Storia e significato dei funerali di mafia

Quando pensiamo ai funerali che si svolgono nel mondo mafioso abbiamo in mente scene molto simili fra di loro: esibizione sfrontata di lusso, una vasta partecipazione di gente, un gusto pacchiano per l’eccesso. Un’esibizione di potere politico ed economico, dunque, una manifestazione di controllo del territorio unite a un’irrefrenabile attrazione per tutto ciò che è kitsch.
Quando assistiamo a queste scene pensiamo molto probabilmente a due cose: 1) che queste scene si sono sempre ripetute uguali nel tempo 2) che l’origine di queste manifestazioni appartiene al mondo mafioso stesso, e che quindi se dobbiamo cercarne i primi esempi dobbiamo andare da qualche parte nella Sicilia o nella Calabria dell’Ottocento.
Le cose non stanno esattamente così. Anzi: una storia dei funerali di mafia ci mostra come la mafia è evoluta nel tempo e come questi riti hanno accompagnato questa evoluzione.

Prima di cominciare a ricostruire queste trame serve però una premessa. Nel mondo mafioso, che non è un semplice mondo criminale, ma un qualcosa di qualitativamente diverso dalla normale criminalità, perché entrano in gioco consenso sociale, immaginario collettivo, ogni rito è importante.
Per diventare mafiosi, ad esempio, si giura, secondo un preciso rituale che mischia elementi di una tradizione mafiosa inventata con tradizioni che vengono da altri mondi, come quello massonico. Questi giuramenti li ritroviamo in ogni grande organizzazione criminale, dalla ‘ndrangheta ai clan della mafia russa.
O ancora: quando un mafioso deve far battezzare il figlio o far sposare la figlia, mette in piedi un rituale che è sempre e comunque un’esibizione del suo potere. E ogni battesimo o ogni matrimonio rientra in una strategia di alleanze, attraverso le scelte di comparaggio e le unioni famigliari.
Questi riti sono importanti perché la mafia non può esprimersi in maniera esplicita, pubblica, ma ha bisogno di parlare attraverso simboli, messaggi in codice. La mafia ha bisogno di costruirsi una propria identità per creare legami di fedeltà interni, e ha bisogno di essere riconoscibile pubblicamente per crearsi un consenso sul territorio.

Dentro a questo quadro di ritualità, i funerali rivestono un ruolo forse ancora più importante. Un funerale di un capomafia è infatti il momento di celebrazione del capo, della sua vita e del potere che ha esercitato sul territorio. Ma non solo: organizzare il suo funerale in pompa magna vuol dire dimostrare che il clan è vivo, che c’è chi raccoglierà l’eredità del capo.

Fatta tutta questa premessa, verrebbe da pensare che già alle origini della nascita delle organizzazioni mafiose, nel pieno Ottocento, possiamo trovare tracce di funerali importanti e grandi celebrazioni dei morti. Ma non è così. Negli archivi, le fonti che ci parlano di fatti simili sono quasi inesistenti, momenti episodici, nulla di consolidato.
Sul perché possiamo fare solo ipotesi. Ma l’ipotesi più concreta, forse anche più banale, è che non abbiamo grandi funerali di mafia fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento semplicemente perché questo modo della mafia di raccontare sé stessa ancora non è nato.

Per vedere dove nasce un certo modo di celebrare in maniera spettacolare i grandi criminali, dobbiamo fare un viaggio molto lungo, la di là dell’Oceano, nell’America del primo dopoguerra. In particolare, dobbiamo fermarci a Chicago, che in questi anni è una delle capitali del crimine negli Stati Uniti.
Uno dei massimi protagonisti di questa Chicago in cui le attività illegali si praticano alla luce del sole, sotto gli occhi di poliziotti e politici spesso corrotti, è Giacomo Colosimo, noto nell’Illinois come Jim “Big” Colosimo. Colosimo è un immigrato. È nato in Calabria ed è arrivato negli Stati Uniti dove ha messo in piedi un piccolo impero, fatto di case di piacere e gioco d’azzardo. Il cuore di questo impero è il Caffè Colosimo, frequentato da gangster e politici.
La fortuna di Colosimo si interrompe però bruscamente nel maggio del 1920 quando viene ucciso da alcuni sicari. Il mandante è l’ultima persona di cui Big Jim avrebbe potuto sospettare. È il nipote, John Torrio. Torrio è un altro immigrato italiano, viene dalla Puglia. Già a due anni arriva negli Stati Uniti e cresce nelle bandi criminali di New York. Nel 1915 lo zio lo chiama a Chicago, per dargli una mano con le sue attività criminali. Nel 1919 Torrio chiama un altro criminale newyorkese a Chicago, dove gli affari continuano a crescere. Questo giovane criminale è Al Capone. Il nome di Al Capone gli viene suggerito da Frank Yale, un altro personaggio che incontreremo più avanti nella nostra storia.
Torrio e Capone progettano l’assassinio di Colosimo quando tutto il mondo degli affari criminali sta per cambiare: è il 1920 e gli Stati Uniti stanno entrando nell’éra del proibizionismo. C’è solo un dettaglio però: Colosimo è contrario a buttarsi nei traffici clandestini di alcol, non vuole rovinare le sue relazioni politiche. Torrio e Capone non la vedono così e si sbarazzano di Big Jim.
Con l’omicidio di Colosimo, Chicago entra ufficialmente nell’epoca del proibizionismo. Ma non solo. La morte di Colosimo inaugura anche un’altra era: quella dei funerali criminali in grande stile.
A seguire il feretro di Colosimo ci sono infatti 5000 persone, fra cui nove assessori, tre giudici, un senatore e un viceprocuratore. Il grande regista di questo funerale è lo stesso John Torrio, che vuole eliminare ogni sospetto organizzando un funerale-show per lo zio.

Questo tipo di funerale, sfarzoso, prepotente, diventa un modello che negli anni successivi vede una serie di repliche di successo, come uno spettacolo teatrale.
Chicago infatti è entrata in un’epoca di prosperi affari criminali grazie al proibizionismo, ma anche in una feroce guerra fra bande per il monopolio di queste attività.
Nel 1924 vengono messi in scena funerali in grande stile per Frank Capone, fratello di Al, che muore in uno scontro a fuoco mentre è impegnato a truccare le elezioni del sobborgo di Chicago, Cicero.
Nello stesso anno muore Michele Merlo, più noto come Mike. Mike Merlo è leader dell’Unione Siciliana, che da quello che sappiamo è un’organizzazione controllata dalla mafia italo-americana per controllare il voto della comunità italiana.
Se Merlo muore, abbastanza incredibilmente per cause naturali, dopo di lui è la volta dei funerali-show di Dean O’Banion. Siamo sempre nel 1924. O’Banion è un gangster irlandese e il suo assassinio è l’inizio di una vera e propria guerra fra bande, divise su base etnica, che trasforma Chicago in una scena del crimine a cielo aperto.
Dopo quelli di O’Banion, infatti, Chicago assiste ad altri funerali spettacolari, stavolta quelli di Angelo Genna, a capo di una famiglia di marsalesi che controlla la Little Italy di Chicago e che viene ucciso per vendicare O’Banion.

La lista potrebbe proseguire.
Cerchiamo di soffermarci però sugli elementi più importanti. Cosa sta succedendo a Chicago? Sta succedendo che Chicago è una realtà urbana in piena espansione, gli spazi per la criminalità – con al centro gli affari generati dal proibizionismo – sono enormi. Ma proprio perché sono enormi, questi traffici generano fame e quindi rivalità: le gang, organizzate su base etnica, non si mettono d’accordo fra di loro ma entrano in uno stato di guerra che dal 1925 dura almeno sei-sette anni, sancendo l’ascesa del gangster più noto, Al Capone. In questo contesto, i funerali diventano momenti di spettacolo che la stampa esalta con tanto di dettagli.
Quello che dobbiamo chiederci è: perché questa spettacolarizzazione? A cosa serve? La risposta è che i funerali servono da un lato a criminali di nuova generazione a esaltare il proprio potere politico ed economico; dall’altro, in un regime di guerra fra bande, diventano un’esibizione di forza, un modo per mandare un messaggio alle bande rivali per dire: noi siamo ancora qui.


In tutta questa storia lo spazio della mafia, intesa come organizzazione specifica, che viene dall’Italia, che ha certe regole e fa entrare nelle proprie fila nuove forze attraverso giuramenti di affiliazione, ancora è abbastanza ridotto. Alcuni mafiosi hanno cominciato ad attraversare l’Oceano a cavallo fra Ottocento e Novecento, ma le radici non sono ancora profonde. A Chicago, poi, la realtà mafiosa è solo una parte di un complesso sottobosco criminale: ha un peso importante all’interno dei gruppi italo-americani, ma non rappresenta l’apice di questo mondo. Un esempio su tutti è Al Capone, italo-americano che per alcuni anni domina il mondo criminale di Chicago, ma che non viene dalle fila mafiose.
Tutto questo vuol dire una cosa: che un certo modo di celebrare i funerali criminali non nasce in ambiente mafioso. Magari un mafioso, quello sì, come Mike Merlo che abbiamo citato prima, viene ricordato con funerali spettacolari. Ma la mafia non inventa questo modello, copia qualcosa che si sta sviluppando a Chicago che è un vero e proprio universo di tante realtà criminali diverse.
Poi però succede qualcosa. Nel 1928 muore un gangster che abbiamo già incontrato: Frank Yale. Yale è fra i più attivi criminali di Brooklyn, estorsore e contrabbandiere. Il suo vero nome è Francesco Ioele: è nato in Calabria nel 1893, ed è emigrato negli States nel 1900.
Dopo tanta gavetta, l’astro criminale di Yale inizia a brillare e sotto la sua ala protettiva cresce Al Capone. Poi Al Capone va a Chicago, su suggerimento di Frank Yale e i due si mantengono in stretti contatti. Yale fa su e giù fra Chicago e New York, creando un ponte criminale fra le due città. Poi però le cose si guastano: Yale e Capone entrano in contrasto. E Yale viene fatto fuori.
Qualche anno prima aveva partecipato ai funerali-show di O’Banion e aveva detto agli amici: “quando sarà la mia ora, voglio un funerale migliore di quello di O’Banion”. E viene accontentato. New York assiste per la prima volta a funerali in stile Chicago.

Questa novità arriva proprio quando a New York sta per succedere qualcosa di molto importante nel mondo criminale: sta per scoppiare la guerra castellammarese, un evento decisivo nella definizione del mondo mafioso della città.
Per capire cosa succede dobbiamo fare un passo indietro. I primi mafiosi arrivano a New York alla fine dell’Ottocento. Partono dall’Italia con un background criminale già consolidato e cercano di trapiantare il proprio modello Oltreoceano. Quando questi clan si estendono, si estendono con l’arrivo di nuove leve sempre dall’Italia: altri criminali che hanno già un pedigree definito quando arrivano negli Stati Uniti.
Fra questi c’è Giuseppe Masseria, che arriva negli Stati Uniti nel 1902, quando ha già sedici anni. Per tutti diventa Joe. Un altro è Salvatore Maranzano. Arriva a New York in una nuova ondata dopo la Grande Guerra. Maranzano viene da Castellammare del Golfo, è già un uomo di trentacinque anni quando emigra. Viene mandato per curare gli affari della sua famiglia dall’altra sponda dell’Oceano.
Le rivalità che sono presenti in Sicilia scoppiano a New York. La guerra fra le due fazioni guidate da Maranzano e Masseria scoppia nel 1930. Ma la tensione cresce già negli anni precedenti e per prepararsi alla guerra i due gruppi iniziano a reclutare nuovi criminali. Sempre di origine italiana sì, ma gente arrivata in America nella prima infanzia. Fra questi c’è Frank Yale, che abbiamo incontrato. E poi nomi destinati a maggiore fama, come quello di Lucky Luciano, al secolo Salvatore Lucania. Luciano è nato in Sicilia nel 1897 ed è emigrato negli Stati Uniti a soli otto anni. La sua formazione criminale si svolge tutta a New York, spesso fuori dagli ambienti italo-americani. Luciano in particolare fa i suoi affari nel mondo delle bande ebree. Poi, entra nella sfera di Masseria. Ma quando scoppia la guerra castellammarese Luciano è in disaccordo: ha in mente un altro modello, in cui gli affari si fanno senza troppo clamore. Così, nel 1931 organizza il tradimento di Masseria e lo elimina. Poi, per coprire il tutto, gli organizza un funerale in stile regale. Luciano ha capito una cosa: i funerali-show fanno ormai parte dell’immaginario criminale e possono essere utilizzati come una vera e propria rappresentazione teatrale.
Con i funerali di Masseria, a cui partecipano più di cinquemila persone, i funerali entrano definitivamente nella tradizione mafiosa. Una tradizione inventata, ma ogni tradizione è inventata. Ed entrano in questo immaginario proprio quando la mafia è sul trampolino di lancio. Da lì a pochi mesi Luciano mette fuori gioco anche Maranzano e intorno alla sua leadership nasce una nuova mafia italo-americana, una mafia composta da immigrati di seconda generazione, che hanno innestato sulle tradizioni siciliane i metodi del Nuovo Mondo.

Andiamo a chiudere. Dal Sud Italia la mafia arriva negli Stati Uniti. Lì entra in contatto con un mondo criminale nuovo, con dei parvenues del crimine, gente che non ha problemi a ostentare il proprio potere e che da un certo momento in poi inizia a farlo anche tramite funerali spettacolari. La mafia assorbe questo rito e ne fa un proprio elemento identitario. E a quel punto, questo immaginario riattraversa il ponte dell’Oceano e sbarca in Italia.
Nel dopoguerra infatti le cose per la mafia vanno benissimo. C’è la guerra fredda e la divisione ideologica è feroce. Socialisti e comunisti accusano la Democrazia Cristiana, il partito di governo filo-americano, di essere in combutta con la mafia. I democristiani siciliani rispondono che la mafia non esiste. E così, gli anni Cinquanta diventano anni di crescita, in cui Cosa Nostra aumenta il suo giro di affari e soprattutto il suo peso sociale. Bisognerà aspettare anni prima che la macchina repressiva si metterà in moto. Ora, si può celebrare il proprio successo in maniera più sfacciata. Ed è quello che succede nel 1954 quando muore Calogero Vizzini. Vizzini è il boss di Villalba, paesino dell’entroterra. Non è fra i capi i più importanti, nella realtà, ma è il più noto, il più esaltato. I giornalisti amano mettersi sulle sue tracce e tesserne l’immagine del potente.
Il suo funerale diventa un evento pubblico: i negozi sono chiusi, gli abitanti di Villalba si mettono in fila nel lungo serpentone che segue il feretro. In testa al corteo altri mafiosi, fra i più importanti dell’isola.
Oramai esiste un modello di funerale mafioso. E da questo momento in poi qualunque formazione criminale che sente il bisogno e la volontà di autocelebrarsi potrà farlo a partire da un immaginario molto preciso.
Lo fa ad esempio la ‘ndrangheta, nel 1979, quando celebra i funerali di uno dei suoi uomini più rappresentativi, Girolamo “Mommo” Piromalli. Cinquemila persone partecipano al suo funerale. Il suo feretro è accompagnato da 60 corone di fiori.
Ma tutto questo non riguarda solo l’Italia. La prospettiva è globale, in un mondo globalizzato.
In Russia, ad esempio, i grandi capoclan si fanno seppellire in tombe con lapidi mastodontiche, con loro immagini a grandezza naturale.
E spostiamoci poi in Canada, dove nel 2013 la famiglia Rizzuto organizza il funerale del suo capoclan, Vito, con una bara dorata e sei limousine ad accompagnarla.
E, infine, chiudiamo a Roma, dove nel 2014 il clan Casamonica occupa un’intera piazza di fronte alla chiesa di Don Bosco, nella periferia a sud-est della città, per celebrare il funerale di Vittorio Casamonica: un elicottero vola in cielo lanciando petali di rosa, fuori dalla Chiesa a tutto volume risuona la colonna sonora del Padrino di Francis Ford Coppola.

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