Percorsi filosofici: la danza

La musica e la danza fra Schopenhauer, Kierkegaard e Nietzsche

Il tema della danza è affrontato in questo percorso attraverso tre filosofi che condividono un fondo di pensiero comune legato alla irrazionalità dell’esistenza umana: Schopenhauer, Kierkegaard e Nietzsche. Questa base in qualche maniera comune è però declinata in termini diversi, come d’altronde emerge nei diversi utilizzi dell’immagine della musica/danza:
-per Schopenhauer la musica, in quanto forma d’arte, ci libera temporaneamente dalla Volontà
-per Kierkegaard la metafora della danza è la metafora della solitudine intellettuale
-per Nietzsche la danza è il simbolo dell’impulso dionisiaco

La musica in Schopenhauer

Secondo Schopenhauer l’uomo è preda della Volontà, forza irrazionale che spinge gli enti del mondo ad una carica vitalistica senza scopo, che si traduce in desideri ed egoismi che relegano l’uomo nella dimensione del dolore. L’esistenza umana, dunque, non è che un perpetrare la forza cieca della Volontà, la quale si cela dietro all’apparente ordine del mondo determinato dall’uomo stesso.

Squarciando quello che Schopenhauer definisce “velo di Maya”, l’uomo diventa consapevole della sua schiavitù nei confronti della Volontà, ma la ricerca filosofica di Schopenhauer individua tre vie di liberazione da essa: l’arte, la compassione, l’ascesi.
L’arte è la prima in quanto è la forma più temporanea di liberazione. La contemplazione artistica permette all’uomo di estraniarsi dalla realtà esterna, dalle esigenze e dagli impulsi che la Volontà ci impone. L’arte diventa così, come spiega Schopenhauer in Il mondo come volontà e rappresentazione, “assorbimento nell’intuizione, smarrimento di sé nell’oggetto, oblio di ogni individualità, abolizione della conoscenza legata al principio di ragione, che afferra soltanto relazioni; è lo stato, in cui immediatamente e inseparabilmente il singolo oggetto intuito si eleva all’idea della sua specie, l’individuo conoscente si eleva a puro soggetto del conoscere libero dalla volontà, ed entrambi, in quanto tali, non si trovano più nella corrente del tempo e di tutte le altre relazioni”.

Fra le differenti forme estetiche, la musica, grazie al suo linguaggio universale e astratto, è quella che più permette questo elevarsi al di là del mondo fenomenico e dunque dal desiderio delle cose. Scrive Schopenhauer – sempre in Il mondo come volontà e rappresentazione: “La musica oltrepassa le idee, è del tutto indipendente anche dal mondo fenomenico, semplicemente lo ignora, e in un certo modo potrebbe continuare ad esistere anche se il mondo non esistesse più: cosa che non si può dire delle altre arti”

La metafora della danza in Kierkegaard

Nella produzione di Kierkegaard la danza ricorre sotto forma di metafora nell’opera Briciole filosofiche. Tema di fondo dell’opera è la ricerca della pura verità, della verità salvatrice.
All’interno della sua riflessione, Kierkegaard ricorre alla metafora della danza per spiegare la sua totale libertà nella ricerca della verità: “Allora, qual è la mia opinione?… Nessuno me lo chieda, per favore; perché, dopo la questione se io abbia un’opinione, non ci può essere nulla di più indifferente di saper qual è la mia. […] Nel regno dello spirito questa è la mia situazione, perché a questo mi sono formato e mi formo per essere sempre in grado di danzare agilmente a servizio del pensieroper quanto possibile a gloria di Dio e per il mio piacere personale, rinunciando alla felicità domestica, alla rispettabilità civile, alla communio bonorum e alla condivisione del piacere di avere un’opinione”.
La metafora della danza di Kierkegaard si riallaccia all’idea della vita autentica, che è una vita solitaria, in comunione con la divinità.
L’uomo è attanagliato dall’angoscia della scelta: di fronte a essa la fuga dall’angoscia è il rifugio nella fede, ma una strada non facile da percorrere, perché la scelta della fede è una scelta che genera scandalo, come Kierkegaard aveva già detto in Timore e tremore. Essa consiste, infatti, in un percorso individuale che porta alla rottura col mondo sociale: la scelta religiosa è tale solo se vissuta come profondo atto interiore, secondo il filosofo, non un qualcosa di vissuto nell’esteriorità delle ritualità collettive.

La danza come simbolo dello spirito dionisiaco in Nietzsche

La danza è un tema ricorrente nella filosofia di Nietzsche, in quanto si ricollega al tema dello spirito dionisiaco. Secondo il filosofo la natura umana è racchiusa fra due poli che l’arte esprime attraverso due impulsi: l’impulso apollineo e l’impulso dionisiaco. Come scrive Nietzsche in La nascita della tragedia, l’impulso apollineo – per la sua natura razionale e armoniosa – deriva “dall’arte dello scultore”, mentre l’impulso dionisiaco – per la sua carica vitalistica e irrazionale – affonda il suo spirito “nell’arte non figurativa della musica”. Questo impulso è infatti proprio di coloro che vivono nell’ebbrezza della danza, ovvero, come li definisce Nietzsche “gli invasati di Dioniso”
La cultura occidentale ha espulso lo spirito dionisiaco dal suo orizzonte, rinunciando con ciò alla natura umana più profonda e iniziando una costruzione filosofica legata a un’impostazione metafisica che ha svalutato la carica vitalistica dell’uomo. Nietzsche utilizza non a caso l’immagine del crepuscolo, per indicare la crisi della cultura occidentale.
L’uscita dalla crisi passa, secondo il filosofo, dall’annuncio della morte di Dio – ovvero l’abbattimento della falsa metafisica – e la riscoperta dell’impulso dionisiaco dell’uomo: è qui che affonda le sue radici l’oltreuomo, che reinventa il mondo seguendo la volontà di potenza.
L’annuncio dell’arrivo dell’oltreuomo è affidato all’opera Così parlò Zarathustra, in cui spesso la danza diventa simbolo della riscoperta della vitalità, della leggerezza e della gioia creatrice, che fanno da contraltare alla pesantezza di chi vive ancorato alla morale che svaluta gli impulsi naturali.

In un passaggio dell’opera – intitolato Del leggere e dello scrivere – leggiamo: “Crederei solo a un Dio che sapesse danzare. E quando guardai il mio demonio, lo trovai serio, pesante, profondo, solenne: era lo spirito della gravità – e a cagion sua cade ogni cosa. Non con la collera, ma col riso si uccide. Uccidiamo allora lo spirito della gravità! Ho imparato a procedere: da quel tempo mi piace di correre. Ho imparato a volare: da quel tempo non mi piace esser spinto, per trasportarmi da un luogo. Ora sono leggero, ora volo, ora io mi vedo al di sotto, ora in me danza un Dio”.

In un altro passaggio, intitolato La ballata – Zarathustra incontra in un bosco delle fanciulle danzanti, che incontrandolo arrestano la danza. Ma Zarathustra, rivolgendosi a loro, le esorta: “Non smettete la danza, o graziose giovinette! Non venne tra voi alcun guastafeste dall’occhio torvo, alcun nemico delle fanciulle. Io sono l’avvocato di Dio davanti al demonio: questi è lo spirito della gravità. Come potrei io, agili fanciulle, essere il nemico della danza divina, o dei piccoli piedi dalle caviglie leggiadre?”

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