Nel 1963 inizia il processo di disgelo fra Usa e Urss con gli accordi di non sperimentazione del nucleare nell’atmosfera. Protagonisti di questo primo passaggio sono Kennedy e Kruscev.
Un secondo importante passaggio è l’accordo di non proliferazione nucleare raggiunto nel 1968 da Johnson e Breznev. L’accordo consiste nel non fornire risorse ad altri paesi per sviluppare programmi per ottenere l’arma nucleare.
Solo negli anni Settanta si entra però pienamente in quella che viene definita distensione.
LA DISTENSIONE
Il cuore della distensione è rappresentato dall’idea di raggiungere degli accordi per limitare la corsa agli armamenti strategici con il riconoscimento reciproco di una parità nella potenza missilistica.
Protagonisti di questo passaggio storico sono lo stesso Breznev da un lato, e il nuovo presidente americano dall’altro, il repubblicano Nixon, che guida gli Usa dal 1969 al 1974, insieme al suo segretario di Stato, Henry Kissinger.
Il frutto più importante della distensione è l’accordo raggiunto nel 1972, noto come Salt I: si tratta di un accordo che congela la produzione di missili intercontinentali, riducendo così in maniera drastica la corsa al riarmo.

Gli scopi della distensione sono principalmente due:
1. bloccare la corsa al riarmo per avere un ritorno economico dalla riduzione delle spese negli armamenti
2. prevenire un possibile attacco dal rivale usando la minaccia reciproca della forza per stabilizzare gli equilibri della guerra fredda. In altre parole: l’idea di fondo è che, attraverso la parità strategica, si genera una situazione in cui un attacco missilistico produrrebbe una risposta altrettanto efficace dall’avversario, annullando quindi ogni possibile vantaggio dal ricorso alle armi nucleari.
In maniera quindi solo apparentemente paradossale, le armi sono utilizzate da Usa e Urss per consolidare l’equilibrio raggiunto, garantendosi, attraverso una equilibrata deterrenza nucleare, dal rischio di un attacco del nemico.
Dietro alla strategia perseguita dalla distensione vi è l’idea, che matura in entrambi i campi, che sia più conveniente mantenere l’equilibrio raggiunto nello scontro bipolare piuttosto che perseguire una politica di annientamento dell’avversario.
GLI EFFETTI DELLA DISTENSIONE IN EUROPA
Gli effetti della distensione sono particolarmente evidenti in Europa, dove si crea un clima che permette un clima di maggior dialogo fra i due blocchi.
Le conseguenze più evidenti della distensione sono due:
1. l’avvio in Germania della cosiddetta Ostpolitik (“politica verso Est”)= una linea politica lanciata dal cancelliere socialdemocratico della Germania Ovest, Willy Brandt (1969-74), che consiste nel creare una normalizzazione dei rapporti fra le due parti della Germania
2. l’organizzazione della Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa che si svolge a Helsinki fra il 1973 e il 1975 con la partecipazione di tutti gli stati europei, degli Usa e dell’Unione Sovietica. La conferenza si conclude con:
-il riconoscimento dei confini europei raggiunti dopo la seconda guerra mondiale e, quindi, di fatto, gli equilibri politici determinati dalla guerra fredda
-il riconoscimento dei diritti umani all’interno dei paesi europei
LA CRISI DELLA DISTENSIONE: L’APPARENTE ESPANSIONE DEL COMUNISMO
La fase della distensione ha però vita breve ed entra in crisi già alla fine del decennio. Cerchiamo di capire perché.
Nell’ottica americana la strategia della distensione ha lo scopo di congelare gli equilibri della guerra fredda, ma in particolare nella seconda metà del decennio, quando presidente degli Usa è il democratico Carter (1977-81), le cose sembrano andare in un’altra direzione con l’espansione del comunismo.
In particolare infatti si assiste:
-alla creazione di regimi comunisti in Indocina, ovvero in Vietnam (dopo il ritiro delle truppe Usa e la riunificazione del Nord e del Sud), in Laos e in Cambogia
-all’espansione del comunismo in Africa, in particolare in Angola e in Etiopia

Nella realtà dei fatti l’espansione sovietica è più apparente che reale, per almeno tre motivi:
1. questa espansione del comunismo non avviene sotto il controllo di Mosca, anzi in casi come quello cambogiano il governo che si instaura (la feroce dittatura di Pol Pot a capo dei Khmer rossi) è un regime filocinese. Addirittura si arriva a una guerra fra Vietnam e Cambogia a dimostrazione della solo apparente unità del mondo comunista
2. se nel mondo si affermano nuovi regimi comunisti, Mosca al contempo perde la sua capacità di attrarre nuovi alleati al di fuori dei Paesi più schierati ed anzi perde terreno. Un caso abbastanza clamoroso da questo punto di vista è l’Egitto che, tradizionalmente vicino a Mosca, negli anni Settanta avvia un percorso di avvicinamento agli Usa
3. il mondo sovietico sta attraverso un problema strutturale in cui rimarrà impantanato, ovvero una stagnazione del suo sistema economico che, dagli anni Settanta in poi, entrerà in una crescente difficoltà dimostrando una incapacità di tenere il passo con le innovazioni e la crescita che si registrano intanto in Occidente
Nonostante questi fattori, che dimostrano come la crescita del comunismo a livello globale negli anni Settanta sia più apparente che sostanziale, la politica della distensione comincia a trovare negli Stati Uniti un crescente numero di critici.
L’ultimo atto della distensione si registra nel 1979.
In quell’anno vengono firmati gli accordi Salt II con cui le due parti si impegnano a porre fine a nuovi programmi missilistici.
Gli accordi Salt II non troveranno però mai attuazione perché gli Stati Uniti bloccano la ratifica dopo che, nello stesso anno, l’Urss avvia l’invasione dell’Afghanistan, un intervento motivato dal tentativo di mettere in sicurezza il governo locale filocomunista contro il formarsi di una vasta opposizione che si propone di rovesciarlo (un fronte eterogeneo al suo interno che va da forze laiche a forze appartenenti al fondamentalismo islamico, i talebani).
DA CARTER A REAGAN
Protagonista della definitiva chiusura della distensione e dall’avvio di una stagione della guerra fredda non è però Jimmy Carter ma il suo successore, il repubblicano Ronald Reagan, vincitore a larga maggioranza delle elezioni del 1980.

Dietro la sconfitta di Carter vi è una graduale perdita di consenso di fronte agli effetti apparentemente negativi della distensione, ma anche un episodio particolarmente rilevante che mette definitivamente in ombra l’immagine di Carter: la crisi degli ostaggi in Iran.
Andiamo quindi a chiudere aprendo una breve parentesi su questo episodio che ci porta in Medio Oriente.
Nel 1979 in Iran viene abbattuto la monarchia filoamericana dello scià Reza Pahlavi e sorge un regime sotto la guida del fondamentalismo islamico, il cui leader è lo ayatollah Khomeyni.
Oltre al grave danno politico, per gli Stati Uniti si aggiunge un danno di immagine con quella che viene appunto chiamata crisi degli ostaggi, ovvero l’occupazione, nello stesso 1979, dell’ambasciata americana di Teheran e la presa in ostaggio dei diplomatici presenti. Presa in ostaggio che l’amministrazione Carter non riesce a risolvere (nel 1980 fallisce anche il tentativo di liberare gli ostaggi tramite un raid), aggravando ulteriormente la posizione del presidente.
La crisi si chiuderà solo nel 1981 con la liberazione dei prigionieri, ma quando siamo appunto in una nuova stagione politica.
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