La prima fase della politica economica fascista è di stampo tradizionalmente liberista.
Fra il 1922 e il 1925 ministro dell’economia è Alberto De’ Stefani il quale, in linea con i suoi predecessori persegue una politica di libero mercato e riduzione della spesa pubblica attraverso:
1) taglio dei posti nel pubblico impiego
2) privatizzazione di alcuni settori come il servizio telefonico o il sistema delle assicurazioni

Dal 1925, con l’accelerazione nella costruzione della dittatura, il regime fascista comincia a proporre una propria linea autonoma che prenderà il nome di corporativismo.
Il corporativismo è presentato come una terza via fra capitalismo e socialismo.
Due sono le idee di fondo di questa proposta:
1) che l’economia deve essere diretta dalle categorie produttive stesse, le corporazioni appunto
2) all’interno delle corporazioni vi deve essere una collaborazione fra imprenditori e lavoratori dipendenti
La teorizzazione del corporativismo trova una sua traduzione nella promulgazione di un documento, la Carta del lavoro, che viene approvato nel 1927 e che contiene i principi di questo sistema economico.
Nel tentativo di dare seguito a questi principi, già nel 1926 viene creato il ministero delle corporazioni. Nel 1934 vengono poi istituite le 22 corporazioni che avrebbero dovuto guidare le scelte economiche del regime. E infine nel 1939 la Camera dei Deputati viene sostituita dalla Camera dei fasci e delle corporazioni, formata da membri del Partito fascista e da rappresentanti delle corporazioni.
Nell’atto pratico questi passi non portano però a un effettivo sistema economico funzionante e le corporazioni non avranno alcun ruolo di rilievo nelle politiche economiche, trasformandosi più che altro in un appesantimento della macchina burocratica.
Il risultato più rilevante delle scelte corporativiste sta piuttosto nella messa a tacere dei sindacati.
Sostenendo, attraverso il corporativismo, la tesi della priorità degli interessi economici nazionali sulle rivendicazioni di classe, già nei suoi primi anni lo Stato fascista riesce infatti a cancellare l’autonomia dell’organizzazione sindacale:
-nel 1925 con il patto di Palazzo Vidoni la Confindustria riconosce come unico sindacato legittimo quello fascista (Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali)
-nel 1926 attraverso le leggi fascistissime viene invece introdotto il divieto di sciopero
Se dunque il corporativismo come progetto di creazione di un sistema economico fondato su nuove basi sostanzialmente naufraga, le scelte concrete del regime vanno verso altre direzioni condizionate dall’andamento generale dell’economia. Andiamo quindi a vedere i momenti più caratterizzanti.
- La svolta protezionistico-deflazionista = nel 1925 viene abbandonata la politica liberista di De’ Stefani che dopo aver prodotto nella fase iniziale un rilancio della produzione ha finito per creare una inflazione crescente, portando a una svalutazione della lira. In questa fase gli obiettivi principali perseguiti dal regime sono due:
1) raggiungere una piena autosufficienza nel settore cerealicolo. Per raggiungere questo obiettivo viene lanciata la cosiddetta battaglia del grano = campagna per stimolare la produzione interna di cereali. A tal fine vengono prese tutta una serie di misure volte da un lato a disincentivare l’acquisto dall’estero (come l’introduzione di dazi sul grano), dall’altro a incentivare la produzione dei contadini italiani
2) rivalutare la lira attraverso un contenimento dell’inflazione. A tal fine nel 1926 viene lanciata la cosiddetta battaglia di quota Novanta con cui cui viene fissato l’obiettivo di raggiungere il cambio di una sterlina per 90 lire (il punto di partenza del cambio era di 1 a 150). L’obiettivo viene raggiunto nel 1927 attraverso una serie di provvedimenti deflazionistici, ovvero di contenimento della circolazione monetaria (come misure protezionistiche, riduzione dei salari, ecc….). Il raggiungimento di quota 90 permette all’Italia di ottenere prestigio internazionale, ma nell’atto pratico ha l’effetto di far deprimere la crescita economica.
Su un quadro quindi già ristagnante agli inizi degli anni Trenta si cominciano ad avvertire gli effetti pesanti della crisi americana del ’29. Per far fronte a questi effetti si entra in una nuova fase economica - Lo Stato “imprenditore” = questa definizione è data dal fatto che a partire dal 1930, per fronteggiare la crisi, lo Stato italiano si fa carico di un intervento sempre più diretto in economia. Questo intervento porta principalmente a:
-varare un programma di lavori pubblici = al suo interno l’intervento più noto è quello volto a una estesa bonifica delle paludi italiane che a sua volta si lega alla battaglia del grano. Il risultato più importante in questo settore è la bonifica dell’Agro Pontino nel Lazio
-intervenire sul piano finanziario e industriale per sostenere le imprese in crisi = nel 1931 viene creato l’Istituto mobiliare italiano (Imi) che ha come scopo quello di prestare denaro alle imprese in difficoltà; nel 1933 viene invece creato l’Istituto per la ricostruzione industriale (Iri), istituto che acquista le partecipazioni industriali delle banche. Attraverso l’Iri lo Stato finisce quindi per diventare azionista di maggioranza delle principali aziende del Paese - L’autarchia = nel 1935 l’Italia si lancia nella conquista coloniale dell’Etiopia. In risposta a questa aggressione la Società delle Nazioni vara un piano di sanzioni nei confronti dell’Italia. Sebbene la portata delle sanzioni sia limitata e nel ’36 vengano già ritirate, il regime fascista coglie l’occasione per dare il via a un’ultima importante svolta economica. Obiettivo ultimo della svolta è giungere all’autarchia, ovvero all’autosufficienza produttiva. Questa scelta porta a:
-rafforzare le misure protezionistiche per limitare le importazioni dall’estero
-dare incentivi alle grandi industrie per aumentare la produzione interna
-introdurre dei “surrogati” ad alcune materie prime assenti in Italia, come il caffè o il the
Risultati dell’autarchia sono:
-rafforzamento di quei settori industriali deboli che ora non devo subire la concorrenza estera
-indebolimento dei settori industriali che hanno necessità di importare materie prime dall’estero
-aumento dell’occupazione ma abbassamento dei salari e riduzione della qualità di vita
In questo quadro scoppia la seconda guerra mondiale che porta a una politica economica legata a una crescente emergenza fino alla caduta del regime.