I presidenti della Repubblica italiana: una cronistoria

Tempo di elezioni del presidente della Repubblica, quindi andiamo a ripercorre brevemente la storia di tutti gli inquilini del Quirinale.

Il primo presidente è Enrico De Nicola, un esponente del vecchio liberalismo di area giolittiana. De Nicola in realtà più che il primo presidente è il presidente zero. Viene infatti eletto dall’Assemblea Costituente nel 1946 con il titolo di capo provvisorio dello Stato, in attesa della promulgazione della costituzione. Poi il primo gennaio 1948 la Costituzione entra in vigore e, per cinque mesi, De Nicola mantiene ricopre la carica di presidente in attesa delle elezioni del primo Parlamento cui spetta il compito di scegliere il presidente della Repubblica secondo la procedura costituzionale.

Siamo così al maggio del 1948 quando viene eletto dal Parlamento Luigi Einaudi. Per la sua elezione bisogna aspettare la quarta tornata, dopo che De Gasperi ha tentato inutilmente di far eleggere il ministro degli Esteri Carlo Sforza. Esponente di primo piano dei liberali, Einaudi ricopre incarichi chiave nel quadro economico del dopoguerra: governatore della Banca d’Italia e soprattutto Ministro delle Finanze nel primo governo De Gasperi dopo la cacciata delle sinistre. Piccola curiosità: primo presidente della Repubblica ad agire pienamente dentro al mandato costituzionale, nel 1946 Einaudi, nel referendum istituzionale, si era espresso a favore della monarchia.

Il suo mandato termina, come da prassi, sette anni dopo l’elezione, nel 1955. A succedergli è un esponente della Democrazia Cristiana stavolta, Giovanni Gronchi. Anche nel suo caso occorre attendere il quarto scrutinio per l’elezione, e anche stavolta l’elezione arriva dopo che il nome sostenuto dal leader della Democrazia, ovvero Cesare Merzagora sostenuto da Amintore Fanfani, non riesce a raccogliere la maggioranza. Grazie ai voti delle opposizioni di sinistra e destra, Gronchi viene eletto con circa il 70% dei voti.

Nel 1962 il Parlamento viene chiamato a scegliere il nuovo presidente. Le operazioni sono più complesse del passato. Gronchi infatti, sostenuto dalla sinistra democristiana, cerca di ottenere la rielezione ma trova l’opposizione del leader della Dc, Aldo Moro. Moro infatti sta lavorando per l’alleanza fra Dc e socialisti e vuole un nome in grado di rassicurare le forze più conservatrici del suo partito, e la sua scelta cade su Antonio Segni, già presidente del Consiglio fra il 1955 e il 1957. Alla fine Segni riesce a spuntarla al nono scrutinio grazie al voto di missini e monarchici, battendo il candidato delle sinistre, Giuseppe Saragat. Gli anni della sua presidenza sono turbolenti. Segni è infatti protagonista di un potenziale colpo di Stato preparato dal generale dei carabinieri Giovanni De Lorenzo, il “piano Solo”. Nel 1964 Segni è colpito da una trombosi e sostituito in via temporanea dal presidente del Senato Cesare Merzagora. Alla fine dell’anno il presidente della Repubblica si dimette: è la prima volta nella storia repubblicana che un mandato finisce prima della sua scadenza naturale.

Il suo successore è il socialdemocratico Giuseppe Saragat, eletto dopo una lunghissima battaglia al 21esimo scrutinio, alla fine di un cambio di strategie che impegna i partiti e le varie correnti in un continuo rimescolamento delle alleanze. Alla fine sul suo nome confluisce la gran parte dei voti parlamentari e Saragat viene eletto con 646 voti su 963. Gli anni di Saragat sono quelli che vedono l’Italia entrare nella spirale della strategia della tensione e del terrorismo.

Nel 1971 al termine del mandato di Saragat viene eletto il democristiano Giovanni Leone. La sua elezione è la più lunga della storia repubblicana, richiedendo ben 23 scrutini di cui un’ultima votazione sul filo di lana: Leone diventa Presidente con 518 voti su 1008. Lo scontro sulla sua nomina è l’esito di uno scontro che si consuma nella Dc fra chi vuole portare avanti la stagione del centro-sinistra che va avanti da dieci anni – puntando a far eleggere Aldo Moro – e chi sostiene una svolta a destra, trovando proprio in Leone il proprio candidato. Alla fine è questa linea che riesce a spuntarla, ma la fine politica del centro-sinistra non si concretizza. Anche per questo Leone finisce al centro di critiche e polemiche senza mai essere difeso dal suo stesso partito. Nel 1978 Leone è il protagonista di un libro di Camilla Cederna in cui viene accusato di una serie di trame e affari loschi. L’ondata di indignazione lo costringe alle dimissioni prima dell’inizio del semestre bianco. Ma negli anni successivi il suo nome viene riabilitato: la Cederna viene portata in giudizio e condannata per diffamazione.

Successore di Leone, nel 1978 stesso, è Sandro Pertini, primo e unico esponente del Partito Socialista a ricoprire questo ruolo. La sua elezione arriva al sedicesimo scrutinio con l’82% dei voti, la più alta della storia. Il suo mandato è ricordato come uno dei più popolari, grazie alla personalità di Pertini, lontana dai rituali formalismi tipici dei suoi predecessori. Molte sono le immagini che rimangono impresse di questo suo stile popolare, dalle partite a carte con i campioni dei mondiali del 1982 alle denunce nei ritardi dei soccorsi del terremoto per l’Irpinia.

Suo successore, dal 1985, è Francesco Cossiga. Esponente della Democrazia Cristiana, Cossiga è il primo presidente ad essere eletto al primo scrutinio, grazie al sostegno di una ampia maggioranza e, con i suoi 57 anni, è anche il più giovane presidente della storia. Cossiga ha però rappresentato una delle figure presidenziali più controverse: a partire dalla caduta del muro di Berlino, si rende protagonista di una serie di uscite e interventi irrituali contro la maggior parte dei protagonisti politici della prima Repubblica. Sono le famigerate “picconate” con cui Cossiga cerca di porre fine a un sistema politico che, dopo la fine della guerra fredda, è sul punto di collassare. Le polemiche sulla sua figura si fanno così intense, anche perché è lui stesso a far emergere il suo ruolo in diverse delle più oscure vicende italiane legate alla presenza di una rete di spionaggio in funzione anticomunista, nota come Gladio. Nel 1991 Cossiga viene così messo in stato d’accusa dalle forze di minoranza, ma le accuse mosse vengono respinte. In ogni caso il suo settennato non giunge a termine naturale: nel 1992, a due mesi dalla scadenza del mandato, Cossiga si dimette.

Nello stesso anno viene eletto un altro democristiano, Oscar Luigi Scalfaro. La sua elezione arriva al sedicesimo scrutinio, al termine di una lunga impasse, ed è segnata dalla strage di Capaci consumata pochi giorni prima. Gli anni della presidenza di Scalfaro sono fra i più turbolenti della storia repubblicana: sono infatti gli anni di Tangentopoli e del passaggio dalla prima alla seconda repubblica.

A succedergli nel 1999 è Carlo Azeglio Ciampi, una delle figure più stimate del mondo finanziario italiano, tanto che la sua nomina avviene al primo scrutinio con il 70% dei voti. Il suo settennato è ricordato come quello durante il quale avviene il passaggio dalla lira all’euro. Grazie anche al suo impegno per valorizzare la memoria repubblicana, come avviene ad esempio con il ripristino della festa della parata del 2 giugno, la figura di Ciampi rimane fra quelle più in grado di ricevere il consenso bipartisan dell’opinione pubblica.

Nel 2006 il nuovo inquilino del Quirinale è Giorgio Napolitano. Primo esponente proveniente dalle fila dell’ex Partito Comunista, Napolitano è stato anche il primo e unico presidente a essere rieletto. Nel 2006 la sua elezione arriva di stretta misura al quarto scrutinio come candidato del centrosinistra, mentre nel 2013 la sua elezione arriva con la convergenza del 70% dei parlamentari. Fra i momenti più significativi del suo mandato presidenziale vi è la regia per portare all’instaurazione del governo Monti nel pieno della crisi economica che travolge l’Italia nel 2011.
Nel 2015 Napolitano si dimette con largo anticipo rispetto alla scadenza naturale del secondo mandato, fatto già ampiamente anticipato nel momento della sua rielezione, passato il momento più critico della transizione economica.

A prendere il suo posto è Sergio Mattarella, eletto al quarto scrutinio con 665 voti, con il sostegno principale delle forze del centro-sinistra. Mattarella viene dalle fila della sinistra democristiana e il suo nome è legato a quello del fratello, Piersanti, ucciso dalla mafia nel 1980. Grazie al suo stile sobrio ma autorevole, Mattarella è uno dei presidenti ad aver goduto del maggior sostegno da parte della pubblica opinione anche grazie alla capacità di rappresentare un punto di riferimento durante la crisi pandemica.

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