1. La seconda rivoluzione industriale e le trasformazioni di fine Ottocento
LA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
Nella seconda metà dell’Ottocento gli sviluppi tecnologici portano alla seconda rivoluzione industriale, fondata sulla rapida evoluzione dell’industria chimica, elettrica e siderurgica.
Dentro a questa rivoluzione si registra l’introduzione di tutta una serie di nuovi prodotti che hanno un effetto importante sulla vita quotidiana delle persone, dalla lampadina elettrica al telefono. Vi sono allo stesso tempo sviluppi sul piano igienico-sanitario che sul lungo periodo avranno l’effetto di incrementare in maniera considerevole la vita media della popolazione.
In questa fase il primato industriale inglese viene contestato dalla crescita della Germania e degli Stati Uniti. Allo stesso tempo nuovi paesi avviano una prima industrializzazione, sono i cosiddetti ultimi arrivati. Fra questi vi è l’Italia.
BORGHESIA E QUESTIONE SOCIALE
Lo sfondo culturale dell’industrializzazione è caratterizzato dall’affermazione del positivismo, corrente che esalta la scienza e la fiducia nel progresso. L’affermazione del positivismo è a sua volta conseguenza dell’affermazione della borghesia, che si impone come classe sociale dominante.
Lo sviluppo economico-industriale ha però anche un altro lato della medaglia, ovvero la questione sociale. Per questione sociale intendiamo l’ampliarsi del divario fra le classi sociali elevate, che godono dei prodotti e dei vantaggi dell’industrializzazione, e le classi operaie e contadine.
A farsi portavoce delle rivendicazioni dei lavoratori, che vivono in una condizione di sfruttamento e mancanza di diritti, è in particolare il movimento socialista. Dopo il fallimento della prima Internazionale (1864-76), nel 1889 viene fondata la Seconda Internazionale, di ispirazione marxista.
Alla fine del secolo emerge anche un altro movimento politico che pone al centro la questione sociale: quello cattolico. La strada è aperta dall’enciclica Rerum novarum (1891) di papa Leone XIII, con cui inizia la dottrina sociale della Chiesa, fondata sulla collaborazione fra classi sociali come alternativa alla lotta fra classi proposta dal socialismo.
TRASFORMAZIONI ECONOMICHE E “GRANDE DEPRESSIONE”
La crescita industriale genera a partire dal 1873 una crisi di sovrapproduzione che produce un rallentamento economico fino al 1896, per cui si parla di grande depressione. L’impatto è particolarmente profondo nelle campagne, dove molti braccianti perdono il lavoro, il che aumenta da un lato fenomeni migratori, dall’altro una crescita della tensione legata alla questione sociale.
Per superare questa fase vengono introdotti importanti cambiamenti sul sistema economico-produttivo: a partire dalla seconda metà degli anni Settanta vengono abbandonate le politiche di libero scambio a favore dell’introduzione di dazi doganali, per cui si parla di protezionismo. Allo stesso tempo si favorisce la crescita di grandi cartelli industriali e oligopoli, oltre che una finanziarizzazione dell’economia, ovvero un’entrata delle banche nelle grandi proprietà industriali. Per questo motivo si parla di nascita del capitalismo finanziario.
IMPERIALISMO E NAZIONALISMO
La crescita economico-produttiva dell’Ottocento innesca un ulteriore processo, ovvero un’accesa competizione fra nazioni. Un primo campo in cui si gioca questa competizione è quello coloniale: alla fine del secolo assistiamo al cosiddetto passaggio fra colonialismo e imperialismo, ovvero al passaggio da una presenza coloniale fondata sulla ricerca di vantaggi commerciali e affidata a compagnie di privati, a un’espansione della presenza coloniale voluta dagli stessi stati. In questa stagione non crescono solo i principali imperi coloniali, ovvero quello inglese e quello francese, ma si affacciano alla corsa coloniale anche nuove potenze, come quella statunitense.
Il risultato più macroscopico dell’imperialismo è l’occupazione quasi integrale del continente africano avviata a partire dal congresso di Berlino del 1884-85.
Questa crescita della competizione coloniale si accompagna alla crescita dei nazionalismi per cui fanno la loro comparsa nuovi soggetti politici che sostengono le aspirazioni imperialiste, sono favorevoli a governi autoritari e propugnano l’affermazione di nazioni su base etnica. Forte è infatti la componente razzista di questi movimenti.
L’ITALIA FRA OTTOCENTO E NOVECENTO
Tutti questi cambiamenti si registrano anche nell’Italia liberale. Dopo la fine dei governi della destra storica nel 1875, con la sinistra storica (guidata prima da Depretis e poi da Crispi) viene avviata l’industrializzazione del paese, vengono introdotte misure protezionistiche e viene avviata una prima politica coloniale con la creazione delle colonie della Somalia e dell’Eritrea. In questi anni cresce anche in Italia la questione sociale: scoppiano moti anarchici e nasce nel 1892 il Partito socialista italiano. Questi moti sono repressi durante l’età di Crispi, mentre nell’età giolittiana, nel primo decennio del Novecento, viene adottata una politica di maggiore neutralità. Proprio durante l’età giolittiana anche l’Italia vive appieno il suo primo decollo industriale, aumentano le riforme democratiche come l’introduzione del suffragio universale maschile e allo stesso tempo si assiste alla crescita del nazionalismo, che spinge Giolitti alla guerra coloniale in Libia (1911-12).
2. La Grande Guerra
Il primo quindicennio del Novecento sarà definita Belle epoque. Con questo termine ci si riferisce al fatto che sono anni di progresso nel contesto di una pace europea. In questi anni l’Europa ha il primato politico, tecnologico ed economico a livello globale.
Questa fase si chiude il 28 giugno 1914, con l’attentato di Sarajevo, che porta allo scoppio della prima guerra mondiale.
LE CAUSE DELLA GUERRA
La guerra ha però radici più profonde dell’attentato, in particolare:
1. la crescita della competizione fra le potenze europee
2. Lo spirito militarista che si diffonde profondamente nelle società europee e l’esaltazione della guerra
3. la creazione di due blocchi di alleanze: la Triplice Alleanza da un lato (Germania, Austria, Italia) e l’Intesa dall’altro (Regno Unito, Francia, Russia).
L’attentato di Sarajevo spinge l’Austria a dichiarare guerra alla Serbia e il meccanismo delle alleanze si mette in moto, con l’eccezione dell’Italia che si sgancia dal legame con Germania e Austria.
Nella sua primissima fase il conflitto è combattuto come una guerra di movimento, ma si trasforma presto in qualcosa di nuovo: la guerra di trincea.
L’ITALIA IN GUERRA
Questo porta a un prolungamento a tempo indefinito dello scontro e ad un’estensione degli attori in gioco. Nel conflitto entrano fra gli altri l’impero Ottomano accanto agli imperi centrali (novembre 1914) e l’Italia affianco all’Intesa (1915).
L’entrata dell’Italia nel conflitto è preceduta da una divisione fra neutralisti e interventisti. A portare il Paese in guerra è il patto di Londra, un accordo segreto firmato dal governo Salandra (26 aprile 1915) con cui all’Italia vengono promesse future annessioni come il Trentino, l’Alto-Adige, la Dalmazia e l’Istria, in cambio del suo impegno contro gli imperi centrali
LA GUERRA TOTALE
L’estensione e il prolungamento del conflitto trasformano lo scontro in una guerra totale, in cui vi è una piena mobilitazione della società:
-milioni di soldati vengono coinvolti nei combattimenti
-i sistemi economici vengono spinti verso una produzione di guerra
-gli stati operano una profonda azione di propaganda e mobilitazione per mantenere il consenso alla guerra
IL 1917
L’anno più significativo è il 1917:
-a febbraio una serie di manifestazioni spingono lo zar russo Nicola II ad abdicare e alla nascita di un governo liberale di transizione. Nell’ottobre dello stesso anno un’insurrezione promossa dai bolscevichi di Lenin porta alla creazione del primo governo comunista della storia. Arrivato al potere Lenin si impegna per portare la Russia fuori dal conflitto, cosa che si concretizza nel marzo del ’18 con la pace di Brest-Litovsk
-ad aprile gli Stati Uniti entrano in guerra contro gli imperi centrali. Il presidente Wilson giustificherà l’intervento con il suo documento dei 14 punti su cui rifondare il nuovo ordine mondiale intorno a tre parole d’ordine: autodeterminazione dei popoli, democrazia, libertà dei commerci
-Nell’ottobre del ’17 l’esercito italiano subisce la disfatta di Caporetto e solo in emergenza riesce a ricostituire un fronte difensivo sul fiume Piave
LA FINE DELLA GUERRA
La guerra viene vinta nel ’18 dalle forze dell’Intesa: ultima a cedere è la Germania che l’11 novembre 1918 firma l’armistizio.
Dopo la guerra una serie di conferenze ridisegnano i confini europei, smembrando gli imperi tedesco, austriaco, russo e ottomano. I termini più duri sono quelli subiti dai tedeschi: si parla infatti di pace punitiva.
Sempre all’interno dei trattati di pace vanno ricordati:
1. la spartizione del Medio-Oriente fra Inghilterra e Francia, dopo che durante la guerra si era promessa l’indipendenza ai paesi arabi
2. la delusione italiana per il mancato rispetto di alcuni punti del patto di Londra, per cui si inizia a parlare di vittoria mutilata. In questo clima viene richiesta a gran voce l’annessione della città di Fiume: di fronte al rifiuto delle altre potenze, la città viene occupata fra il 1919 e il 1920 da combattenti guidati da Gabriele D’Annunzio.
Al di là delle modifiche territoriali e della fine degli imperi, la Grande Guerra ha conseguenze molto profonde in un’ottica più ampia:
1. Avvia il processo di fine dell’eurocentrismo, ovvero del dominio politico-economico dell’Europa sul mondo
2. Porta alla definitiva nascita della società di massa, ovvero di una società in cui ormai le masse sono pienamente coinvolte nei processi economici, politici e culturali
3. Produce la nascita dei primi movimenti anticoloniali
4. Genera una serie di problematiche irrisolte, come la tenuta economica e democratica dei paesi di nuova formazione e un risentimento tedesco, che poi porteranno allo scoppio della seconda guerra mondiale
3. Gli anni fra le due guerre
Gli eventi fondamentali fra le due guerre mondiali sono:
1. L’ascesa del fascismo in Italia
2. L’affermazione di Stalin in Unione Sovietica
3. La Grande Depressione negli Stati Uniti
4. L’ascesa del nazismo in Germania
L’ASCESA DEL FASCISMO
L’Italia dell’immediato dopoguerra vive in una situazione di crisi sociale ed economica che porta al cosiddetto biennio rosso, ovvero una stagione che sembra precludere all’affermazione di una rivoluzione di stampo socialista.
In questo clima emerge il movimento dei Fasci di combattimento, fondato da Mussolini nel 1919. Grazie alle violenze delle squadre d’azione fascista, il movimento di Mussolini si presenta come un fattore d’ordine agli occhi della borghesia spaventata dal biennio rosso. Sfruttando questo consenso, e la debolezza delle istituzioni liberali ormai in piena crisi, nell’ottobre ’22 Mussolini organizza la marcia su Roma che lo porta ad ottenere da Vittorio Emanuele III l’incarico di formare un nuovo governo.
La vera e propria svolta dittatoriale del fascismo arriva dopo il delitto Matteotti del giugno ’24. Superata una fase di crisi del consenso provocata dal delitto, Mussolini nel 1925-26 vara le leggi fascistissime che cambiano la fisionomia delle istituzioni liberali.
Gli aspetti che più caratterizzeranno gli anni del fascismo saranno:
1. il tentativo di trasformare la società italiana in senso totalitario, attraverso il controllo del tempo libero, la creazione di organizzazioni di massa, l’utilizzo della propaganda
2. l’accordo con la Chiesa che porta alla firma dei Patti Lateranensi nel 1929
3. a livello economico il passaggio da una prima fase tipicamente liberista (fino al 1925) ad un successivo incremento dell’intervento statale, sia attraverso la mobilitazione in vista di determinati obiettivi (es. “la battaglia di quota 90” o “la battaglia del grano), sia – negli anni Trenta – attraverso la creazione di istituti come l’Imi e l’Iri che mettono importanti porzioni dell’economia direttamente nelle mani dello Stato
4. L’espansione coloniale, che porta nel 1936 alla conquista dell’Etiopia e alla proclamazione dell’impero
LO STALINISMO IN UNIONE SOVIETICA
Come abbiamo visto prima, nell’ottobre ’17 una rivoluzione porta un governo comunista al potere in Russia. Per riuscire ad affermarsi il nuovo governo di Lenin deve superare prima una guerra civile (1918-20), poi una guerra contro la Polonia (1920-21). Al termine dei due scontri nasce l’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (1922).
Per affrontare i due difficili conflitti, Lenin instaura un regime economico in cui viene abolita l’iniziativa privata e volto a sostenere lo sforzo delle truppe dell’Armata Rossa: è il cosiddetto comunismo di guerra. Superate le due guerre, questo indirizzo viene modificato e Lenin vara la Nuova Politica Economica, che introduce elementi di economia privata nel piccolo commercio.
Nel 1922 Lenin si ammala e viene nominato nuovo segretario del Partito Comunista Joseph Stalin. Dopo la morte di Lenin si apre una aspra lotta interna al gruppo dirigente sovietico, che si chiude intorno al 1927-28 con la definitiva affermazione di Stalin e il pieno accentramento dei poteri nelle sue mani.
Stalin si propone di avviare una profonda industrializzazione del paese e a questo fine avvia la politica dei piani quinquennali.
Per giungere a questo obiettivo viene superata la Nep e avviata una collettivizzazione totale delle campagne. Questa collettivizzazione trova l’opposizione dei kulaki ovvero dei contadini proprietari terrieri, che subiranno una durissima repressione.
Anche Stalin, come Mussolini prima e Hitler dopo, avvia una politica totalitaria volta a un pieno controllo della società. Questa si fonda da un lato sulla creazione del consenso fondata sul culto della personalità di Stalin, dall’altro dalla creazione di un ampio apparato repressivo fondato su due elementi centrali: le epurazioni su larga scala (le cosiddette grandi purghe) e l’organizzazione di un sistema di campi di concentramento, i Gulag.
LA GRANDE DEPRESSIONE NEGLI STATI UNITI
Gli Usa escono come i grandi vincitori della Prima guerra mondiale. La grande crescita economica degli anni Venti si accompagna ad una forte espansione dei consumi per cui si parla di anni ruggenti.
Allo stesso tempo però dietro a questa crescita vi sono due fattori di instabilità:
1. Una eccessiva crescita della produzione rispetto alla domanda, per cui l’economia americana va verso una crisi di sovrapproduzione
2. Una eccessiva speculazione finanziaria sul mercato azionario
Nel 1929 questi fattori si incrociano. Ad ottobre crolla la borsa di Wall Street e si genera una crisi finanziaria che diventa presto una crisi economica. Gli effetti sono devastanti e si parla di grande depressione.
La svolta arriva solo a partire dal 1933, con l’insediamento del nuovo presidente Roosevelt che avvia il New Deal, ovvero una politica economica fondata sull’espansione della spesa pubblica per sostenere il rilancio economico.
Nonostante il New Deal non riesca a rilanciare appieno l’economia americana, riesce nell’obiettivo di trascinare gradualmente gli Stati Uniti fuori dalla Grande Depressione.
LA GERMANIA NAZISTA
La crisi americana del ’29 ha profonde ripercussioni su tutte le altre economie capitalistiche. I suoi effetti sono devastanti in particolare in Germania, che poggia le basi della sua fragile ripresa negli anni Venti sugli investimenti americani (piano Dawes, 1924)
La nuova crisi produce un collasso dell’economia tedesca, che già nel ’23 era stata duramente provata dall’iperinflazione provocata dalla crisi della Ruhr.
Ad avvantaggiarsi di questa crisi è il Partito nazionalsocialista di Hitler, che propone la ricetta per uscire dalle difficoltà sostenendo da un lato la necessità di stracciare i trattati di Versailles, dall’altro promuovendo un’ideologia nazionalista fondata su un profondo antisemitismo e anticomunismo.
La crescita dei consensi porta Hitler a essere nominato nel gennaio 1933 cancelliere. In pochi mesi il leader del nazismo ottiene i pieni poteri e nell’arco di un anno inaugura il Terzo Reich.
La dittatura nazista da un lato punta a ottenere il consenso delle masse attraverso un rilancio economico sostenuto dalla spesa pubblica, dalla creazione di organizzazioni e riti di massa e da uno stretto controllo della propaganda. Dall’altro attua una feroce repressione dei dissidenti aprendo i lager, ovvero i campi di concentramento, e promuovendo una politica antisemita. Un elemento centrale di questa politica è il varo delle leggi di Norimberga del 1935 che poi Mussolini replicherà in Italia nel 1938.
VERSO LA SECONDA GUERRA MONDIALE
Decisiva, per il destino mondiale, è poi l’aggressiva politica estera promossa da Hitler, fondata sul riarmo e sulla pretesa di una serie di annessioni territoriali.
Nel 1936 Hitler stringe un patto con Mussolini, l’asse Roma-Berlino, un’alleanza che viene sperimentata nello stesso anno nella comune partecipazione alla guerra civile spagnola in sostegno alle truppe nazionaliste di Francisco Franco.
Nel ’38 Hitler avvia una graduale ma inesorabile escalation: a marzo ottiene l’annessione dell’Austria, a settembre quella della regione cecoslovacca dei Sudeti, nel 1939 della Boemia e della Moravia.
Questa politica estera trova pochi oppositori, anche perché il Regno Unito applica la politica dell’appeseament nei confronti della Germania, ovvero una ricerca di compromessi e pacificazione come avviene nella conferenza di Monaco del settembre ’38 che porta all’annessione dei Sudeti.
Solo con l’inizio dell’invasione tedesca della Polonia il primo settembre 1939 viene superata la politica dell’appeseament e Francia e Regno Unito dichiarano guerra alla Germania: è l’inizio della seconda guerra mondiale.
4. La seconda guerra mondiale
La seconda guerra mondiale vede fronteggiarsi due fronti. Da un lato le forze del patto Tripartito (costituito formalmente nel 1940): Germania, Giappone, Italia. Dall’altro lato, come conseguenza dell’espansione delle forze del Tripartito, un vasto fronte di opposizione che prenderà pienamente forma nel 1941. I protagonisti saranno Usa, Regno Unito e Urss, i cosiddetti alleati, guidati dai cosiddetti tre grandi: rispettivamente Roosevelt, Churchill e Stalin.
LA PRIMA FASE: 1939-1941
Il primo tempo del conflitto vede una netta espansione delle forze del Tripartito. In Europa, dopo l’invasione della Polonia nel settembre ’39, Hitler dilaga in Scandinavia (primavera ’40) e occupa la Francia nel giugno ’40. Hitler non riesce a sferrare il colpo decisivo contro il Regno Unito, che resiste nella battaglia d’Inghilterra, una battaglia aerea che inizia nel luglio ’40 e che contrappone le aviazioni delle due potenze, ma rimane in controllo del continente.
L’Italia entra in guerra durante l’occupazione della Francia e lancia la sua guerra parallela il cui andamento è pessimo, ma vengono raggiunti obiettivi come l’occupazione dei Balcani grazie al sostegno tedesco.
Nel giugno ’41 i tedeschi danno avvio all’Operazione Barbarossa per conquistare l’Urss e nel giro di pochi mesi penetrano profondamente nel territorio sovietico.
Alla fine dello stesso anno viene avviata la soluzione finale, ovvero il piano di sterminio integrale della popolazione ebraica attraverso l’organizzazione dei campi di sterminio.
Sempre alla fine del ’41 i giapponesi attaccano a sorpresa gli Usa, affondando la flotta stanziata a Pearl Harbor, con lo scopo di mettere fuori gioco la forza navale americana e dilagare nelle isole del Pacifico.
IL SECONDO TEMPO DEL CONFLITTO
A cavallo fra ’42 e ’43 le sorti del conflitto vengono ribaltate, con la vittoria alleata in battaglie decisive sui tre fronti in cui si sta combattendo:
-la battaglia di El-Alamein in Nord Africa
-la battaglia di Stalingrado in Unione Sovietica
-la battaglia di Guadalcanal nel Pacifico
Nel luglio del ’43 le forze alleate sbarcano in Italia e aprono la prima breccia in Europa. Lo sbarco alleato porta alla caduta di Mussolini (25 luglio) la divisione dell’Italia in due con l’armistizio dell’8 settembre e la formazione della Resistenza nel centro-Nord. Con la Resistenza si avvia da un lato una lotta di liberazione contro gli occupanti nazisti, dall’altro una guerra civile contro i fascisti che danno vita alla Repubblica sociale italiana. A guidare la Resistenza è il Comitato di Liberazione Nazionale, un organismo che riunisce i partiti antifascisti.
Nel giugno del ’44 lo sbarco in Normandia apre un secondo fronte in Europa e si avvia la lenta ma graduale marcia verso la Germania.
La resa tedesca arriva il 7 maggio 1945, alcuni giorni dopo il suicidio di Hitler.
Per spingere anche i giapponesi ad arrendersi, il nuovo presidente americano, Truman, decide di sganciare il 6 e il 9 agosto due bombe nucleari su Hiroshima e Nagasaki.
5. La guerra fredda
Il dopoguerra è caratterizzato da un rapido deteriorarsi delle relazioni fra statunitensi e sovietici. Sebbene vengano prese alcune iniziative di collaborazione comune, come la fondazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (1945) e i processi di Norimberga (1946), si arriva presto a una rottura diplomatica e allo sviluppo della cosiddetta guerra fredda.
Con questo termine intendiamo un periodo in cui le relazioni internazionali sono caratterizzate dalla presenza di un sistema mondiale bipolare, in cui Usa e Urss rappresentano due superpotenze che propongono modelli politici, economici e culturali fra di loro antagonisti.
Si usa il termine guerra fredda perché la rivalità non arriva a produrre un conflitto bellico diretto fra le due superpotenze.
LA GUERRA FREDDA FRA IL 1947 E IL 1953
La rottura definitiva della collaborazione bellica arriva nel 1947, quando il presidente americano Truman presenta la dottrina del contenimento, ovvero indica come obiettivo della politica estera statunitense la necessità di contenere un’eventuale espansione del comunismo a livello globale.
La prima immediata conseguenza è la divisione dell’Europa in due sfere di influenza. Da un lato i paesi filoamericani, che vengono sostenuti economicamente dal piano Marshall (1948-52) e danno vita al Trattato nordatlantico (1949). Dall’altro le cosiddette democrazie popolari, ovvero i paesi dell’Europa orientale sottomessi all’alleanza con l’Urss. Questa rete è cementata dalla creazione di un sistema di mutua assistenza economica (il Comecon, dal 1949) e, a partire dal 1955, dalla creazione di un accordo militare, il patto di Varsavia.
Al centro di questa spaccatura vi è la Germania, che nel 1949 viene divisa in due parti.
Dal 1949 la guerra fredda inizia ad assumere contorni sempre più globali:
-nel 1949 in Cina si completa la rivoluzione comunista di Mao Tse-Tung che porterà il vasto paese ad allearsi con l’Urss di Stalin
-nel 1950 scoppia una guerra fra la Corea del Nord – comunista – e la Corea del Sud – filoccidentale – che attiva le due superpotenze a intervenire per sostenere i propri alleati.
Questa primissima fase della guerra fredda si chiude nel 1953, anno in cui si insedia un nuovo presidente negli Stati Uniti – il repubblicano Eisenhower – e in cui muore Stalin.
COESISTENZA PACIFICA?
Il nuovo leader dell’Unione Sovietica dopo Stalin è Nikita Kruscev.
In politica interna Kruscev lancia la parola d’ordine: destalinizzazione. Questa porta a superare gli aspetti più repressivi e il culto della personalità del suo predecessore. La destalinizzazione provoca movimenti di protesta in alcune delle democrazie popolari che puntano a rendersi autonome da Mosca, ma in questo caso la reazione di Kruscev è ferma, come dimostra l’invio di carri armati a Budapest per sedare le rivolte ungheresi nel 1956.
Nei confronti degli Stati Uniti Kruscev lancia invece la cosiddetta coesistenza pacifica. L’idea è da un lato quella di accettare la reciproca esistenza delle due superpotenze; dall’altro quello di dimostrare in maniera pacifica la propria superiorità per attirare nelle proprie sfere di influenza le nuove nazioni che stanno nascendo in seguito al processo di decolonizzazione (come vediamo nel successivo capitolo).
La coesistenza pacifica non raggiunge in maniera immediata i suoi obiettivi. In particolare durante la presidenza americana di John Kennedy (dal 1961) si registrano due momenti di tensione:
1. la crisi tedesca che porta nel 1961 alla decisione comunista di alzare il muro di Berlino
2. la crisi dei missili di Cuba del 1962, che spinge per due settimane il mondo sull’orlo di una guerra nucleare
L’età di Kennedy e Kruscev è di breve durata. Il primo è ucciso in un attentato nel 1963, il secondo è deposto con un colpo di stato nel 1964. A raccoglierne l’eredità sono rispettivamente Lyndon Johnson e Leonid Breznev.
Con Johnson gli Stati Uniti entrano a pieno nella guerra del Vietnam, intervenendo nel conflitto che si apre fra il Nord comunista e il Sud nazionalista. L’intervento americano si fa gradualmente sempre più complesso e dà un duro colpo all’immagine internazionale degli Stati Uniti come guida della democrazia.
Nel frattempo a Mosca l’età di Breznev si caratterizza lungo due direttrici:
1. una forte corsa al riarmo per raggiungere la parità strategica con gli Stati Uniti
2. uno stretto controllo sul dissenso. Il caso più eclatante è la repressione della cosiddetta primavera di Praga nel 1968
DISTENSIONE
Nel 1968 le elezioni presidenziali statunitensi sono vinte dal repubblicano Richard Nixon.
Nixon si impegna su due fronti:
1. concludere la guerra del Vietnam riducendo quanto più possibile i danni. L’obiettivo fallisce perché al termine del conflitto, nel 1975, il Vietnam si riunifica sotto la guida comunista
2. avviare la cosiddetta distensione con l’Urss. Con distensione si intende una stagione di dialogo fra i due protagonisti della guerra fredda che ruota intorno alla formulazione di accordi per contenere il riarmo nucleare.
Questa stagione favorisce in particolare in Europa un disgelo nei rapporti fra i due blocchi, soprattutto per quanto riguarda i rapporti fra Germania Est e Ovest. Protagonista in questo caso è soprattutto il leader socialdemocratico della Germania Ovest, Willy Brandt, con la sua Ostpolitik, ovvero la politica di apertura verso Est.
LA FINE DELLA GUERRA FREDDA
La stagione della distensione si conclude alla fine degli anni Settanta portando all’interruzione delle trattative per ulteriori accordi sugli armamenti nucleari.
Nel mondo americano si afferma infatti la prospettiva che la distensione giovi soltanto all’Urss, che negli anni Settanta aumenta la sua sfera di influenza specialmente nel mondo postcoloniale, mentre gli Usa sono travolti dalla debacle in Vietnam, da una instabilità monetaria e dallo scandalo che pone fine alla presidenza Nixon (caso Watergate, 1974).
L’evento che porta definitivamente alla fine della distensione è l’invasione sovietica dell’Afghanistan a partire dal 1979, un conflitto che avrà un impatto per molti versi assimilabile a quello del Vietnam per gli Stati Uniti.
Deciso protagonista della caduta della distensione è il presidente repubblicano Ronald Reagan, in carica dal 1981. Con Reagan si torna ad uno scontro muscolare con l’Urss e gli Usa avviano un poderoso riarmo per mettere in difficoltà il rivale, la cui economia è ormai entrata in una prolungata fase di stagnazione.
Nel 1985 alla guida dell’Urss arriva Michail Gorbecev, considerato un riformatore. In politica estera Gorbacev avvia un profondo ripensamento del rapporto con gli Usa, fondato sulla creazione di relazioni pacifiche.
In politica interna Gorbacev punta a rivitalizzare l’Urss attuando riforme incentrate su due parole d’ordine: perestrojka (=ristrutturazione) e glasnost (=apertura).
A dispetto delle intenzioni di Gorbacev, questo approccio ha profondi effetti nei paesi dell’Europa orientale, dove si sviluppano manifestazioni anticomuniste che nel 1989 portano all’abbattimento sostanzialmente pacifico delle varie democrazie popolari. Il momento decisivo è l’abbattimento del muro di Berlino il 9 novembre 1989.
Nel 1991 un gruppo dell’ala conservatrice del Partito comunista sovietico tenta un colpo di stato contro Gorbacev per salvare l’esistenza dell’Urss, ma fallisce. Alla fine dell’anno Gorbecev, ormai delegittimato, firma lo scioglimento dell’Urss. Finisce così la storia della guerra fredda.
6. La decolonizzazione e il “terzo mondo”
Uno degli esiti più significativi della fine della seconda guerra mondiale è l’avvio di un profondo processo di decolonizzazione e di raggiungimento dell’indipendenza di decine e decine di ex-colonie.
L’ASIA
Questo processo ha il suo epicentro in Asia, dove i movimenti indipendentisti maturano in modo rapido fra le due guerre mondiali.
Qui abbiamo due modelli differenti:
-la decolonizzazione dell’India dal Regno Unito del 1947, legata alla figura di Gandhi, che giunge in maniera pacifica (anche se poi scoppiano gravi violenze fra le popolazioni indù e quelle musulmane che si vanno a dividere fra India e Pakistan)
-la decolonizzazione dell’Indocina che giunge solo nel 1954 dopo un duro conflitto con la Francia
IL MEDIORIENTE
Un’altra regione interessata dalla decolonizzazione nel dopoguerra è il Medio-oriente. Dentro al processo di fine della presenza coloniale europea, il tema più critico è legato alla nascita dello stato di Israele nel 1948. Nello stesso momento della nascita di Israele il nuovo stato è attaccato dai paesi arabi confinanti. Nei decenni successivi Israele sarà al centro di nuove guerre col mondo arabo (crisi di Suez nel 1956; guerra dei Sei Giorni nel 1967; guerra dello Yom Kippur nel 1973), in particolare a causa del conflitto con l’Egitto, in cui si afferma dal 1952 un movimento panarabo.
Intrecciata a questi conflitti vi è la questione palestinese. Privati infatti di un proprio Stato autonomo con la guerra del 1948-49, i palestinesi si vengono a trovare in una condizione drammatica: da un lato si ammassano come profughi negli Stati arabi vicini; dall’altro vivono nei territori della Cisgiordania e della striscia di Gaza, che gli Israeliani occupano dopo la guerra del 1967. Dalla seconda metà degli anni Sessanta i palestinesi provano a organizzarsi con forme di lotta armata per avanzare le proprie rivendicazioni e il conflitto con Israele è tuttora irrisolto.
L’AFRICA
In Africa il movimento di decolonizzazione si sviluppa solo a partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta. L’anno di svolta è il 1960, con diciassette indipendenze. Il processo si conclude negli anni Settanta con le ultime indipendenze, in particolare per la fine della presenza coloniale portoghese.
Anche in Africa non mancano guerre violente, come quella per l’indipendenza algerina dalla Francia (1954-62). In alcuni casi sono le élites bianche delle colonie a produrre un processo di decolonizzazione, in modo tal da mantenere il potere e dare vita a regimi di segregazione razziale, come in Rhodesia o in Sudafrica.
IL TERZO MONDO
All’interno dei paesi decolonizzati si sviluppa il cosiddetto tema del terzomondismo. Il punto di partenza è la conferenza di Bandung del 1955, in cui sono posti temi come:
1. la necessità di una piena indipendenza delle colonie
2. la necessità di superare le divisioni fra il Nord del mondo – ovvero i paesi sviluppati – e il Sud del mondo – ovvero i paesi economicamente sottosviluppati, producendo un modello di collaborazione e solidarietà.
All’interno dei paesi del terzo mondo nasce nel 1961 (conferenza di Belgrado) il movimento dei paesi non allineati, ovvero che non si riconoscono integrati né nella sfera statunitense né in quella sovietica. L’obiettivo è appunto quello di rappresentare un modello geopolitico alternativo alla divisione del mondo Est-Ovest.
Questo movimento non produrrà mai un’alternativa realmente valida alla divisione Usa-Urss in quanto al suo stesso interno risulta diviso in poli differenti.
7. Economia e società nell’epoca della guerra fredda
Gli anni Cinquanta rappresentano anni di grande crescita economica, che è particolarmente rilevante nella sfera occidentale.
In questi anni si assiste ad una forte innovazione tecnologica e ad una diffusione del benessere.
Questa crescita in Europa è spesso legata a:
1. un’integrazione fra iniziativa privata e iniziativa pubblica
2. all’adozione di politiche keynesiane, ovvero di forte impegno della spesa pubblica. Queste politiche si accompagnano alla nascita del welfare state: un modello di stato sociale, in cui lo sviluppo economico è affiancato all’utilizzo di risorse pubbliche per diminuire le disuguaglianze sociali.
LA CONTESTAZIONE
Mentre l’economia e i consumi continuano ad espandersi, negli anni Sessanta si assiste al fenomeno della contestazione. Il tema principale è quello dell’emergere di un’ampia fascia giovanile come effetto della forte crescita demografica dopo la seconda guerra mondiale. Il primo epicentro della contestazione sono gli Stati Uniti dove si sommano tre temi principali: il movimento per i diritti civili degli afroamericani; la protesta giovanile nel mondo universitario; la contestazione alla guerra del Vietnam.
Questo movimento si diffonde rapidamente anche in Europa, dove più si avverte il tema dell’avvento della scolarizzazione di massa di fronte ad un sistema scolastico ritenuto antiquato nelle strutture e nei valori.
In generale dietro a questi movimenti di contestazione vi è una critica globale alla società, ai valori espressi dal capitalismo e alle problematiche generate dalla guerra fredda. Questa critica spinge ad assumere atteggiamenti libertari, anticonformisti e in alcuni casi promuove tentativi rivoluzionari.
Dentro a questo clima assume un tratto peculiare il movimento femminista, che si propone di ottenere il riconoscimento del ruolo sociale delle donne e delle pari opportunità fra i sessi.
STAGLFAZIONE E NEOLIBERISMO
Negli anni Settanta l’andamento economico subisce una forte inversione di tendenza. Nel 1971 Nixon pone fine alla convertibilità aurea del dollaro provocando un’instabilità del sistema monetario, nel 1973 i paesi produttori di petrolio aumentano in maniera vertiginosa i prezzi, provocando il cosiddetto shock petrolifero. La conseguenza, soprattutto per i paesi europei più privi di risorse e dove più ampio è l’utilizzo della spesa pubblica per sostenere il welfare state entrano in una fase di stagflazione. Ovvero: aumenta l’inflazione ma l’economia rimane stagnante.
Nel corso degli anni settanta vengono così gradualmente abbandonate le politiche keynesiane e a cavallo con il nuovo decennio vengono avviate politiche neoliberiste fondate su forte riduzione della spesa pubblica, privatizzazione e deregolamentazione del mercato finanziario. I due principali protagonisti di questa svolta sono il presidente americano Reagan (1981-1988) e la premier inglese Thatcher (in carica dal ’79 al ’90)
8. L’Italia della “prima” Repubblica
Dalla fine del 1945 l’Italia è guidata dal leader democristiano Alcide De Gasperi, a capo di governi di unità antifascista a cui partecipano tutte le forze politiche che avevano dato vita alla Resistenza.
Nel giugno ’46, con il referendum istituzionale, gli italiani scelgono di porre fine alla monarchia, trasformando il Paese in una Repubblica. Nelle contemporanee elezioni della Costituente emergono come principali forze i cosiddetti partiti di massa: Democrazia Cristiana, Partito Comunista e Partito Socialista.
La loro convivenza dura fino al 1947, quando De Gasperi pone fine all’alleanza con comunisti e socialisti, troppo legati a Mosca nel quadro della guerra fredda.
Nonostante la rottura, nel gennaio ’48 entra in vigore la nuova costituzione repubblicana, che è il frutto del compromesso fra le diverse culture politiche dell’Italia del dopoguerra: cattolicesimo, socialismo e liberalismo.
Nello stesso anno si svolgono le elezioni per eleggere il primo Parlamento repubblicano. La Dc si impone in maniera netta su comunisti e socialisti.
In continuità con gli anni precedenti si afferma un governo centrista (ovvero formato dalla Democrazia Cristiana e da altri partiti minori di centro) guidato sempre da De Gasperi fino al 1953. In questi anni l’Italia sceglie la sua collocazione internazionale: entra nella Nato e partecipa alla nascita della comunità europea (si veda capitolo successivo).
Nella seconda metà degli anni Cinquanta l’Italia entra nel miracolo economico (1958-63): in questi anni non si registra solo un forte incremento della crescita economica del paese, ma in generale si va incontro a forti cambiamenti sociali. L’Italia infatti entra nel pieno dell’industrializzazione e vede la diffusione di beni di consumo che cambiano lo stile di vita delle masse italiane.
Questi cambiamenti provocano anche molte tensioni sociali e per cercare di governare i mutamenti, dagli inizi degli anni Sessanta prende vita una nuova formula politica, il centrosinistra, fondato sull’alleanza fra Dc e i socialisti che ormai si sono allontanati da Mosca.
I nuovi governi di centrosinistra, nonostante il varo di alcune riforme, non riescono a contenere la crescita delle tensioni sociali. Nel 1968 prende forma il movimento di protesta degli studenti, nel 1969 l’autunno caldo, ovvero una stagione di lotte operaie.
Al di là di questi movimenti di protesta sociale, prende anche forma una violenza politica e l’Italia entra nei cosiddetti anni di piombo.
Un volto di questa stagione è la strategia della tensione, ovvero atti di terrorismo politico provocati da formazioni neofasciste e volti a destabilizzare il paese per provare a favorire il formarsi di governi autoritari.
Un altro volto è la lotta armata di gruppi dell’estrema sinistra, fra cui le Brigate Rosse.
L’apice della lotta armata si raggiunge con il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro nel 1978. Moro, leader della Dc, era stato protagonista di un avvicinamento con il Pci di Enrico Berlinguer per rendere più solide le istituzioni democratiche di fronte alla deriva degli anni di piombo.
I governi di solidarietà nazionale, ovvero fondati sul sostegno esterno del Pci alla Democrazia Cristiana, durano solamente dal 1976 al 1978.
Negli anni Ottanta si entra in una nuova stagione politica, segnata dal pentapartito, una vasta alleanza che include in particolare Dc e il Psi ed esclude il Partito comunista.
Nuovo leader dei socialisti, e guida di governi del pentapartito fra il 1983 e il 1987 è Bettino Craxi. Craxi incarna un’Italia diversa, in cui è finita la stagione dei grandi movimenti collettivi ed emerge una società postindustrializzata.
La fine della guerra fredda, infine, pone termine anche al sistema dei partiti che caratterizza l’Italia dal dopoguerra. Si tratta infatti di un sistema sempre più corrotto e politicamente immobile che una volta finite le logiche della guerra fredda non ha più una ragione d’essere.
La fine di questo sistema è accompagnato da notevoli tensioni legate all’inchiesta di Mani Pulite che nel 1992 scoperchia un vasto sistema di corruzione che lega politica e mondo degli affari; una forte svalutazione della lira nello stesso anno; una drammatica stagione di stragi di mafia fra il 1992 e il 1993.
Dal 1994 si comincia a parlare di seconda repubblica, con l’affermarsi di partiti nuovi rispetto a quelli della stagione precedente.
9. Nascita e sviluppo della comunità europea
Con la fine della seconda guerra mondiale si pone il tema di un’integrazione europea per porre definitivamente fine al conflitto permanente all’interno del continente. Questa integrazione si svolge in primo luogo sul piano economico-produttivo.
Nel 1952 viene istituita la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, a cui aderiscono Germania Ovest, Francia, Italia, Belgio, Olanda e Lussemburgo.
Nel 1957 questa comunità evolve: con i trattati di Roma viene istituita la Comunità economica europea. La comunità si dota anche di un parlamento europeo.
A partire dal 1973, con l’adesione alla Cee della Danimarca, dell’Irlanda e del Regno Unito la Cee comincia ad aumentare i suoi membri.
Nel 1979 il Parlamento europeo viene per la prima volta dai cittadini degli stati membri.
Con la fine della guerra fredda anche la Cee subisce importanti novità.
Nel 1992 il trattato di Maastricht trasforma la Cee in Unione Europea che rafforza l’integrazione politica. Il trattato pone le basi della futura unificazione monetaria che porterà nel 1999 alla nascita dell’euro.
Nel 2004 entrano dieci nuovi paesi nell’Ue, gran parte dei quali facevano precedentemente parte del blocco sovietico: con questo passaggio la comunità europea si trasforma definitivamente da organizzazione occidentale a organizzazione continentale.
Nel 2007 i trattati di Lisbona riformano ulteriormente il funzionamento delle istituzioni europee, dandogli il carattere attualmente ancora in essere.
Grazie alle varie integrazioni, nel corso degli anni l’Unione Europea ha raggiunto il numero di 28 membri aderenti. Nel 2020 il numero si è ridotto in seguito all’uscita del Regno Unito.