Documento 1: apollineo e dionisiaco
Avremo acquistato molto per la scienza estetica, quando saremo giunti non soltanto alla comprensione logica, ma anche alla sicurezza immediata dell’intuizione che lo sviluppo dell’arte è legato alla duplicità dell’apollineo e del dionisiaco, similmente a come la generazione dipende dalla dualità dei sessi, attraverso una continua lotta e una riconciliazione che interviene solo periodicamente. Questi nomi noi li prendiamo a prestito dai Greci, che rendono percepibili a chi capisce le profonde dottrine occulte della loro visione dell’arte non certo mediante concetti, bensí mediante le forme incisivamente chiare del loro mondo di dèi. Alle loro due divinità artistiche, Apollo e Dioniso, si riallaccia la nostra conoscenza del fatto che nel mondo greco sussiste un enorme contrasto, per origine e per fini, fra l’arte dello scultore, l’apollinea, e l’arte non figurativa della musica, quella di Dioniso: i due impulsi cosí diversi procedono l’uno accanto all’altro, per lo piú in aperto dissidio fra loro e con un’eccitazione reciproca a frutti sempre nuovi e piú robusti, per perpetuare in essi la lotta di quell’antitesi, che il comune termine “arte” solo apparentemente supera; finché da ultimo, per un miracoloso atto metafisico della “volontà” ellenica, appaiono accoppiati l’uno all’altro e in questo accoppiamento producono finalmente l’opera d’arte altrettanto dionisiaca che apollinea della tragedia attica.
(La nascita della tragedia)
Documento 2: Dio è morto (il folle al mercato)
Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: “Cerco Dio! Cerco Dio!”. E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. “È forse perduto?” disse uno. “Si è perduto come un bambino?” fece un altro. “0ppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?” – gridavano e ridevano in una gran confusione. Il folle uomo balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: “Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci dètte la spugna per strusciar via l’intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci moviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto piú freddo? Non seguita a venire notte, sempre piú notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di piú sacro e di piú possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatòri, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai un’azione piú grande: tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtú di questa azione, ad una storia piú alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!”. A questo punto il folle uomo tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch’essi tacevano e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sua lanterna che andò in frantumi e si spense. “Vengo troppo presto – proseguí – non è ancora il mio tempo. Questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino: non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano vedute e ascoltate. Quest’azione è ancora sempre piú lontana da loro delle piú lontane costellazioni: eppure son loro che l’hanno compiuta!”. Si racconta ancora che l’uomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e quivi abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo. Cacciatone fuori e interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente in questo modo: “Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio?”.
(La gaia scienza)
Documento 3: sulla morte di Dio
In realtà, noi filosofi e ‘spiriti liberi’, alla notizia che il ‘vecchio Dio è morto’, ci sentiamo come illuminati dai raggi di una nuova aurora; […] finalmente possiamo di nuovo sciogliere le vele alle nostre navi, muovere incontro a ogni pericolo; ogni rischio dell’uomo della conoscenza è di nuovo permesso; il mare, il nostro mare, ci sta ancora aperto dinanzi, forse non è ancora mai stato un mare così «aperto».
(La gaia scienza)
Documento 4: la prospettiva dell’eterno ritorno
“Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: «Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione – e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello di polvere!». Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: «Tu sei un dio e mai intesi cosa più divina»? Se quel pensiero ti prendesse in suo potere, a te, quale sei ora, farebbe subire una metamorfosi, e forse ti stritolerebbe; la domanda per qualsiasi cosa: «Vuoi tu questo ancora una volta e ancora innumerevoli volte?» graverebbe sul tuo agire come il peso più grande! Oppure, quanto dovresti amare te stesso e la vita, per non desiderare più alcun’altra cosa che questa ultima eterna sanzione, questo suggello?”
(La gaia scienza)
Documento 5: il superuomo
Io vi insegnerò cos’è il Superuomo. L’uomo è qualcosa che deve essere superato. Che cosa avete fatto per superarlo?
(Così parlò Zarathustra)
Tutti gli esseri fino ad oggi hanno creato qualcosa che andava al di là di loro stessi: e voi invece volete essere la bassa marea di questa grande ondata e tornare ad esser bestie piuttosto che superare l’uomo?
Che cos’è la scimmia per l’uomo? Qualcosa che fa ridere, oppure suscita un doloroso senso di vergogna. La stessa cosa sarà quindi l’uomo per il Superuomo: un motivo di riso o di dolorosa vergogna.
Avete percorso il cammino dal verme all’uomo, ma in voi c’è ancora molto del verme. Una volta eravate scimmie, e anche adesso l’uomo è piú scimmia di qualsiasi scimmia al mondo. Ma anche il piú saggio di voi non è che un essere ibrido, qualcosa di mezzo fra la pianta e lo spettro. È questo forse ch’io vi comando di essere? Fantasmi o piante?
Guardate, io invece vi insegno a diventare Superuomini!
Il Superuomo, ecco il vero senso della terra. La vostra volontà quindi dica: il Superuomo diventi il senso della terra.
Vi scongiuro, o fratelli, siate fedeli alla terra, e non credete a coloro che vi parlano dl speranze ultraterrene! Essi sono dei manipolatori di veleni, sia che lo sappiano, o no.
Sono degli spregiatori della vita, dei moribondi, degli intossicati dei quali la terra è stanca: se ne vadano in pace!
Una volta il peccato contro Dio era il peggior sacrilegio; ma Dio è morto, e perciò sono morti anche questi esseri sacrileghi. Peccare contro la terra, ecco la cosa piú terribile che si può fare oggi
Documento 6: il superuomo
L’uomo è una corda annodata fra l’animale e il Superuomo, una corda tesa sopra un abisso.
(Così parlò Zarathustra)
Un pericoloso andar dall’altra parte, un pericoloso metà-cammino, un pericoloso guardarsi indietro, un pericoloso rabbrividire e star fermi.
Ciò che v’è di grande nell’uomo, è che egli è un ponte e non uno scopo: ciò che si può amare nell’uomo, è che egli è un passaggio e una caduta.
Documento 7: le tre metamorfosi
Tre metamorfosi io vi nomino dello spirito: come lo spirito diventa cammello, e il cammello leone, e infine il leone fanciullo.
(Così parlò Zarathustra)
Molte cose pesanti vi sono per lo spirito, lo spirito forte e paziente nel quale abita la venerazione: la sua forza anela verso le cose pesanti, piú difficili a portare.
Che cosa è gravoso? domanda lo spirito paziente e piega le ginocchia, come il cammello, e vuol essere ben caricato.
Qual è la cosa piú gravosa da portare, eroi? cosí chiede lo spirito paziente, affinché io la prenda su di me e possa rallegrarmi della mia robustezza.
Non è forse questo: umiliarsi per far male alla propria alterigia? Far rilucere la propria follia per deridere la propria saggezza?
Oppure è: separarsi dalla propria causa quando essa celebra la sua vittoria? Salire sulle cime dei monti per tentare il tentatore?
Oppure è: nutrirsi delle ghiande e dell’erba della conoscenza e a causa della verità soffrire la fame dell’anima?
Oppure è: essere ammalato e mandare a casa coloro che vogliono consolarti, e invece fare amicizia coi sordi, che mai odono ciò che tu vuoi?
Oppure è: scendere nell’acqua sporca, purché sia l’acqua della verità, senza respingere rane fredde o caldi rospi?
Oppure è: amare quelli che ci disprezzano e porgere la mano allo spettro quando ci vuol fare paura?
Tutte queste cose, le piú gravose da portare, lo spirito paziente prende su di sé: come il cammello che corre in fretta nel deserto sotto il suo carico, cosí corre anche lui nel suo deserto.
Ma là dove il deserto è piú solitario avviene la seconda metamorfosi: qui lo spirito diventa leone, egli vuol come preda la sua libertà ed essere signore nel proprio deserto.
Qui cerca il suo ultimo signore: il nemico di lui e del suo ultimo dio vuol egli diventare, con il grande drago vuol egli combattere per la vittoria.
Chi è il grande drago, che lo spirito non vuol piú chiamare signore e dio? “Tu devi” si chiama il grande drago. Ma lo spirito del leone dice “io voglio”.
“Tu devi” gli sbarra il cammino, un rettile dalle squame scintillanti come l’oro, e su ogni squama splende a lettere d’oro “tu devi!”.
Valori millenari rilucono su queste squame e cosí parla il piú possente dei draghi: “tutti i valori delle cose – risplendono su di me”.
“Tutti i valori sono già stati creati, e io sono – ogni valore creato. In verità non ha da essere piú alcun “io voglio!””. Cosí parla il drago.
Fratelli, perché il leone è necessario allo spirito? Perché non basta la bestia da soma, che a tutto rinuncia ed è piena di venerazione?
Creare valori nuovi – di ciò il leone non è ancora capace: ma crearsi la libertà per una nuova creazione – di questo è capace la potenza del leone.
Crearsi la libertà e un no sacro anche verso il dovere: per questo, fratelli, è necessario il leone.
Prendersi il diritto per valori nuovi – questo è il piú terribile atto di prendere, per uno spirito paziente e venerante. In verità è un depredare per lui e il compito di una bestia da preda.
Un tempo egli amava come la cosa piú sacra il “tu devi”: ora è costretto a trovare illusione e arbitrio anche nelle cose piú sacre, per predar via libertà dal suo amore: per questa rapina occorre il leone.
Ma ditemi, fratelli, che cosa sa fare il fanciullo, che neppure il leone era in grado di fare? Perché il leone rapace deve anche diventare un fanciullo?
Innocenza è il fanciullo e oblio, un nuovo inizio, un giuoco, una ruota ruotante da sola, un primo moto, un sacro dire di sí.
Sí, per il giuoco della creazione, fratelli, occorre un sacro dire di sí: ora lo spirito vuole la sua volontà, il perduto per il mondo conquista per sé il suo mondo.
Documento 8: l’eterno ritorno
Alt, nano! dissi. O io! O tu! Ma di noi due il più forte sono io -: tu non conosci il mio pensiero abissale!
Questo – tu non potresti sopportarlo!”. –
Qui avvenne qualcosa che mi rese più leggero: il nano infatti mi saltò giù dalle spalle, incuriosito! Si accoccolò davanti a me, su di un sasso. Ma, proprio dove ci eravamo fermati, era una porta carraia .
“Guarda questa porta carraia! Nano! continuai: essa ha due volti. Due sentieri convengono qui: nessuno li ha mai percorsi fino alla fine. Questa lunga via fino alla porta e all’indietro: dura un’eternità. E quella lunga via fuori della porta e in avanti – è un’altra eternità.
un’eternità. E quella lunga via fuori della porta e in avanti -è un’altra eternità.
Si contraddicono a vicenda, questi sentieri; sbattono la testa l’un contro l’altro: e qui, a questa porta carraia, essi convengono. In alto sta scritto il nome della porta: “attimo”.
Ma, chi ne percorresse uno dei due – sempre più avanti e sempre più lontano: credi tu, nano, che questi sentieri si contraddicano in eterno?”. -“Tutte le cose diritte mentono, borbottò sprezzante il nano. Ogni verità è ricurva, il tempo stesso è un circolo”.
“Tu, spirito di gravità! dissi io incollerito, non prendere la cosa troppo alla leggera ! 0 ti lascio accovacciato dove ti trovi, sciancato – e sono io che ti ho portato in alto!
Guarda, continuai, questo attimo ! Da questa porta carraia che si chiama attimo, comincia all’indietro una via lunga, eterna: dietro di noi è un’eternità.
Ognuna delle cose che possono camminare, non dovrà forse avere già percorso una volta questa via? Non dovrà ognuna delle cose che possono accadere, già essere accaduta, fatta, trascorsa una volta?
E se tutto è già esistito: che pensi, o nano, di questo attimo? Non deve anche questa porta carraia – esserci già stata?
E tutte le cose non sono forse annodate saldamente l’una all’altra, in modo tale che questo attimo trae dietro di sé tutte le cose avvenire? Dunque – anche se stesso?
Infatti, ognuna delle cose che possono camminare: anche in questa lunga via al di fuori – deve camminare ancora una volta! E questo ragno che indugia strisciando al chiaro di luna, e persino questo chiaro di luna e io e tu bisbiglianti a questa porta, di cose eterne bisbiglanti – non dobbiamo tutti esserci stati un’altra volta?
– e ritornare a camminare in quell’altra via al di fuori, davanti a noi, in questa lunga orrida via – non dobbiamo ritornare in eterno?”. –
– Così parlavo, sempre più flebile: perché avevo paura dei miei stessi pensieri e dei miei pensieri reconditi. E improvvisamente, ecco, udii un cane ululare.
Non avevo già udito una volta un cane ululare così? Il mio pensiero corse all’indietro. Sì! Quand’ero bambino, in infanzia remota:
– allora udii un cane ululare così. E lo vidi anche, il pelo irto, la testa all’insù, tremebondo, nel più fondo silenzio di mezzanotte, quando anche i cani credono agli spettri:
– tanto che ne ebbi pietà. Proprio allora la luna piena, in un silenzio di morte, saliva sulla casa, proprio allora sì era fermata, una sfera incandescente, – tacita, sul tetto piatto, come su roba altrui: –
– ciò aveva inorridito il cane: perché i cani credono ai ladri e agli spettri. E ora, sentendo di nuovo ululare a quel modo, fui ancora una volta preso da pietà.
Ma dov’era il nano? E la porta? E il ragno? E tutto quel bisbigliare’? Stavo sognando? Mi ero svegliato? D’un tratto mi trovai in mezzo a orridi 120 macigni, solo, desolato, al più desolato dei chiari di luna.
Ma qui giaceva un uomo! E – proprio qui! – il cane, che saltava, col pelo irto. guaiolante. – adesso mi vide accorrere – e allora ululò di nuovo. urlò: – avevo mai sentito prima un cane urlare aiuto a quel modo?
E, davvero, ciò che vidi, non l’avevo mai visto. Vidi un giovane pastore rotolarsi, soffocato, convulso, stravolto in viso, cui un greve serpente nero penzolava dalla bocca.
Avevo mai visto tanto schifo e livido raccapriccio dipinto su di un volto? Forse, mentre dormiva, il serpente gli era strisciato dentro le fauci e lì si era abbarbicato mordendo.
La mia mano tirò con forza il serpente, tirava e tirava – invano! non riusciva a strappare il serpente dalle fauci. Allora un grido mi sfuggì dalla bocca: “Mordi! Mordi!
Staccagli il capo! Mordi!”, così gridò da dentro di me: il mio orrore, il mio odio, il mio schifo, la mia pietà, tutto quanto in me -buono o cattivo – gridava da dentro di me, fuso in un sol grido. –
Voi, uomini arditi che mi circondate! Voi, dediti alla ricerca e al tentativo, e chiunque tra di voi si sia mai imbarcato con vele ingegnose per mari inesplorati! Voi che amate gli enigmi!
Sciogliete dunque l’enigma che io allora contemplai, interpretatemi la visione del più solitario tra gli uomini!
Giacché era una visione e una previsione: – che cosa vidi allora per si-militudine? E chi è colui che un giorno non potrà non venire?
Chi è il pastore, cui il serpente strisciò in tal modo entro le fauci? Chi è l’uomo, cui le più grevi e le più nere fra le cose strisceranno nelle fauci?
– Il pastore, poi, morse così come gli consigliava il mio grido: e morse bene ! Lontano da sé sputò la testa del serpente -; e balzò in piedi.- Non più pastore, non più uomo, – un trasformato, un circonfuso di luce, che rideva ! Mai prima al mondo aveva riso un uomo, come lui rise! Oh, fratelli, udii un riso che non era di uomo , – e ora mi consuma una sete, un desiderio nostalgico, che mai si placa.
La nostalgia di questo riso mi consuma: come sopporto di vivere ancora! Come sopporterei di morire ora!