Le fonti della filosofia: il pensiero politico di Hobbes attraverso gli scritti

Thomas Hobbes

Il punto di partenza del pensiero politico di Hobbes è che l’uomo non è naturalmente un animale politico, ma piuttosto è un essere asociale.
Da questo punto di vista Hobbes si oppone alla visione politica classica che si fonda sulla lettura di Aristotele dell’uomo come animale sociale.


La differenza è spiegata nel seguente passaggio, da cui emerge la natura conflittuale dei rapporti fra uomini:

Citazione 1: perché l’uomo non è un animale politico
(Leviatano, parte 2, cap. 16)

È vero che certe creature viventi, come le api e le formiche, vivono in società fra loro, e per questo sono da Aristotele annoverate fra le creature politiche, e tuttavia non hanno altra guida che quella del loro particolare giudizio o desiderio, non hanno la parola con la quale ognuna di esse possa indicare a un’altra ciò che ritiene di utilità comune per loro; di conseguenza qualcuno forse desidererà sapere perché l’umanità non possa fare allo stesso modo. Al che io rispondo: In primo luogo gli uomini sono in continua competizione per l’onore e la dignità, cose che quelle creature non conoscono nemmeno, e di conseguenza fra loro sorgono per questa ragione invidia e odio e infine guerre: fra quelle creature invece niente di tutto questo;
in secondo luogo fra quelle creature il bene comune non differisce da quello privato, per cui essendo esse per natura spinte a cercare il loro bene privato procurano per ciò stesso il bene di tutti. Ma l’uomo la cui gioia consiste nel confrontarsi con gli altri uomini, non può apprezzare se non ciò che lo distingue dagli altri;
in terzo luogo queste creature non avendo come gli uomini l’uso della ragione non vedono e non pensano di trovare errori nell’amministrazione delle loro faccende comuni; fra gli uomini invece ce ne sono alcuni che si ritengono piú saggi, piú abili a governare le cose pubbliche, in confronto con gli altri, e allora cercano di riformare e di innovare, ora in un modo, ora in un altro, e cosí producono confusione e guerra civile;
in quarto luogo queste creature sebbene abbiano un certo uso della voce in modo da riuscire a comunicarsi reciprocamente i loro desideri e le loro affezioni, tuttavia mancano dell’arte della parola, con la quale alcuni uomini rappresentano agli altri ciò che è bene sotto l’apparenza del male e ciò che è male sotto l’apparenza del bene, e aumentano o riducono l’apparente grandezza del bene e del male, provocando scontento fra gli uomini e turbando la loro pace e la loro gioia;

Se l’uomo non è un animale politico, vuol dire che prima dello Stato esiste un ipotetico stato di natura che non è regolato dalle leggi. In questo stato la prima condizione che sussiste fra gli uomini è quella dell’uguaglianza, come si vede nel seguente passaggio:

Citazione 2: L’uguaglianza naturale degli uomini
(Leviatano, parte 1, cap. XIII)

La natura ha fatto gli uomini così eguali nelle facoltà del corpo e della mente, che sebbene si trovi a volte un uomo manifestamente piú forte nel corpo e piú acuto di mente di un altro, tuttavia considerando tutte le facoltà nell’insieme la differenza fra un uomo e un altro non è così grande che in base ad essa uno possa pretendere qualche beneficio al quale un altro non possa pretendere come lui. Infatti per quanto riguarda la forza del corpo, il piú debole ha sempre abbastanza forza per potere uccidere il piú forte, o attraverso un’azione nascosta, o unendosi con altri che si trovano nello stesso pericolo nel quale si trova lui.

Questa situazione di uguaglianza non genera la pace, come potrebbe sembrare a prima vista, ma una situazione di costante conflitto fra gli uomini, in cui tutti sono sempre in pericolo:

Citazione 3: il conflitto naturale fra gli uomini
(Leviatano, parte 1, cap. XIII)

Da questa eguaglianza nelle capacità deriva l’eguaglianza riguardo alla speranza di poter raggiungere i nostri scopi. E per conseguenza se due uomini desiderano una stessa cosa che d’altra parte non possono godere insieme essi diventano nemici; e per ottenere il loro scopo, che consiste principalmente nella propria conservazione, e molte volte la ricerca soltanto del proprio piacere, ognuno dei due tenta di sopprimere o di sottomettere l’altro. Per questo avviene che mentre un invasore non ha da temere altro che il solo potere di un altro uomo, se uno pianta, semina, costruisce, o possiede un’abitazione confortevole, è possibile che altri vengano organizzati con forze unite per spossessarlo e privarlo non soltanto del frutto del suo lavoro ma anche della vita, o della libertà. E l’invasore a sua volta è nella stessa condizione di pericolo di un altro.

L’uguaglianza genera dunque un potenziale costante conflitto. Questo conflitto nasce dal fatto che, in assenza di leggi e di vincoli, tutti hanno diritto a tutto:

Citazione 4: lo stato di natura come diritto degli uomini a tutto
(Leviatano, parte 1, cap. 13)

Da questo stato di guerra di ogni uomo contro ogni altro uomo deriva anche come conseguenza che niente può essere considerato ingiusto. Le nozioni di diritto e di torto, di giustizia e di ingiustizia non hanno esistenza in uno stato del genere. Dove non c’è un potere comune non c’è legge; dove non c’è legge non c’è ingiustizia. La forza e l’inganno sono, in guerra, due virtú fondamentali. La giustizia e l’ingiustizia non sono facoltà né del corpo né della mente. Se lo fossero esse potrebbero trovarsi in un uomo che vivesse solo nel mondo, cosí come i sensi e le passioni. Esse sono qualità che si riferiscono agli uomini che vivono in società, non in uno stato di solitudine. Un’altra conseguenza dell’anzidetta condizione è che non esiste proprietà, né dominio, né c’è un mio distinto dal tuo; ogni cosa è di chi riesce ad appropriarsene e per tutto il tempo in cui riesce a mantenerla

Se la legge di natura si fonda dunque sul diritto di tutti a tutto e sul conflitto costante, esiste allo stesso tempo una legge dettata dalla ragione umana, che impone all’uomo di cercare un modo di mettersi in salvo:

Citazione 5: la ragione opera per l’uscita dallo stato di natura
(Leviatano, parte 1, cap. XIV)

E quindi fino a quando dura questo diritto naturale di ognuno su ogni cosa non ci può essere sicurezza per alcuno, per quanto forte e intelligente egli sia, di vivere per tutto il tempo che normalmente la natura concede di vivere agli uomini. Di conseguenza è un precetto, è una regola generale della ragione che ogni uomo debba cercare la pace fino a che ha la speranza di poterla ottenere; e se non può ottenerla gli sia permesso di cercare e usare tutti i mezzi di aiuto e i vantaggi della guerra. La prima parte di questa regola contiene la prima e fondamentale legge di natura che è: cercare la pace e mantenerla; la seconda parte contiene il diritto di natura fondamentale che è: difendersi con tutti i mezzi che ci è dato di usare. Da questa fondamentale legge di natura che comanda agli uomini di cercare la pace deriva questa seconda legge, che ogni uomo sia disposto, quando lo siano anche gli altri, tanto quanto egli ritenga ciò necessario per la sua pace e per la sua sicurezza, a rinunziare al suo diritto su ogni cosa e si contenti di conservare nei riguardi degli altri uomini tanta libertà quanto egli vorrebbe che gli altri ne avessero verso di lui.

Come si vede dunque dalla citazione 5, la ragione detta all’uomo due leggi di base: 1) quella di cercare la pace; 2) per ottenere la pace occorre rinunciare al diritto su tutto.
In questo modo si esce dallo stato di natura e si crea lo Stato politico:

Citazione 6: il contratto come fondamento dello Stato

il motivo e il fine per cui questa rinunzia e questo trasferimento di diritto vengono introdotti non è altro che la sicurezza personale di un uomo nella sua vita e nei mezzi per preservare la sua vita, in modo tale che essa non gli sia di peso. Perciò se un uomo, con parole o altri segni, sembra spogliarsi del fine a cui quei segni erano destinati, non si deve intendere come se volesse dire ciò o che quello era il suo volere, ma che ignorava come tali parole ed azioni dovessero essere interpretate. Il mutuo trasferimento del diritto è ciò che gli uomini chiamano CONTRATTO

Hobbes fonda dunque la concezione contrattualistica dello Stato. Nella successiva citazione vediamo i termini con cui il contratto viene stipulato e con cui i poteri vengono trasferiti al sovrano:

Citazione 7: il contrattualismo di Hobbes

Si dice che uno stato è istituito, quando una moltitudine di uomini si accorda e pattuisce, ognuno con ogni altro, che qualunque sia l’uomo o l’assemblea di uomini cui sarà dato dalla maggior parte, il diritto a rappresentare la persona di loro tutti (vale a dire, ad essere il loro rappresentante), ognuno, tanto chi ha votato a favore quanto chi ha votato contro, autorizzerà tutte le azioni e i giudizi di quell’uomo o di quell’assemblea di uomini,alla stessa maniera che se fossero protetti contro gli altri uomini.
 
Da questa istituzione dello stato sono derivati tutti i diritti e le facoltà di colui o di coloro ai quali è conferito il potere sovrano dal consenso del popolo riunito in assemblea.
In primo luogo, perché fanno un patto, si deve intendere che non sono obbligati da un patto precedente a fare qualcosa che abbia ripugnanza con quello precedente. Per conseguenza coloro che hanno già istituito uno stato essendo con ciò vincolati da un patto, a riconoscere le azioni e i giudizi di uno, non possono legittimamente fare un nuovo patto fra di loro per obbedire a qualche altro, in qualunque cosa, senza il suo permesso. Perciò coloro che sono sudditi di un monarca, non possono, senza la sua licenza, liberarsi della monarchia e ritornare alla confusione di una moltitudine disunita, né trasferire la loro persona da colui che ne sostiene la parte, ad un altro uomo o ad un’altra assemblea di uomini

A partire da questi presupposti, il potere del sovrano è assoluto. Hobbes risulta dunque il principale teorico del modello politico dell’assolutismo:

Citazione 8: il Leviatano
(Leviatano, parte 2, cap. XVII)

Questa è l’origine del grande leviatano, o meglio, per parlare con piú riverenza, di quel dio mortale al quale noi dobbiamo, al di sotto del Dio immortale, la nostra pace e la nostra difesa. Infatti con l’autorità concessa a lui da ogni singolo individuo nello Stato egli possiede tanto potere e tanta forza, che gli sono stati conferiti, che col terrore cosí ispirato è in condizione di ridurre tutte le volontà di essi alla pace in patria e al reciproco aiuto contro i loro nemici esterni. E in ciò consiste l’essenza dello Stato; esso è, per volerlo definire, una persona dei cui atti una grande moltitudine, in base a dei patti reciproci, si è considerata essa stessa l’autrice, affinché tale persona possa usare la forza e i mezzi di tutti, nel modo che riterrà piú utile, per la loro pace e la comune difesa.
Colui che rappresenta questa persona è detto sovrano, e si dice che ha il potere sovrano: tutti gli altri sono sudditi.

A conclusione di questo percorso occorre dunque richiamare il concetto per cui, in Hobbes, il potere del sovrano deriva dalla legge naturale. Quindi è sulla base della legge di natura che è possibile stabilire le leggi positive, ovvero le leggi dello Stato. Tale approccio filosofico è definito giusnaturalismo:

Citazione 9: il giusnaturalismo di Hobbes
(Leviatano, parte 9, cap. XXVI)

La legge di natura e la legge civile si contengono l’una l’altra e sono di eguale estensione. Infatti le leggi di natura, che consistono nella equità, nella giustizia, nella gratitudine, e in altre virtú morali collegate con queste, nel semplice stato di natura, come ho già detto alla fine del capitolo XV, non sono leggi in senso proprio, ma qualità che dispongono gli uomini alla pace e all’obbedienza. Quando viene costituito uno Stato allora quelle diventano leggi effettive, e non prima, poiché solo allora esiste l’autorità dello Stato, e perciò anche leggi civili poiché il potere sovrano obbliga gli uomini a rispettarle. Poiché nelle questioni fra i privati, per stabilire che cosa sia l’equità, che cosa sia la giustizia, e che cosa la virtú morale, e per rendere queste obbligatorie, c’è bisogno degli ordini del potere sovrano, e debbono essere stabilite delle sanzioni per coloro che non le rispettano; i quali ordini sono perciò parte della legge civile. La legge di natura è perciò una parte della legge civile in tutti gli Stati del mondo; e reciprocamente la legge civile è una parte dei dettami della natura. Infatti la giustizia, cioè rispettare i patti e dare a ognuno il suo, è uno dei dettami della legge di natura. Ma ogni suddito in uno Stato si è impegnato a obbedire alla legge civile; e questo o con un patto reciproco come quando essi si riuniscono per cercare un comune rappresentante, o con un patto stipulato con lo stesso rappresentante quando sottomessi con la spada essi promisero obbedienza, avendo in cambio salva la vita; e perciò l’obbedienza alla legge civile è anche parte della legge di natura. La legge civile e la legge naturale non costituiscono due specie diverse di leggi, ma sono parti differenti di una stessa legge: una parte, scritta, è chiamata civile, l’altra, non scritta, naturale. Ma il diritto di natura, cioè la libertà naturale dell’uomo, può venire ridotto e limitato dalla legge civile: anzi lo scopo per cui si fanno le leggi non è se non quello di limitare tale libertà, senza di che non sarebbe possibile la pace. E la legge è stata introdotta nel mondo con nessun altro scopo che quello di limitare la libertà naturale dei singoli individui in maniera tale che essi non si danneggiassero ma si aiutassero a vicenda, e si unissero insieme contro il nemico comune.

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