L’Italia del primo dopoguerra vive una situazione paradossale: sul piano bellico il Paese esce dal conflitto mondiale come potenza vincitrice; sul piano sociale i problemi sono invece così numerosi che l’Italia attraversa una crisi simile a quella dei Paesi sconfitti.


Questa crisi è così profonda che i cambiamenti sociali producono una drastica evoluzione del quadro politico. Inizialmente l’Italia sembra avviarsi sulla strada della rivoluzione sociale sul modello sovietico, tanto che per riferirsi a questi anni si parla di “biennio rosso”. In seguito però si innesca una reazione alla crescita delle forze socialiste: questa reazione provoca una crisi del sistema istituzionale liberale e l’avvento, nel 1922, del fascismo, con la presa del potere da parte di Benito Mussolini.

La marcia su Roma


Ma andiamo con ordine, seguendo questi passaggi attraverso otto parole chiave.

1) Vittoria mutilata


Con i trattati di pace della prima guerra mondiale l’Italia ottiene una parte dei territori garantiti dal patto di Londra del 1915, come il Trentino Alto-Adige e il Venezia-Giulia, ma non si vede riconosciuta altre promesse, come ad esempio il possesso della Dalmazia o l’acquisizione di nuove colonie.
Molti ex combattenti vivono questi accordi come un tradimento nei confronti dello sforzo compiuto negli anni della guerra e, da più parti, si comincia a richiedere l’occupazione di Fiume, una città istriana al confine fra l’Italia e il nuovo stato che prenderà il nome di Jugoslavia.
A causa della presenza di un’ampia comunità italiana, il governo comincia ad attuare una serie di pressioni diplomatiche per il riconoscimento della città sulla base del principio di nazionalità, trovando però l’opposizione degli alleati.
L’evoluzione della questione fiumana a quel punto è rapida e drammatica.
Fallita l’attività diplomatica per ottenere il riconoscimento della città, il governo italiano è sottoposto a feroci critiche. Fra queste, quella che spicca per rilevanza è l’accusa mossa da Gabriele d’Annunzio, che conia una definizione che avrà enorme fortuna, “vittoria mutilata”, per denunciare la mancata annessione.
Il 19 giugno il presidente del Consiglio, Vittorio Emanuele Orlando, sottoposto all’umiliazione diplomatica, si dimette.
Il 12 settembre 1919 Gabriele d’Annunzio stesso guida un contingente di ex combattenti all’occupazione della città: è l’inizio di quella che verrà ricordata come “impresa fiumana”. All’occupazione partecipano ex combattenti, in particolare provenienti o dalle fila del nazionalismo di destra o da frange del sindacalismo rivoluzionario.
Nel corso di questa occupazione verranno sperimentate nuove formule politiche, come ad esempio l’organizzazione di grandi adunate e di riti collettivi, che poi saranno ripresi da esempio da parte del regime fascista.
L’occupazione di Fiume rimane in piedi per più di anno. Il problema non viene infatti affrontato da Francesco Saverio Nitti, subentrato come presidente del Consiglio a Orlando, ma soltanto da Giolitti, tornato a capo del governo nel 1920. Per risolvere la questione, che stava creando problemi nelle relazioni diplomatiche italiane, il 12 novembre 1920 Giolitti firma con lo stato slavo il Trattato di Rapallo, che riconosce l’indipendenza della città di Fiume. Un mese dopo l’esercito italiano viene inviato a sgombrare l’occupazione della città.

2) Elezioni 1919

Due mesi dopo l’inizio dell’avventura fiumana, nel novembre 1919, si svolgono le prime elezioni del dopoguerra, che rappresentano un vero e proprio terremoto politico, a testimonianza della forte evoluzione del quadro sociale. Le novità politiche principali che emergono dalle elezioni sono tre:
1) I liberali, che avevano rappresentato a partire dall’unità d’Italia, la forza di netta maggioranza, mantengono a stento una maggioranza relativa. Le quattro liste in cui sono divisi i gruppi liberali ottengono nel complesso il 35% dei voti, corrispondenti a 197 seggi
2) I socialisti vedono un’enorme crescita del proprio consenso, ottenendo il 32% dei voti, corrispondenti a 156 deputati
3) Una nuova forza, il Partito Popolare, si impone sin da subito come grande novità del panorama politico, ottenendo il 20% dei voti, ovvero 100 deputati. Il Partito Popolare era stato fondato pochi mesi prima da don Luigi Sturzo. La novità è rappresentata dal fatto che il partito, pur non facendo diretto riferimento alla Chiesa, rappresenta il primo partito di chiara ispirazione cattolica nella storia italiana. Alla base del programma del Partito Popolare vi è infatti la dottrina sociale della Chiesa, ovvero: rifiuto della lotta di classe, difesa della proprietà privata, ma anche attenzione alle condizioni dei ceti popolari in un’ottica di solidarietà sociale.

Dopo le elezioni viene confermato presidente del Consiglio Francesco Saverio Nitti. Proveniente dalle fila dei radicali, uno gruppo liberale di ispirazione riformista, Nitti si trova però a guidare un governo fondato su basi fragili, legato alla difficile alleanza fra le varie aree dei liberali e il Partito Popolare di Sturzo.

3) Biennio rosso

Fra il 1919 e il 1921 la tensione sociale nel Paese rende il clima incandescente. Nelle fabbriche del Nord si organizzano scioperi e occupazioni, fino ad arrivare alla formazione di consigli operai. Nelle aree agricole del Centro-Nord le forze sindacali danno vita ad una serie di lotte che portano a un netto miglioramento dei contratti agrari e a un controllo del mercato del lavoro da parte delle stesse leghe contadine. Nel Sud si organizzano marce e occupazioni delle terre nelle mani dei latifondisti, con i braccianti che chiedono una profonda riforma agraria.
Il clima che si genera appare ai più di natura prerivoluzionaria, tanto che comincia a diffondersi lo slogan “fare come in Russia”. Non bisogna infatti dimenticare il contesto internazionale in cui questi eventi si collocano:
1) Alla fine del ’17 in Russia si impone un governo bolscevico con la presa del potere da parte di Lenin.
2) Nel 1919 una rivoluzione socialista si realizza anche in Ungheria, guidata da Bela Kun, anche se in questo caso l’esperienza fallisce dopo pochi mesi.
3) Nello stesso anno si assiste a un tentativo di colpo di stato da parte dei comunisti tedeschi. In Austria il movimento operaio sembra anche in grado di prendere il controllo della situazione politica.
4) Nel 1920 poi, le truppe dell’Armata Rossa, già uscite vincitrici dalla guerra civile, sembrano in grado di esportare la rivoluzione con la forza militare quando in agosto arrivano alle porte di Varsavia.
Il governo italiano sembra impreparato a fronteggiare l’ondata di scioperi e manifestazioni. Nel giugno 1920 si assiste così a un cambio di guida, con Giovanni Giolitti – ormai ottantenne – richiamato a ricoprire la carica di presidente del Consiglio.
Fedele alla sua linea tradizionale, Giolitti non utilizza il pugno duro per sedare le proteste, timoroso che una simile politica non possa fare altro che alzare il livello della tensione sociale. Piuttosto, il nuovo presidente del Consiglio decide di incoraggiare la contrattazione sindacale, cercando di portare lo scontro su un piano più economico che politico.

4) Paura rossa


Le agitazioni operaie e contadine sono il frutto di un profondo malcontento nei ceti popolari italiani. Per molti si tratta di rivendicare un miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita; per molti altri ancora la speranza è quella di un drastico cambiamento rivoluzionario.
Ma, allo stesso tempo, un ampio strato della popolazione – in particolare di estrazione borghese – guarda con disagio all’evolversi della situazione: le agitazioni sociali vengono viste come un pericoloso fattore di disordine pubblico. La prospettiva poi di una possibile rivoluzione spaventa questi ceti e si comincia a diffondere quella che viene definita la “paura rossa”.
Ma questa paura era veramente giustificabile? A una più attenta lettura, no.
Cerchiamo di capire perché:
1) Manca una vera strategia rivoluzionaria condivisa da parte dei dirigenti socialisti. Sia il Partito Socialista che il sindacato della Cgl sono infatti divisi fra una corrente massimalista – che auspica la rivoluzione – e una corrente minimalista – che predilige invece la strada delle riforme
2) Le varie lotte in corso non sono in realtà coordinate fra di loro: in particolare si assiste a una mancanza di collegamento fra le agitazioni nel Nord e nel Sud del Paese
3) La componente socialista non è l’unica alle spalle delle lotte in corso. Consistente è anche il movimento di ispirazione cattolico, che si pone come alternativo a quello socialista e non indica una prospettiva rivoluzionario
4) Già a cavallo fra il 1920 e il 1921 comincia un rallentamento delle agitazioni. I miglioramenti ottenuti sul piano economico nella prima fase del biennio rosso cominciano a stemperare la tensione sociale e la prospettiva rivoluzionaria si allontana. Il rallentamento delle lotte finisce per produrre una scissione nel Partito Socialista: una parte del gruppo dirigente – fra cui spicca la figura di Antonio Gramsci – agli inizi del 1921 lascia il partito – accusato di non aver saputo indirizzare in maniera rivoluzionaria le agitazioni sociali – e fonda il Partito Comunista d’Italia. Il nuovo partito adotta il modello bolscevico e aderisce alla Terza Internazionale.

Se dunque gli elementi di analisi che abbiamo a disposizione fanno apparire la prospettiva rivoluzionaria nell’Italia post-bellica una prospettiva poco realista, diversa era la percezione dei ceti borghesi dell’epoca:
1) I ceti padronali, ovvero la classe industriale e la classe agraria, accusano il governo di non aver tutelato i propri interessi
2) La piccola borghesia vede nelle agitazioni sociali un fattore di instabilità economica e teme una deriva rivoluzionaria che possa portare all’abolizione della proprietà privata

Di conseguenza il consenso nel governo, che sembra incapace di porre un vero argine alla tensione sociale, comincia a calare in maniera drastica. Allo stesso tempo si cominciano a cercare nuovi protagonisti in grado di garantire un ritorno all’ordine sociale. Ad avvantaggiarsi di questo clima è una forza comparsa sullo scenario politico nell’immediato dopoguerra: i Fasci di combattimento.

5) Fascismo sansepolcrista

Il movimento fascista è fondato da Mussolini nel marzo 1919, a Milano a Piazza San Sepolcro. Per questo motivo quando ci si riferisce alla primissima fase della storia del fascismo si parla di fascismo sansepolcrista.
Il programma di San Sepolcro mischia e confonde parole d’ordine di diverse ispirazioni, mettendo insieme le rivendicazioni di vecchie frange del sindacalismo rivoluzionario con quelle degli ex combattenti e quelle ancora della piccola borghesia.
Se da un lato i i Fasci si presentano come una forza nazionalista, dall’altro il programma di San Sepolcro presenta infatti forti accenti progressisti come il voto alle donne, ampie misure sociali a vantaggio dei lavoratori, una tassazione che colpisca i grandi redditi e interventi anticlericali.
Questa confusione di ispirazioni e valori si traduce inizialmente in una incapacità del movimento di Mussolini di ottenere un certo consenso. Alle elezioni del 1919 nessun candidato fascista riesce infatti ad essere eletto alla Camera. Lo stesso Mussolini, che si presenta nel collegio di Milano, ottiene appena poco più di duemila preferenze.
Il movimento sembra così destinato a una rapida fine, ma le cose cambiano da lì a poco grazie a una netta svolta antisocialista.

6) Fascismo agrario

Nella seconda metà del 1920 la connotazione del fascismo cambia profondamente. Il movimento comincia a dotarsi di squadre paramilitari, le cosiddette squadre d’azione, che iniziano a imperversare in particolare nelle campagne della Pianura Padana, proponendosi come rivali delle leghe rosse, la cui rete ormai è capillare e in grado di controllare il mercato del lavoro e le tante amministrazioni comunali dell’area.

Si comincia così a parlare di fascismo agrario. Ovvero dell’avvio di una strategia di smantellamento della rete sindacale e politica, in particolare quella di ispirazione socialista, attraverso la violenza delle squadracce ai danni di camere del lavoro, sedi sindacali, semplici militanti.
Questa azione produce per il fascismo consenso e visibilità. La classe agraria, che fino a quel momento era stata messa all’angolo dalle organizzazioni sindacali, comincia a vedere nel fascismo un fattore per ripristinare l’ordine e inizia a finanziare le cosiddette camicie nere; molti ex combattenti, provenienti dalle fila della piccola borghesia, cominciano ad affluire nelle squadracce e a gonfiarne i numeri; le stesse forze istituzionali chiamate a gestire l’ordine pubblico decidono di guardare in silenzio il dilagare della violenza fascista, favorendone la crescita. I capi locali delle squadre fasciste – i cosiddetti Ras -, figure come Italo Balbo o Dino Grandi, cominciano ad acquisire un peso crescente all’interno del movimento fascista.
A partire dalla fine del 1920 la crescita del fascismo si fa così esponenziale. Il movimento acquista visibilità nazionale, ottenendo in particolare il consenso dei ceti borghesi, che vedono nel movimento di Mussolini un fattore d’ordine in grado di bloccare il dilagare delle lotte operaie e contadine.

7) Crisi dello Stato liberale

La crescita del fascismo spinge Giolitti all’idea di utilizzare il consenso nel movimento di Mussolini per rafforzare il suo governo. Nel 1921 vengono indette nuove elezioni e liberali e fascisti si presentano alleati. Questo permette ai fascisti di ottenere l’elezione di 35 deputati, ma i liberali non ottengono il successo sperato.
Giolitti si dimette e viene sostituito prima da Ivanoe Bonomi e poi da Luigi Facta, due figure provenienti dal mondo liberale che si dimostrano incapaci di arginare la crescente ondata di violenze da parte del fascismo, ormai sempre più padrone dell’ordine pubblico.
Nell’estate del 1921 il fascismo sembra per un attimo sul punto di rompersi all’interno dopo che Mussolini firma con i socialisti un “patto di non aggressione” che trova la violenta reazione dei Ras che non accettano l’accordo.
Ma la crisi viene superata rapidamente. Mussolini straccia il patto: i Ras tornano a riconoscere la sua autorità e accettano la trasformazione del fascismo da movimento a partito (Partito nazionale fascista), all’interno del quale la loro libertà di azione è più limitata. Nel corso del 1922 Mussolini, sempre più padrone dello scenario pubblico, comincia a manovrare in vista della presa del potere.
Se da un lato il fascismo aveva ottenuto consenso grazie all’impatto delle sue strutture paramilitari, allo stesso tempo preoccupa la possibilità della presa del potere da parte delle forze più radicali dello squadrismo, così come preoccupa la radicalità del programma di San Sepolcro. Per questi motivi, Mussolini attraverso la formazione del Partito può presentare un volto più accettabile alle forze moderate del Paese: lo squadrismo viene controllato con maggiore facilità; il nuovo programma politico abbandona totalmente i toni radicali e di natura sostanzialmente socialista degli esordi.
Mussolini è così pronto per presentarsi come l’unico garante dell’ordine pubblico e, allo stesso tempo, come difensore della proprietà privata e degli interessi dei ceti economici del Paese.

8) Marcia su Roma

Per forzare la presa del potere, Mussolini organizza nell’ottobre 1922 una mobilitazione che prenderà il nome di “marcia su Roma”.
Mentre le camicie nere si accampano alle porte della capitale, il presidente del Consiglio, Luigi Facta, si reca dal re per chiedere la proclamazione dello stato d’assedio per intervenire militarmente.
Il re, Vittorio Emanuele III, rifiuta però una simile soluzione. Dal 28 ottobre le camicie nere cominciano a entrare a Roma.
Il 30 ottobre Mussolini viene incaricato dal re di formare un governo, che viene varato il giorno stesso. Oltre ai fascisti, nel governo sono presenti liberali e popolari.
Il primo governo Mussolini si presenta dunque come un governo di coalizione e, sul piano formale, l’incarico viene ottenuto rispettando tutti i corretti procedimenti istituzionali.
In realtà le cose sarebbero andate in tutt’altra direzione: la formazione del primo governo Mussolini è infatti il primo passaggio dello sgretolamento delle istituzioni liberali e l’avvio della futura dittatura fascista.

Lascia un commento