
3) L’abolizione delle libertà sindacali
4) L’uso della polizia politica
4) La creazione di un sistema coercitivo contro i dissidenti politici, con sistemi di detenzione che vanno dal confino politico ai campi di concentramento
Ma oltre a questi strumenti, i regimi totalitari hanno caratteri innovativi che li connotano diversamente. Se infatti l’obiettivo principale di un regime dittatoriale è quello di reprimere il dissenso politico, un regime totalitario è tale laddove si pone come obiettivo quello di plasmare un uomo nuovo, di indirizzare i comportamenti collettivi rimodellando a fondo la società nella sua totalità. Scopo ultimo di questa trasformazione è giungere a una società che nel complesso agisca come un organismo unitario.
In tal senso il regime totalitario è un’espressione radicale della neonata società di massa, in quanto questi regimi comprendono la necessità di ottenere il consenso delle masse e plasmare i loro comportamenti.
Quali sono gli elementi centrali che ritroviamo in un regime totalitario?
1) La presenza di un capo carismatico intorno a cui viene costruito un culto della personalità: le gesta del leader vengono esaltate come infallibili e la sua figura è considerata quasi sacra, in quanto la sua missione è quella di condurre la società verso il nuovo orizzonte. Attraverso poi una serie di strumenti e rituali il capo si pone in contatto diretto con le masse: le adunate pubbliche, i discorsi trasmessi attraverso i mezzi di comunicazione e via dicendo, hanno come scopo quello di creare un rapporto diretto, immediato fra il capo e il popolo. La presenza del leader è così costante e tangibile.
2) La presenza di una ideologia politica ben connotata e intrisa di elementi radicali e in parte utopici, che delineano la costruzione di una società nuova fondata su valori completamente rinnovati
3) Il partito politico è lo strumento attraverso cui la gestione della vita quotidiana delle masse è plasmata e organizzata. I funzionari di partito si sovrappongono e spesso si sostituiscono a quelli statali e attraverso il partito vengono erogate le principali funzioni pubbliche
4) Stretto controllo della propaganda. Lo scopo di un regime totalitario non è infatti solo quello di reprimere il dissenso, ma ottenere un diffuso consenso. Fondamentale diventa dunque il controllo dei mezzi di comunicazione, in particolare quelli nuovi (dalla radio al cinema) che permettono di colpire con maggiore forza l’immaginario collettivo. Questi mezzi non sono solo controllati attraverso la censura, ma vengono impiegati attivamente per esaltare le conquiste e i miglioramenti introdotti dal regime.
5) Controllo della formazione scolastica. In questo caso lo scopo non è solo costruire consenso verso il regime, ma creare nuove generazioni educate all’ideologia totalitaria, generazioni dunque che abbiano modo di acquisire in profondità i valori della nuova società.
6) Controllo delle arti: il tema di base rimane sempre quello di veicolare, attraverso ogni espressione possibile, il messaggio consegnato dall’ideologia ufficiale. Fra le varie arti, quella forse più strumentalizzata dai regimi totalitari è quella architettonica, perché attraverso le nuove opere e le nuove costruzioni è possibile restituire un’immagine diretta e tangibile del programma ideologico del regime
7) Creazione di rituali collettivi, dalle grandi adunate per sentire i discorsi dei leader alle cerimonie pubbliche, in cui vengono inscenate parate militari, rappresentazioni ginniche, commemorazioni simboliche e via dicendo. Lo scopo di questi momenti è mobilitare attivamente le masse e farle partecipare ai momenti simbolici della vita collettiva.
8) Creazione di organizzazioni di massa che inquadrano la popolazione in base all’età, al sesso, al lavoro ecc… Lo scopo di queste organizzazioni è quello di intervenire anche nel tempo libero delle masse e così continuare a plasmare i comportamenti collettivi attraverso forme di intrattenimento che riguardano la sfera della socialità.
Analizzato cosa si intende, in maniera generale, per totalitarismo, possiamo porci adesso un’altra questione: come nasce questo termine e che dibattito storiografico si è acceso intorno ad esso?
Il termine nasce in Italia, dove per primo si sviluppa un sistema totalitario. Questo concetto è utilizzato da Mussolini con un’accezione positiva, dai suoi avversari politici in senso invece negativo.
Il concetto diventa di uso comune nel secondo dopoguerra, quando la filosofa tedesca Hannah Arendt scrive il libro Le origini del totalitarismo e riflette su quali sono le caratteristiche specifiche di un sistema totalitario rispetto ad uno autoritario.
Non tutti gli storici sono d’accordo con le conclusioni della Arendt in ogni caso: diversi studiosi hanno infatti criticato l’uso di questo termine, sostenendo che non esiste un modello totalitario. Secondo loro con questa etichetta si ricorre infatti nell’errore di accumunare realtà politiche molto diverse fra di loro.
Un’altra questione, più specifica, riguarda l’Italia.
Hannah Arendt ad esempio non si sofferma molto a parlare del fascismo e descrive come totalitari il regime di Hitler e quello di Stalin.
E in Italia alcuni storici, come ad esempio Sabbatucci, hanno descritto il fascismo come un totalitarismo imperfetto, per segnalare come la volontà totalitaria di Mussolini non si è realmente realizzata, dal momento che il fascismo non è riuscito a cancellare una serie di poteri alternativi, come ad esempio la monarchia e la Chiesa.
Contro questa tesi altri storici, come Emilio Gentile, hanno invece sostenuto che ha poco senso concentrarsi sulla questione della perfezione o meno di un sistema totalitario, perché nessun regime può definirsi perfettamente totalitario. Secondo Gentile il fascismo assume una serie di caratteristiche che si adattano alla realtà italiana e non ad un modello astratto. In tal senso può essere definito la via italiana al totalitarismo.