Il concetto di diritti umani naturali è relativamente recente: comincia a essere elaborato solo nel pieno dell’età moderna a partire dalla fine del Seicento.
Nell’età medievale e nella prima età moderna prevale infatti una concezione secondo la quale i sudditi non hanno diritti, ma solo doveri nei confronti dei sovrani, che soprattutto nel Cinquecento e nel Seicento rivendicano un potere di tipo assoluto.
Dentro a questo schema vengono accordate delle esenzioni a questi doveri a certi gruppi sociali: è in tal senso che si parla di libertà nel medioevo, parola che però noi oggi tradurremmo piuttosto con privilegio, in quanto queste libertà non sono universali. Un esempio in tal senso è la Magna Charta del 1215, documento che regola i limiti del potere del monarca inglese nei confronti dei cosiddetti uomini liberi del regno. Le libertà accordate nella Magna Charta, come ad esempio quella per cui non si può essere arrestati senza un giusto motivo, non valgono per tutti i sudditi, ma solo per coloro che erano considerati uomini liberi, ovvero una minoranza della popolazione, come i nobili o gli abitanti delle città.
Alla fine del Seicento il tema dei diritti naturali comincia a essere elaborato dal filosofo John Locke, primo teorico del pensiero liberale.
Locke è un giusnaturalista e un contrattualista. Ovvero afferma l’esistenza di un diritto naturale (giusnaturalismo) e sostiene che lo stato nascere proprio per garantire, attraverso le leggi, questi diritti (contrattualismo). Tali diritti, secondo Locke, sono la libertà, la vita e la proprietà privata. Tali diritti sono detti civili, ovvero riguardano la sfera della vita individuale che non può essere invasa dallo stato.
Le idee di Locke sono riprese e ampliata nel Settecento dagli illuministi, i quali le diffondono nei circoli intellettuali dell’epoca, formando una opinione pubblica che comincia ad allargarsi. Queste idee finiranno per influenzare i due maggiori avvenimenti politici del Settecento: la guerra di indipendenza americana e la rivoluzione francese.
Nella dichiarazione di indipendenza americana, del 4 luglio 1776, i firmatari affermano infatti che: tutti gli uomini sono dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà e il perseguimento della Felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo fondato su tali principi”.
In questa dichiarazione viene dunque affermato, per la prima volta, che il diritto alla ribellione nasce dalla necessità di determinare i diritti naturali dell’uomo.
Tredici anni dopo, il 26 agosto 1789, i rivoluzionari francese approveranno la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, la quale presenta un elenco di questi diritti, che in particolare sono: la libertà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione. Per libertà i rivoluzionari francesi intendono in particolare la libertà del corpo, ad esempio il non poter essere arrestati senza giusto motivo; la libertà di pensiero (art. 7), dunque la libera opinione in materia politica e religiosa (articoli 10 e 11); la libertà della propria proprietà privata (art. 17). Questa concezione dei diritti è riassunta dall’articolo 4 che recita: “La libertà consiste nel potere fare tutto ciò che non nuove ad altri”.
Nel corso dell’Ottocento e soprattutto nella prima fase del Novecento il tema dei diritti umani declinerà. Sia perché si affermano teorie politiche organicistiche, secondo le quali lo stato è superiore ai singoli individui, sia soprattutto perché la società dell’epoca assume toni sempre più razzisti. Si diffondono infatti le pseudo teorie razziste del darwinismo sociale, secondo le quali la storia dell’uomo è una storia di lotta per la sopravvivenza fra le razze, che porta a una naturale selezione delle più adatte a questa lotta. Il culmine di questa visione si ha con l’affermazione dei totalitarismi fra gli anni Venti e Trenta e la più sistematica violazione dei diritti umani si realizza nel corso della seconda guerra mondiale. L’esempio più evidente di questa cancellazione dei diritti umani si realizza nei campi di sterminio dove, come spiega la filosofa Hannah Arendt, l’obiettivo prioritario è la cancellazione morale della persona.
La fine della seconda guerra mondiale porterà a un rilancio del tema dei diritti umani che viene consacrato con la Dichiarazione dei diritti universali dell’uomo, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948.
Lo spirito della dichiarazione è riassunto nel primo articolo, che recita: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”, e nel secondo articolo, per il quale i diritti valgono “senza distinzione alcuna, di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica, di origine nazionale o sociale”.
Questa dichiarazione è costituita nel complesso da 30 punti e amplia la visione tradizionale dei diritti umani.
In essa tornano innanzitutto i diritti civili dell’individuo, intesi come diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza (articolo 3), alla proprietà privata (articolo 17) e alla libera opinione (articoli 18, 19 e 20). Questi diritti sono però estesi: fra i diritti civili vi sono infatti la condanna della schiavitù (art. 4) e della tortura (art. 5); allo stesso tempo vengono sottolineati la libertà nella libera scelta matrimoniale (articolo 16) e della libera informazione (articolo 19).
Accanto ai diritti civili, la Dichiarazione presenta inoltre come naturali i diritti politici e sociali.
Per diritti politici si intende il diritto a partecipare alla vita politica dello Stato. Tali diritti sono, secondo l’Onu, il diritto alla cittadinanza (articolo 15), il diritto alla partecipazione associativa (articolo 20), il diritto al voto a suffragio universale (articolo 21).
Con i diritti sociali ci si riferisce invece alla necessità di difendere la dignità della persona e ridurre le differenze sociali. Nella Dichiarazione vengono infatti richiamati il diritto alla sicurezza sociale (articolo 22), al lavoro e alla libertà sindacale (articolo 23), all’accesso alle cure mediche e a mezzi di sussistenza che assicurino un tenore di vita dignitoso (articolo 25), all’istruzione (articolo 26), al libero accesso alla produzione culturale (articolo 27).