Quando la seconda guerra mondiale volge al termine si affacciano quattro problemi:
1. quale sistema internazionale creare
2. come punire i crimini di guerra
3. come ridisegnare i confini europei
4. le violenze nei confronti delle popolazioni vinte
I nuovi organismi internazionali
Per quanto riguarda il primo aspetto, la prima via che si cerca è quello di dare vita a una collaborazione internazionale per fondare la pace sull’integrazione diplomatica ed economica.
In questa direzione vanno:
-l’istituzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite nel giugno 1945 = l’Onu rappresenta, perlomeno a livello teorico, un modello di governo sovranazionale pensato per preservare la pace e favorire lo sviluppo dei diritti umani. A differenza della fallimentare Società delle Nazioni, l’Onu presenta una struttura a due livelli: un Consiglio di sicurezza di cui fanno parte in maniera cinque membri (Usa, Urss, Cina, Francia, Regno Unito) dotati di potere di veto; un’Assemblea a cui partecipano tutti gli stati riconosciuti dall’Onu. Fra i primi atti fondamentali dell’Onu vi è la Dichiarazione universale dei diritti umani, approvata il 10 dicembre 1948.
-Accanto all’Onu, vengono messe in campo istituzioni economiche a livello internazionale il cui obiettivo è quello di stabilizzare l’economia mondiale e favorire l’interdipendenza. Già nel 1944 vengono stretti gli accordi di Bretton Woods con cui il dollaro diventa la moneta di riferimento e stabilizzazione dell’economia mondiale, grazie alla sua convertibilità in oro. In seguito agli accordi Bretton Woods viene istituito il Fondo Monetario Internazionale, una banca internazionale chiamata ad elargire prestiti per fronteggiare situazioni di crisi economica. Nel 1947 viene creata anche la Banca mondiale, un istituto il cui scopo è quello di fornire aiuti ai paesi arretrati.
I processi contro i crimini di guerra
Per punire i crimini dei gerarchi nazisti e giapponesi vengono istituiti due processi, a Norimberga e a Tokyo. Con questi processi nasce il concetto di giustizia penale internazionale e vengono affermati principi come il rifiuto della guerra di aggressione e la condanna dei crimini contro l’umanità. Allo stesso tempo l’istituzione di questi processi mostra un importante limite, in quanto l’azione penale viene rivolta soltanto nei confronti dei vinti, giustificando così i crimini dei vincitori.
I nuovi confini europei
Per quanto riguarda la risistemazione dell’Europa, già nel corso della guerra gli Alleati cominciano ad incontrarsi per stringere accordi in vista del dopoguerra. Nel febbraio del 1945 si svolge una conferenza a Jalta in cui sostanzialmente si raggiunge l’idea di una spartizione dell’Europa in due sfere di influenza: una occidentale di stampo britannico-statunitense, una orientale a vantaggio dell’Urss. A Jalta si stabilisce anche il principio della divisione della Germania in quattro zone di occupazione. Questo principio viene ribadito a Potsdam, nella conferenza che si svolge nell’estate del 1945 che vede due nuovi protagonisti rispetto ai cosiddetti tre grandi (Stalin, Churchill, Roosvelt), ovvero Truman come presidente statunitense e Attlee come premier britannico.
Gli accordi definitivi sulla sistemazione postbellica vengono raggiunti nella conferenza di Parigi nel 1946. Gli aspetti più importanti sono:
-il passaggio delle repubbliche baltiche all’Urss
-l’acquisizione di territori orientali polacchi da parte sovietica; in cambio la Polonia ottiene territori della Germania orientale
-la perdita italiana delle isole nel Dodecaneso a vantaggio della Grecia, i territori dell’Istria, di Fiume e di Zama a vantaggio della Jugoslavia. La divisione della zona di Trieste in una zona amministrata dagli Alleati (sostanzialmente Trieste) e una zona amministrata dalla Jugoslavia (i territori a est di Trieste). Negli anni successivi la zona A sarebbe diventata italiana e quella B jugoslava.
-nessun accordo definitivo viene invece raggiunto per quanto riguarda il futuro della Germania: questo sarebbe stato uno dei nodi principali che avrebbe condotto alla guerra fredda.
Vendette e migrazioni: le violenze del dopoguerra
La fine della guerra è accompagnata da una enorme messa in movimento di masse migratorie. Militari, prigionieri di guerra, profughi dei campi di concentramento attraversano l’Europa per tornare verso le loro case.
Il movimento più massiccio riguarda quello di 12 milioni di tedeschi che nel corso della guerra si erano trasferiti nelle terre occupate dal Reich. Il loro ritorno in Germania avviene in condizioni precarie ed è spesso accompagnato da violenze delle popolazioni locali che ne avevano subito l’occupazione: si calcola che circa due milioni di tedeschi abbiano perso la vita nei due anni successivi la guerra.
Un fenomeno analogo, su scala molto più ridotta, riguarda anche gli italiani, in particolare quelli che vivevano nella Venezia Giulia e in Istria. A partire dalla liberazione dalla presenza nazifascista intrapresa dall’esercito partigiano jugoslavo, una parte della popolazione è soggetta alla violenza degli slavi, come vendetta per la durezza dell’occupazione fascista.
Molte vittime vengono gettate in cavità naturali note come foibe.
I momenti più intensi di questi eccidi si sviluppano nell’autunno del 1943 e nella primavera del 1945. Si calcola che i morti siano compresi in numero fra i 4 e i 10 mila. In seguito alla guerra, quando questo territorio passa in mano della Jugoslavia, una gran parte della comunità italiana, soggetta a questo punto all’emarginazione, decide di emigrare. Si calcola che circa 300mila italiani abbiano lasciato in questo periodo il territorio slavo.
In generale, i grandi movimenti migratori della fine della guerra, unite alle violenze nei confronti degli ex-occupanti e allo sterminio di masse consistenti delle comunità ebraiche, producono come risultato un’Europa post-bellica in cui gli Stati sono molto più omogenei dal punto di vista etnico rispetto a quanto era accaduto dopo la prima guerra mondiale, in una fase in cui si era cercato di dare soddisfazione all’autodeterminazione delle nazioni ma si erano creati Stati particolarmente eterogenei da un punto di vista etnico-culturale.